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26 gennaio 1994

Albania

Sulle relazioni tra la comunità europea e l'Albania

Relazione della commissione per gli affari esteri e la sicurezza sulle relazioni tra la Comunità europea e l'Albania. Relatore: Alexander LANGER 27 gennaio 1994

CONTENUTO

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A. PROPOSTA DI RISOLUZIONE

B. MOTIVAZIONE

Allegato I: Proposta di risoluzione B3-0002/90

Allegato II: Proposta di risoluzione B3-0238/90

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Nella seduta del 12 febbraio 1990, il Presidente del Parlamento europeo ha comunicato di aver deferito la proposta di risoluzione dell'on. Tsimas sulle relazioni CEE-Albania, presentata in conformità dell'articolo 45 del regolamento (ex-art. 63), alla commissione politica per l'esame di merito e, per parere, alla commissione per le relazioni economiche esterne.

Nella seduta del 12 marzo 1990, il presidente del Parlamento europeo ha comunicato di aver deferito la proposta di risoluzione dell'on. Muscardini e altri sulla situazione in Albania, presentata in conformità dell'articolo 45 (ex-art. 63) del regolamento, alla commissione politica.

Nella riunione del 21 marzo 1990, la commissione politica ha deciso di elaborare una relazione, e nella riunione del 26 aprile 1990 ha nominato relatore l'on. Langer.

Nella riunione del 21 marzo 1990, la commissione politica aveva deciso di esaminare, nel quadro della sua relazione, la petizione n. 182/89, presentata dal Reverendissimo Metropolita Sevastianos sul tema dell'oppressione religiosa dei greci ortodossi che vivono nell'Epiro settentrionale (Albania) (annuncio in plenaria; 11 dicembre 1989 - competente nel merito: commissione per le petizioni - competente per parere: commissione politica).

Nelle riunioni del 21 settembre 1990, 18 dicembre 1990 e 9 gennaio 1991, la commissione ha esaminato il progetto di relazione interlocutoria.

Nell'ultima riunione indicata, ha approvato la proposta di risoluzione con 14 voti favorevoli e 2 astensioni. La motivazione è stata presentata successivamente, in seduta plenaria. La relazione è stata depositata il 10 gennaio 1991 e approvata in plenaria il 22 febbraio 1991 (cfr. GU C 94 del 13 aprile 1992, pag. 12).

Nelle riunioni del 25 aprile 1991, del 22 novembre 1993 e del 26 gennaio 1994, la commissione per gli affari esteri e la sicurezza ha esaminato il progetto di relazione finale.

Nell'ultima riunione indicata ha approvato la proposta di risoluzione all'unanimità salvo 1 astensione.

Hanno partecipato alla votazione gli onn. Barón Crespo, presidente; Cassanmagnago Cerretti, primo vicepresidente; Langer, relatore; Aglietta, Avgerinos, Balfe, Bertens, Cheysson, Canavarro, Dillen, Ephremidis, Fernandez Albor, Gaibisso, Günther, Jepsen, Llorca Vilaplana, McMillan-Scott, Newens, Oostlander (in sostituzione dell'on. Poettering), Penders, Pesmazoglou, Robles Piquer (in sostituzione dell'on. Bernard-Reymond), Terrón i Cusi (in sostituzione dell'on. Verde i Aldea), Titley e Zavvos (in sostituzione dell'on. Lenz, in conformità dell'articolo 148, paragrafo 2).

Il parere della commissione per le relazioni economiche esterne è stato allegato alla relazione interlocutoria.

La relazione è stata depositata il 27 gennaio 1994.

Il termine per la presentazione degli emendamenti sarà indicato nel progetto di ordine del giorno della tornata nel corso della quale la relazione sarà esaminata.


