Fondazione Alexander Langer Stiftung ETS
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30 aprile 1993

Semina verde

Storia del movimento verde in Italia: i verdi come le vergini stolte?

Con le elezioni politiche del 5 aprile 1992 il panorama politico in Italia cambia profondamente ed una vera e propria crisi di regime comincia a precipitare. Si può dire che da quella data le conseguenze della fine del muro est/ovest sprigionano in pieno la loro influenza anche in Italia, e che il ciclo politico del secondo dopo-guerra - dominato dalla contrapposizione tra blocco cattolico-moderato (DC ed alleati) e blocco comunista (PCI, fino agli anni '60 con i socialisti) - si conclude.

1. I Verdi come le vergini stolte?

Una accelerazione senza precedenti contrassegna i successivi eventi politico-istituzionali ed economico-finanziari, e tutto lascia pensare che questa volta non potrà prevalere la vecchia saggezza ribadita da Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo "Il Gattopardo", dove bisognava "cambiare tutto perchè non cambiasse niente". Naturalmente non è detto che i cambiamenti avvengano davvero in meglio, ma assai difficilmente potrà essere restaurato l'immobilismo politico di prima. Immobilismo, sia detto per inciso, che aveva resistito proprio grazie alla divisione dell'Europa e del mondo in blocchi contrapposti, non lasciandosi intaccare più di tanto dall'estrema vivacità e combattività sociale che l'Italia aveva conosciuto forse più di ogni altro paese europeo.
Chi voglia analizzare il ruolo politico, sociale e culturale del movimento verde in Italia, resterà particolarmente sorpreso dal fatto, che in questa crisi il ruolo dei Verdi appaia assai marginale. Nel momento in cui oltre la metà degli italiani cambia o è disposta a cambiare il proprio voto, ed in cui si invocano nuovi comportamenti, nuovi costumi e nuovi valori, l'influenza dei Verdi risulta poco decisiva. Vediamo più in dettaglio gli aspetti della crisi ed il ruolo che vi gioca (o non vi gioca) il movimento verde.

5 aprile 1992 - fine dell'immobilismo
Con il voto del 5 aprile 1992 per il rinnovo anticipato del Parlamento perdono sensibilmente i due partiti principali, contrapposti ed avvinghiati l'uno all'altro dal 1945 (democristiani e comunisti, questi ultimi ribattezzati "partito democratico di sinistra"), e non viene premiato in nessun modo un ipotetico "terzo polo" socialista o laico (è fallito così il sogno del leader socialista Bettino Craxi di "fare come Mitterrand", sorpassando i comunisti ed obbligandoli alla subalternità). Si verifica invece una forte crescita della "Lega Nord", movimento populista e tendenzialmente secessionista del ricco Nord che individua in una sorta di levantinismo di Stato - attribuito all'influenza meridionale - l'origine di quasi tutti i mali italiani. La novità elettorale nell'ambito dei piccoli partiti e movimenti di riforma non è rappresentata nè dai Verdi (che aumentano di poco i loro consensi, restando comunque sotto il 3%), nè dai radicali di Marco Pannella (1,2%), ma semmai dalla "Rete" di Leoluca Orlando (un "movimento per la democrazia" nato in Sicilia sull'onda della riscossa contro la mafia: 2%) e dalla "Rifondazione comunista" (6%) di coloro che non accettano la socialdemocratizzazione del vecchio PCI, trasformato in PDS.