A. Proposta di risoluzione

risoluzione sulle relazioni tra la Comunità europea e l'Albania


Il Parlamento europeo,

- viste le proposte di risoluzione presentate da:

a) dall'on. Tsimas sulle relazioni CEE-Albania (B3-0002/90),

b) dall'on. Muscardini e altri sulla situazione in Albania (B3-0238/90),


- viste le sue precedenti risoluzioni sull'Albania, e in particolare la propria decisione dell'11 marzo 1992 sull'accordo di commercio e cooperazione tra la Comunità europea e l'Albania, e la propria risoluzione legislativa del 17 settembre 1992 con cui dava parere conforme alla conclusione dell'accordo di cooperazione commerciale ed economica tra la Comunità e l'Albania,

- vista la sua risoluzione del 22 febbraio 1991 sui rapporti tra la Comunità europea e l'Albania,

- viste le relazioni sulle proprie missioni in merito allo svolgimento delle elezioni in Albania nel 1991 (PE 151.007) e nel 1992 (PE 200.640), e sul primo e sul secondo incontro interparlamentare EP/Albania (Tirana, 14-17 luglio 1992, PE 202.153, e Strasburgo 25-27 maggio 1993, PE 205.898);

- visto l'articolo 45 del regolamento,


- vista la relazione della commissione per gli affari esteri e la sicurezza (A3-0046/94),

A. rallegrandosi di aver apportato sinora un contributo tempestivo e costante allo sviluppo verso la democrazia e una maggiore prosperità in Albania,

B. convinto che il totalitarismo comunista sia ormai definitivamente superato in Albania, ma preoccupato tuttavia che tentazioni autoritarie possano mettere a repentaglio il successo della trasformazione democratica e dell'integrazione dell'Albania nelle istituzioni democratiche europee, come sarebbe la sua vocazione,

C. consapevole dell'intimo legame che sussiste tra le conquiste economico-sociali e la fiducia nella politica democratica,

D. cosciente del contributo essenziale di convivenza pacifica e di integrazione cui l'Albania può concorrere nella regione balcanica,

E. ribadisce il proprio sostegno alla maturazione democratica in Albania, augura che essa avvenga senza sbandamenti e contraccolpi, e sottolinea come tra gli elementi prioritari figuri la realizzazione di un vero Stato di diritto, con una chiara separazione dei poteri e con una magistratura professionalmente preparata e indipendente dal potere politico;

F. ritiene che l'approvazione di una nuova Costituzione e di un nuovo codice penale (nel quale si auspica venga abrogata la pena di morte) costituirebbero importanti passi in avanti e ricorda che l'esistenza e l'agibilità dell'opposizione politica fanno parte dell'essenza stessa della democrazia;

G. saluta con favore le misure albanesi prese per smilitarizzare la società albanese, riformando e riducendo le forze armate e di polizia;

H. sottolinea l'importanza cruciale di un'efficace garanzia per la libertà e il pluralismo nel sistema dell'informazione e del rispetto per i diritti religiosi, culturali e linguistici di tutti i cittadini albanesi, ed in particolare le minoranze, e della buona tolleranza e convivenza tra diverse fedi religiose, e con lingue e culture minoritarie;

I. esprime il suo apprezzamento per la generosità e l'efficienza con cui diverse organizzazioni governative (tra cui "Pellicano", Italia, e "Pirro", Grecia) e non governative hanno dato un contributo decisivo al superamento della grave crisi albanese;

J. invita la Comunità e gli Stati membri a garantire ulteriormente e per un periodo prolungato aiuti all'Albania, che dovranno essere tanto più consistenti in quanto la fase dell'emergenza dovrà cedere il passo ad aiuti per uno sviluppo durevole (soprattutto nel campo delle infrastrutture per l'industria, l'agricoltura, l'approvvigionamento energetico, il turismo, i servizi, il sistema bancario, scolastico, sanitario e la formazione della polizia e del servizio civile);

K. ritiene che la prossima tappa nelle relazioni tra l'Unione europea e l'Albania troverebbe una base ottimale nel quadro dell'accordo di associazione ed invita quindi il Consiglio e la Commissione a presentare, nel momento opportuno, al Parlamento proposte in tal senso, secondo gli stessi principi e le stesse condizioni applicate ad altri paesi d'Europa centrale e orientale;