Cura di cavallo

Dopo il voto di aprile si susseguono rapidamente eventi che generano sussulti e tensioni, acuendo e rendendo sempre meno controllabile la decomposizione del sistema politico. Il Presidente della repubblica Francesco Cossiga, che aveva tentato di cavalcare contemporaneamente la crisi dei vecchi partiti e l'incubazione di nuove formazioni politiche, non di rado con venature autoritarie, si dimette teatralmente, ed al suo posto il Parlamento elegge - dopo convulsi veti incrociati tra partiti e successivi fallimenti di tutti i loro candidati ufficiali - il vecchio "outsider" democristiano Oscar Luigi Scalfaro, sgradito alle nomenklature del suo partito, dei socialisti e degli ex-comunisti ed assai lontano dalla Lega e dal MSI (neofascista), ma proposto con successo da Pannella e dai Verdi come una specie di "Pertini cattolico" capace di sottrarsi - come nel 1978 il vecchio presidente socialista eletto dopo l'assassinio di Moro - al ricatto della partitocrazia e della corruzione. Il nuovo governo del socialista Giuliano Amato, che si forma finalmente due mesi dopo le elezioni, una coalizione tra democristiani (DC), socialisti (PSI), liberali (PLI) e socialdemocratici (PSDI), non riesce ancora ad esprimere una nuova maggioranza politica (che richiederebbe un difficile concorso tra almeno parte della DC, socialisti, ex-comunisti, verdi e liberaldemocratici), ma ha visto il tramonto di tutta la generazione dei tradizionali e potentissimi notabili politici, da Andreotti a Craxi, da Forlani a De Mita, da De Michelis a Carli. La magistratura apre, a partire da Milano, una specie di safari contro politici corrotti che avevano incassato sistematicamente denaro e sostegni dagli imprenditori in cambio di assegnazioni di lavori pubblici, favori politici, provvedimenti amministrativi. Soprattutto numerosi socialisti e democristiani (ma anche comunisti, repubblicani, ecc.) finiscono in manette, ed il residuo credito della classe politico si assottiglia rapidamente fino quasi a zero.
Il nuovo governo di Giuliano Amato: forte perché debole
Il nuovo governo, con una maggioranza assai risicata (democristiani, socialisti, socialdemocratici, liberali, con l'appoggio della SVP sudtirolese), ricava la sua forza essenzialmente dalla sua debolezza e dall'assenza di alternative politiche. Così in pochi mesi riesce a imporre - anche contro proteste sociali e politiche molto robuste - provvedimenti aspri di contenimento della spesa pubblica: taglio della scala mobile degli operai ed impiegati, prelievo sui risparmi bancari, nuove imposte (casa, patente di guida, generi di lusso, operazioni bancarie, ecc.), pesanti restrizioni nel campo delle pensioni e della sanità pubblica, blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, ecc. Tuttavia la crisi della lira, precipitata a metà settembre con una svalutazione selvaggia di oltre il 20% e la fuoruscita della moneta italiana dal Sistema Monetario Europeo, fa capire che la fiducia del mondo verso l'Italia e la sua solvibilità era ormai assai incrinata. E non si vede, nonostante molte invocazioni, la possibilità che un'ampia coalizione di unità nazionale renda più accettabile o somministri con maggiore equità agli italiani l'amara medicina, visto che contemporaneamente alla credibilità del sistema economico si è esaurita quella del sistema politico italiano.
La bancarotta dei partiti - i movimenti di riforma
I quasi quotidiani titoli dei giornali che annunciano l'apertura di inchieste contro politici corrotti o sospettati di vari abusi e la manifesta crisi economico-finanziaria danno il colpo di grazia all'assetto dei partiti. Il risultato elettorale di una ricca provincia lombarda (Mantova), che alla fine di settembre fa diventare la Lega Nord il primo partito (40%), con perdite catastrofiche per democristiani e socialisti (più contenute per il PDS), suona il definitivo campanello d'allarme. Si dimettono i capi del partito democristiano. Si invocano nuove forme della politica. Gli appelli alla rifondazione della politica si moltiplicano, ed una larga parte dell'opinione pubblica ritiene di individuare nel cambiamento del sistema elettorale la leva idonea per costringere i partiti a riformarsi o a sparire. Già un anno prima un arco variegato di forze democratiche moderate (liberal-borghesi, con qualche apporto della sinistra) aveva raccolto le firme per promuovere dei referendum abrogativi del vigente sistema elettorale proporzionale in favore di un cambiamento maggioritario, forse uninominale. Ora si formano diverse ed ancora instabili coalizioni "per la riforma istituzionale", che - pur nella diversità delle forze che raggruppano - hanno alcuni tratti fondamentali in comune: si tratta di alleanze "trasversali" che non rispettano i confini dei partiti e le tradizionali distinzioni tra destra e sinistra, cattolici e laici, partiti e movimenti; chiedono in genere un rafforzamento dell'esecutivo che gli consenta di governare realmente (lo Stato, le città, le Regioni..) ed, a compensazione di tali più incisivi poteri, la possibilità altrettanto reale di un ricambio tra governo ed opposizione (come in Italia non c'è mai stato dalla caduta del fascismo in poi); auspicano una riforma costituzionale che obblighi i partiti a proporre agli elettori chiare alleanze e chiare alternative, e che superi la frammentazione politica in favore di aggregazioni più ampie - sino, al limite, al bipartitismo. Richieste come quelle dell'elezione diretta del sindaco (e/o del Presidente della repubblica o del primo ministro), della distinzione tra mandato parlamentare ed esecutivo e della semplificazione maggioritaria o uninominale delle leggi elettorali fanno parte degli obiettivi di quasi tutti i 4-5 raggruppamenti - ancor poco delineati - che si muovono in quella direzione. In questo dibattito sembra talvolta che nonostante i duri provvedimenti fiscali del governo, la dimensione sociale (per non parlare di quella ecologica!) dei problemi debba cedere il passo all'urgenza - tutti i giorni proclamata da gran parte della stampa e condivisa da molta gente - della riforma istituzionale, e che dunque i nuovi schieramenti si formino, si qualifichino e si confrontino più sulle questioni elettorali ed istituzionali che non su quelle - per esempio - economiche, ambientali, sociali o di politica estera.
E' suonata la loro ora, ma i Verdi sono spiazzati
Se si considerano queste premesse, non c'è forse neanche da meravigliarsi troppo che i Verdi siano così spiazzati e piuttosto periferici a questo tipo di dibattito politico. Si potrebbe supporre che in superficie l'attualità più bruciante sia quella economico-finanziaria e quella politico-istituzionale, e che di conseguenza le grandi emergenze ambientali debbano cedere il palcoscenico. Se in passato la questione nucleare poteva provocare un referendum popolare nel 1987, come reazione al disastro di Cernobyl, ed il degrado del territorio, l'inquinamento del mare, del suolo e dell'aria faceva "diventare verdi" molti semplici cittadini, nella crisi attuale le questioni dell'ambiente, della pace, dei diritti civili sembrano interessare meno. Dall'ecologia non derivano immediate risposte sui nodi politico-istituzionali. Ma non è solo per questa ragione, nè semplicemente perchè "il primo amore" (o l'infatuazione di moda) per l'ambientalismo è passato, che i Verdi nell'Italia del 1992 sembrano un po' assenti. Anche la loro alta litigiosità interna, il basso profilo di certe loro iniziative, la loro trasformazione in "partitino burocratico" a dispetto delle tante proclamazioni anti-partitiche e l'assenza di una "leadership" riconoscibile dall'esterno e solidalmente sostenuta da loro stessi, e forse un profondo deficit di elaborazione e di proposta, anche agli occhi di osservatori benevoli e simpatizzanti, fanno assomigliare i Verdi alle vergini stolte del Vangelo che hanno consumato l'olio delle loro lampade ben prima dell'arrivo dello sposo, e che quindi si trovano sprovvedute ed un po' inutili quando sarebbe la loro ora.
Ed è così che magari i Verdi hanno scosso l'albero, ma ora che cadono certi frutti, non sanno raccoglierli, ed il federalismo, il regionalismo, la critica anti-partitica ed anti-statalista e l'enfasi per la società civile, la priorità ambientale ed il nesso tra economia ed ecologia, le questioni del disarmo e quelle dell'emarginazione non riescono a comporsi in una forte proposta di riforma ecologista, ma oscillano piuttosto tra invocazioni puramente decorative e richiami demagogici.
Eppure la crisi che l'Italia sta passando offrirebbe, come non mai, un terreno di impegno e di verifica per i Verdi. La corruzione è andata sempre a braccetto con grandi e devastanti opere pubbliche che i Verdi avevano sempre avversato; molti criticano ormai la democrazia delegata e bloccata ed invocano, come i Verdi, elementi di partecipazione e di democrazia più diretta; il "dividendo della pace", dopo la fine dei blocchi, è un obiettivo più possibile, ed all'UNCED di Rio de Janeiro l'ambientalismo è diventato solenne ragion di Stato internazionale...
Nello sforzo di indagare se i Verdi - in Italia ed in tutta Europa - siano ormai avviati alla marginalità politica e se vi siano modi politicamente efficaci di sviluppare una presenza ecologista non solo nella società, ma anche nella politica istituzionale e rappresentativa, forse è utile ripercorrere la parabola che li ha portati, nel corso dell'ultimo decennio, dal movimento nei parlamenti.