L. ritiene che l'Albania possa costituire un caso-modello di "sviluppo sostenibile", come auspicato durante l'UNCED di Rio de Janeiro 1992, ed invita le istituzioni internazionali (FMI, BM, OCSE, UNDP ...) ad agire in questa prospettiva, garantendo un sostenibile impatto sociale, ambientale e culturale, privilegiando progetti che per dimensione, effetti occupazionali, trasferimento di conoscenze, effetti ambientali, capacità di generare indotto e di stimolare creatività possano valorizzare le risorse naturali ed umane;

M. auspica che tra gli aiuti all'Albania una quota consistente venga riservata ad obiettivi e progetti legati alla democratizzazione del paese, che dovranno essere utilizzati in modo imparziale e pluralista;

N. ritiene che da parte comunitaria si debba sostenere ed incoraggiare al massimo la cooperazione bi- e multilaterale con l'Albania, al livello della società civile, per restituire ai cittadini albanesi la familiarità con il resto dell'Europa, che da così lungo tempo è stata loro sottratta;

O. invita la Comunità e gli Stati membri a sviluppare, in particolare, programmi che consentano a giovani albanesi di emigrare legalmente, per periodi definiti, e con programmi di formazione, addestramento professionale, perfezionamento, ed invita comuni, regioni, università ed altre istituzioni a dar vita a programmi di gemellaggio e di scambio in tal senso;

P. ritiene fondamentale che l'Unione intensifichi e qualifichi il proprio dialogo politico con l'Albania, vista l'importanza del paese e della regione geopolitica in cui si trova;

Q. ritiene che la stabilità politica ed economica in Albania trarrebbe giovamento dall'adesione del paese al Consiglio d'Europa e si augura che ciò diventi possibile nel prossimo futuro;

R. esprime il suo apprezzamento per il lavoro sin qui svolto dalla rappresentanza della Commissione a Tirana e chiede che la delegazione permanente, in via di insediamento, venga dotata di mezzi proporzionati all'importanza politica del suo compito;

S. invita le autorità albanesi a continuare ad adoperarsi in tutti i modi per la pacificazione e la stabilizzazione nei Balcani, ed impegna l'Unione e gli Stati membri a vigilare sui diritti umani, civili e politici di tutte le etnie - tra cui quella albanese - che nella regione si trovano menomate nei loro diritti o addirittura oppresse, come gli albanesi nel Kosovo;

T. rileva che è importante che tra l'Albania e l'ex-Repubblica iugoslava di Macedonia intercorrono buone relazioni e ritiene che lo sviluppo delle relazioni dell'Unione europea con entrambi i paesi debba tener conto di tale elemento;

U. invita l'Albania a mantenere relazioni sempre più strette con tutti quanti gli Stati membri dell'Unione europea e in particolare con la Grecia, assicurando il pieno rispetto dei diritti dell'uomo e delle minoranze, compreso il diritto all'istruzione e alla libertà religiosa delle minoranze, conformemente ai principi e alle disposizioni della CSCE, e a tale proposito ribadisce le risoluzioni del Parlamento europeo in materia;

V. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione alla Commissione e al Consiglio, nonché al parlamento e al governo della Repubblica d'Albania.


B. MOTIVAZIONE

Il Parlamento europeo, primo "amico" dell'Albania

Il Parlamento europeo si è dimostrato il "primo amico" della rivoluzione democratica in Albania, fin dal dicembre 1990-gennaio 1991. L'autore della presente relazione e una funzionaria del PE si trovavano in Albania, a fianco degli studenti e dei democratici, proprio nei giorni delle prime e decisive manifestazioni (dicembre 1990); il Presidente del Parlamento europeo chiese con successo al Consiglio europeo, riunito in quei giorni sotto la presidenza italiana, di incoraggiare il movimento democratico in Albania; la commissione politica del PE accelerò al massimo la discussione sulla prima relazione interinale (relazione Langer, A3-0004/91), ed il Parlamento, già in data 22 febbraio 1991, approvò la sua risoluzione, aprendo così un credito politico ai cambiamenti democratici in quel paese, da così lungo tempo isolato ed auto-isolato rispetto al resto della famiglia europea. Il Parlamento decise di aprire subito le sue relazioni con l'Albania (ne fu incaricata la preesistente delegazione per le relazioni con Bulgaria e Romania) e chiese ripetutamente alla Commissione e al Consiglio di fare altrettanto. Da allora il PE non ha mai cessato - attraverso missioni di osservazione elettorale (1991, 1992), visite, inviti, interrogazioni, risoluzioni, rapporti di diverse omissioni, incontri con ambasciatori e funzionari - di interessarsi con simpatia dell'Albania e del popolo albanese (anche dei suoi figli disperati, emigrati in maniera spesso disordinata), incoraggiando il passaggio ad un regime pluralista e parlamentare, invocando generosi aiuti, premendo per il rispetto dei diritti umani e delle minoranze, sollecitando la Comunità e gli Stati membri ad intensificare ed arricchire le relazioni politiche ed economiche con l'Albania. E' in nome di tale amicizia "della prima ora", che il Parlamento europeo si sente impegnato a seguire costantemente l'evoluzione della situazione albanese e a vigilare con attenzione contro ogni eventuale tentazione di involuzione, convinto che la costruzione di uno Stato di diritto e di una democrazia dipenda fortemente dalla libera dinamica tra maggioranza e opposizione, dalla libertà e dal pluralismo di informazione, dal pieno rispetto dei diritti umani, civili, politici e sociali di tutti.

Come è cambiata la situazione politica albanese dal 1991 ad oggi?

La rivoluzione democratica in Albania è stata essenzialmente provocata dagli studenti, essendo rimasto in secondo piano il dissenso intellettuale e democratico. Ma gli studenti hanno ceduto sin dai giorni dei loro primi moti la parola ad altri: a quel tempo soprattutto a due intellettuali conosciuti come non appiattiti sul regime: il cardiologo Sali Berisha e l'economista Gramoz Pashko. Le prime elezioni pluraliste del marzo 1991 hanno aperto la via ai cambiamenti democratici: soprattutto nelle città, il Partito democratico, intorno a Berisha e Pashko, vinse chiaramente, con l'appoggio degli studenti e degli operai (di lì a poco emersero i primi sindacati indipendenti); nelle campagne, invece, dove vive il 65% della popolazione albanese, si affermò allora ancora il "Partito del lavoro" (comunista), che solo in seguito si sarebbe trasformato, con notevoli sussulti interni e con un certo ricambio della dirigenza, in "Partito socialista". Era così iniziato l'irreversibile addio al comunismo. Il crollo del vecchio regime è avvenuto in modo sostanzialmente non-violento, anche grazie all'estrema moderazione imposta dall'allora Presidente Ramiz Alia, che ha scelto di non giocare la "carta rumena", evitando così un possibile bagno di sangue. Ma il vecchio regime ha lasciato dietro di sè un cumulo di incredibili macerie. Un popolo intero, per secoli fiero della sua austera povertà e del suo senso di indipendenza, per un certo tempo si è trasformato in una folla di mendicanti, che chiedeva aiuti all'estero ed i cui giovani tentavano in massa di fuggire dal loro paese per cercare altrove un possibile avvenire di prosperità. Governi di transizione, prima espressi dal ex-Partito del lavoro (poi socialista), successivamente da una coalizione tra socialisti e democratici, guidati dai primi ministri Fatos Nano (febbraio-giugno 1991), Ylli Bufi (giugno-dicembre 1991) e Wilson Ahmeti (dicembre 1991 - aprile 1992), ressero come poterono il convulso passaggio, pieno di profonde crisi sociali, economiche, politiche e morali. Attraverso ulteriori scosse, determinate tra l'altro da scioperi promossi dai sindacati indipendenti che si sono via via formati, si è arrivati a nuove elezioni nel marzo-aprile 1992, con un sistema elettorale maggioritario a due turni, dove il Partito democratico ha riportato una chiara maggioranza, superiore al 60%. Ne seguirono, in pochi giorni, le dimissioni di Ramiz Alia dalla carica di Presidente della Repubblica, l'elezione di Sali Berisha a questa carica, e la formazione di un governo di coalizione (con socialdemocratici e repubblicani), guidato da Alexander Meksi, del Partito democratico. In seguito, la scissione dal Partito democratico di elementi piuttosto pragmatici (intorno a Gramoz Pashko, primo vice-premier democratico nel 1991) porta alla costituzione di Alleanza democratica, i cui rapporti con la maggioranza governativa e con il Presidente Berisha tuttavia si rivelano particolarmente aspri. Nelle elezioni amministrative del luglio 1992, avvenute in un clima di contesa a volte rissoso, si sono delineati due blocchi praticamente equivalenti: il polo intorno al Partito democratico e quello intorno all'opposizione socialista. Entrambi reclamavano per sè la vittoria (che nelle elezioni amministrative è difficilmente constatabile univocamente). La formazione dei partiti politici e le loro dinamiche interne risentono, ovviamente, del peso del totalitarismo passato, della mancanza di esperienza democratica, di talune rivalità personali, di svariate ingerenze esterne e della fortissima polarizzazione tra anti-comunisti (che sono fieri di esserlo) e supposti filo-comunisti (che negano di esserlo). Crisi si sono avute anche all'interno del Partito democratico, sinora superate grazie all'autorità riconosciuta del Presidente Berisha, la cui posizione si è consolidata nel congresso del partito nel gennaio 1993. I 140 seggi del Parlamento albanese attualmente sono così ripartiti: Partito democratico 86 (prima della scissione 92), Partito socialista 38, Partito socialdemocratico 7, Alleanza democratica 6, Partito dei diritti dell'uomo (riferibile essenzialmente alla minoranza greca, cui stato impedito di ripresentare il suo tradizionale Partito dell'Omonia) 2, Partito repubblicano 1. Nel marzo del 1993, il Parlamento albanese ha approvato un'importante legge costituzionale sui diritti dell'uomo: è stata raggiunta la richiesta maggioranza di due terzi, ma sorprendentemente il Partito socialista (38 seggi su 140) non ha votato in favore - ritenendo insufficiente l'approvazione della sola legge sui diritti dell'uomo, senza il resto dell'impianto costituzionale - ed ha tentato di far mancare la maggioranza necessaria. Il tentativo non è andato in porto: i socialdemocratici alla fine decisero di approvare la legge, ma da allora il conflitto tra il Presidente Berisha e il suo partito, da un lato, e l'opposizione - soprattutto socialista, ma anche di Alleanza democratica - dall'altro, si è assai inasprito.

Sulla situazione interna albanese oggi

Sul piano interno, da rilevare la ricostruzione dello Stato con il faticoso insediamento di nuovi ordinamenti ed istituzioni, nonchè alcuni attriti risultanti soprattutto da problemi insorti intorno alla minoranza greca. Sul piano esterno, invece, la posizione dell'Albania va considerata soprattutto nel complesso ed altamente instabile contesto regionale. Si ha l'impressione che molti passi di "decomunistizzazione" siano stati compiuti, anche con una certa veemenza, ma che essi non sempre abbiano portato a risultati pienamente democratici. Sicuramente sono elementi assai importanti l'instaurazione del pluripartitismo, elezioni libere, un regime democratico-parlamentare (anche se rimane ancora incerto il nuovo assetto costituzionale), una maggiore libertà d'informazione, la liberazione dei prigionieri politici del passato regime, la sostituzione dei funzionari-chiave che controllavano soprattutto gli apparati polizieschi, una nuova legislazione - ancora in fase di elaborazione - relativa ai diritti dell'uomo e del cittadino, il ripristino della libertà religiosa, l'instaurazione progressiva di una magistratura in linea di principio indipendente, una graduale riforma della scuola e dell'insegnamento. Anche l'attività legislativa del Parlamento risulta decisamente rilevante, pur mancando ancora molti ed importanti elementi di stabilizzazione legislativa (p.es. la nuova Costituzione, il nuovo Codice penale). A volte, tutto appare dominato da una permanente "resa dei conti", nella quale forzature, discriminazioni ed arbitrii diventano possibili. In particolare nel settore dell'informazione, del comportamento quotidiano delle forze di polizia, di non pochi funzionari pubblici, e nella prassi giudiziaria (talvolta anche parlamentare), nelle procedure di epurazione nelle diverse amministrazioni pare notare rigurgiti della legge del più forte. Particolare apprensione hanno destato alcuni recenti avvenimenti che hanno paralizzato l'opposizione politica in Albania. Il 30 luglio 1993 è stato arrestato, poche ore prima dell'inizio di una manifestazione organizzata dal suo partito, il capo dell'opposizione (Partito socialista) ed ex-premier Fatos Nano. Le accuse contro di lui si riferirebbero a presunti favori concessi a certe ditte o uomini di affari in connessione con l'erogazione di aiuti italiani all'Albania. L'immunità parlamentare gli è stata tolta alla svelta, d'altronde sin dal 16 giugno 1993 i deputati socialisti e social-democratici avevano abbandonato le sedute parlamentari per protesta contro il ritardo nella presentazione di un progetto di Costituzione (per farvi ritorno molti mesi dopo), e l'inizio vero e proprio di un procedimento giudiziario si fa tuttora attendere, un ricorso alla Corte costituzionale è stato respinto. Il presidente Berisha ha ricevuto, il 28 dicembre 1993, una delegazione di esponenti socialisti, guidata da Servet Pallumbi, che in particolare reclamavano la liberazione di Fatos Nano, ma si è trincerato dietro l'indipendenza della magistratura, sottolineando che non gli erano pervenute proteste internazionali per tale detenzione. La tensione politica causata nel paese dalla disputa intorno alle condizioni reali e al rispetto dei diritti della minoranza ellenica, dai provvedimenti di rimpatrio forzato presi nell'estate 1993 dalle autorità greche verso qualche decina di migliaia di emigrati albanesi (molti dei quali irregolari) e dalla crisi nel Kosovo che continua ad inasprirsi, provoca ovviamente delle difficoltà al governo albanese, insieme alla perdurante crisi economica, alle tensioni politiche ereditate in parte dal passato regime e alla situazione sociale molto critica. Tutto ciò potrebbe far sorgere la tentazione di cercare dei capri espiatori. I rapporti tra maggioranza di governo ed opposizione appaiono estremamente esacerbati, e può diventare nocivo farsi vedere pubblicamente con esponenti dell'opposizione socialista.

Anche Ahmeti, altro ex-premier di transizione (del cosiddetto "governo dei tecnici"), si trova agli arresti domiciliari, colpito da accuse simili a quelle contro Nano, come lo era sino a poco fa l'ex-presidente Ramiz Alia, ora trasferito in carcere. Le accuse contro Alia riguarderebbero più che altro presunti sprechi ed irregolarità amministrative: le stesse che sono state imputate alla vedova di Enver Hoxha, Nexhmije, anch'essa in prigione. Critiche e sospetti vengono mossi pubblicamente anche contro altri esponenti della fase di transizione, tra i quali Gramoz Pashko. Elementi, questi, che sembrano spingere verso una radicalizzazione dello scontro politico ed esercitare una crescente pressione nei confronti dello stesso Presidente Berisha. Sinora l'Albania non aveva sofferto di rilevanti tensioni etniche o religiose, pur essendo un paese composito, dal punto di vista confessionale (circa il 70% di tradizione musulmana, il 20% di tradizione ortodossa e il 10% di tradizione cattolica, con una piccola minoranza di fede israelita). La convivenza con una minoranza greca di una certa consistenza - nelle regioni meridionali - ed altre più esigue minoranze slave (serbo-montenegrini, bulgari), rom e vlach-arumene non era stata fonte di attriti particolari. Ma in tempi recenti ed in virtù della democratizzazione, la minoranza greca ha cominciato a reclamare una maggiore considerazione (appoggiata in ciò politicamente ed economicamente dalla Grecia), e lo Stato albanese ha reagito con alcune misure restrittive, tra le quali un emendamento alla legge elettorale che preclude l'accesso al Parlamento al partito "etnico" ellenico (Omonia), precedentemente presente nell'"Assemblea popolare", e costretto ora a rientrare nei ranghi di un "partito dei diritti umani". Altri motivi di controversia si hanno sulla delimitazione dei territori riconosciuti come suscettibili di applicazione delle norme particolari in favore delle minoranze, in campo scolastico, ecclesiastico-religioso ed economico-sociale, sulla questione delle menzioni da apportare sui documenti di identità, e qualche volta intorno a comportamenti di certe autorità locali e di polizia. Una certa freddezza contrassegna le relazioni greco-albanesi a livello di Stati e di comunità, e talvolta si esasperano talune prese di posizione di estremisti dell'una e dell'altra parte intorno a quella che per alcuni è la "questione dell'"Epiro del nord", con qualche strumentalizzazione e qualche sfogo, spesso distorto, nei mass-media.

Dopo due recenti visite in Albania, l'Alto commissario della CSCE per le minoranze nazionali, Max van der Stoel, ha riportato e reso pubblico un giudizio largamente positivo, pur senza celare l'esistenza di problemi ancora aperti che esigono giuste soluzioni. La pace religiosa, che ovviamente era "da cimitero" nel periodo della dittatura comunista ufficialmente "ateista di Stato" (1967-1990), ora non appare più così solidamente garantita come si potrebbe auspicare. Vi contribuisce una certa competizione confessionale, qualche volta persino negli aiuti esteri canalizzati attraverso organizzazioni a caratterizzazione religiosa, ragione per cui la riapertura di chiese e moschee, l'insediamento di religiosi musulmani, ortodossi e cattolici, la rivendicazione di diritti e proprietà del passato, ecc. possono divenire motivo di attrito o di proselitismo un po' forzato. Al momento, le massime autorità religiose delle tre confessioni dimostrano moderazione, e quelle statali operano per salvaguardare condizioni di laicità ed imparzialità, ma si intravvedono possibili rischi. Prova ne sia la recente controversia sorta intorno all'espulsione, da parte albanese, di un archimandrita greco-ortodosso accusato di propaganda politica e la successiva espulsione di migliaia di immigrati (in parte clandestini) albanesi dalla Grecia, con tutto il suo seguito di tensioni e rancori. Anche gli effetti di un'eventuale spinta islamica nei Balcani, che potrebbero sorgere in seguito alla disperata situazione nella quale sono stati spinti i musulmani in Bosnia, non sono da escludere. Anche la recente visita di Giovanni Paolo II in Albania, pur segnata da grande cordialità ed inviti alla tolleranza, non è stata vista da tutti come meramente positiva. Occorrerà un grande e consapevole sforzo per garantire a tutti pieni e sostanziali diritti linguistici, culturali, religiosi, ed una buona convivenza tra confessioni ed etnie, per evitare che anche in Albania il bacillo della "balcanizzazione" (cui facilmente segue la "libanizzazione") infesti la società ed avveleni in modo duraturo i rapporti tra cittadini e/o tra Stati vicini. Una maggiore vitalità della società civile albanese, per ora solo embrionalmente sviluppata, potrà forse contribuire a svelenire contrasti talvolta fomentati ad arte, ed a promuovere una libera dialettica democratica; spunti in tal senso si intravvedono soprattutto tra gli studenti, in qualche misura tra associazioni femminili (come "il Forum delle donne albanesi"), e forse in settori del mondo sindacale.

L'Albania nel contesto internazionale

Nel momento in cui la sommossa democratica cominciò in Albania, il contesto internazionale era assai diverso da oggi: la Iugoslavia esisteva ancora, l'Unione Sovietica anche, la Carta di Parigi per una nuova Europa era stata appena approvata e conteneva molte speranze. L'Albania era l'ultimo paese comunista d'Europa (anche per questa ragione, il regime dovette subito arrendersi), nel Kosovo non si aspirava particolarmente ad unirsi a quella specie di grande prigione che allora era l'Albania ed in Albania ogni moto spontaneo dell'opinione pubblica (compreso un suo eventuale interessamento attivo intorno alla questione del Kosovo) era semplicemente impossibile. Nel frattempo, la Iugoslavia è caduta in pezzi ed appare possibile una vera e propria guerra balcanica, la repressione e la tensione nel Kosovo è fortemente aumentata (e le aspirazioni albanesi si presentano oggi più determinate), la Macedonia è un vicino la cui stabilità risulta minacciata da più parti e la cui consistente minoranza albanese viene direttamente appoggiata dall'Albania, il confine con la federazione serbo-montenegrina è assai più caldo che ieri e la tensione greco-albanese aggiunge incertezza. Il governo albanese non perde occasione per ribadire, accanto alla sua volontà pacifica e di rispetto del diritto e dell'ordine internazionale, che "metà del suo popolo vive oltre i suoi confini", e che "l'Albania è l'unico paese in Europa che è circondato da ogni lato da territori abitati anch'essi da albanesi".

Il primo obiettivo della nuova Albania doveva essere quello di rientrare negli organismi internazionali, dai quali il regime di Enver Hoxha l'aveva auto-esclusa. La sua integrazione nella CSCE, raccomandata fin dall'inizio del 1991 dal PE, ne era il passo più facile e scontato. Meno ovvie sono apparse altre possibili opzioni. Accanto alla priorità accordata alle relazioni con la Comunità europea e con le istituzioni europee (compreso il Consiglio d'Europa, impegnato soprattutto in materia di diritti umani e delle minoranze) si è più volte fatta notare un considerevole atteggiamento pro-USA, alimentato in parte da promesse e speranze che si sono poi rivelate inconsistenti, incoraggiato anche da un'ambasciata USA a Tirana molto attiva, tanto da divenire quasi un fattore di politica interna. Nei primi tempi, lo stesso Partito democratico sembrava oscillare tra la carta europea e quella americana (a quel tempo in Albania si agitavano molte bandiere statunitensi), ritenendo forse di poter suscitare una salutare competizione tra CE e USA: chi punta sul rapporto preferenziale con gli USA, sottolinea soprattutto l'interesse americano ad avere una base sicura nell'area balcanica, che l'Albania potrebbe fornire. Viceversa, sono piuttosto motivi storici e tensioni con i propri vicini al nord e al sud, ad alimentare l'interesse per il mondo islamico: esiste una tradizionale amicizia ed ora un accordo militare tra Turchia ed Albania, firmato nell'estate 1992, e l'Albania nel 1992 ha aderito all'Organizzazione della Conferenza islamica (scelta criticata da qualche oppositore del Presidente). Oggi si ha l'impressione che il governo albanese riconosca nella prospettiva europea e nell'Unione europea la direzione prioritaria del suo interesse. L'Albania preme per una sua ammissione nella NATO, e lo stesso presidente ha ricordato dopo il vertice NATO di Bruxelles (10-11 gennaio 1994), deludente per l'Albania, che il suo paese era stato il primo, tra quelli dell'Est, a chiedere l'ammissione; nel frattempo, l'Albania valorizza assai la sua prima partecipazione all'assemblea parlamentare e al Consiglio di cooperazione nord-atlantico. L'Albania sa bene che in un conflitto aperto nel Kosovo resterebbe inevitabilmente toccata e forse coinvolta assai direttamente e pesantemente, e vorrebbe quindi far parte di un'alleanza for

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