2. Sguardo sulla genesi e sullo sviluppo del movimento ecologista in Italia
Come altri paesi mediterranei, l'Italia vede l'insorgere di un proprio movimento ambientalista più tardi di alcuni paesi dell'Europa centro-settentrionale, essenzialmente verso la fine degli anni '70, in contemporanea con il declino della "nuova sinistra" che aveva sino ad allora canalizzato molte energie di rinnovamento sociale e culturale. I Verdi come espressione politica compaiono per la prima volta verso la metà degli anni '80, ed assumono rapidamente una certa rilevanza nella vita pubblica, sino a provocare alcuni grandi confronti popolari attraverso dei referendum, e con un ingresso nei Consigli regionali e comunali ed in Parlamento senza troppe difficoltà. L'originalità della vita politica italiana si riflette anche nella vicenda dei Verdi, che a torto è stata vista talvolta con troppa sufficienza da certi osservatori "ultramontani". Tuttavia anche nei Verdi italiani si ritrovano molti tratti comuni al resto dell'esperienza dell'ambientalismo politico nell'Europa occidentale.

L'Italia non è più una macchia bianca nella geografia verde
All'inizio degli anni '80 il movimento ecologista ed i Verdi come corrente politica sono considerati un fenomeno essenzialmente legato all'Europa centro-settentrionale, forse addirittura come una sorta di invenzione tedesca. Sull'Italia vige piuttosto il luogo comune che i suoi abitanti si distinguono per sprecare senza ritegno il ricco patrimonio naturale (ed artistico), pur di poterlo monetizzare (edilizia abusiva, supersfruttamento turistico, cave e disboscamento senza scrupoli...). Ma già verso la fine dello stesso decennio l'Italia ambientalista può ostentare alcuni importanti risultati: a metà decennio viene istituito un Ministero per l'ambiente, sino ad allora del tutto sconosciuto; un referendum popolare a larghissima maggioranza decide la fine delle centrali nucleari (1987), entra in vigore una sensibile limitazione di velocità sulle strade ed autostrade (1988), una vasta raccolta di firme (1989) mira a provocare dei referendum contro la caccia e contro i pesticidi in agricoltura, il governo italiano nella Banca mondiale e nel Fondo monetario tende a stabilire un nesso tra risanamento del debito e risanamento dell'ambiente nel "terzo mondo" (1989-90). Successi che anche gli avversari riconoscono come effetti di quel movimento verde che, a partire dal 1985, aveva cominciato a diventare visibile anche in alcune Regioni e Comuni, e che dal 1987 è rappresentato per la prima volta in Parlamento: da 13 deputati verdi, in maggioranza donne.
Pochi anni fa si dibatteva ancora accanitamente se si potesse essere "verdi" senza essere prima "rossi": posizione, questa, rivendicata da taluni comunisti e da vari gruppi di sinistra che nell'approccio verde riuscivano a scorgere al massimo una nuova edizione della loro tradizionale teoria della crisi e critica al capitalismo. Ma già pochi anni più tardi non c'è forza politica che non sottolinei la sua sensibilità ambientalista: dai comunisti ai liberali, dai neofascisti ai socialisti, non esclusi - ovviamente - i democristiani. Nelle elezioni europee del 1989 si presentano addirittura due liste verdi, in concorrenza tra loro, e l'istituzione di un Ministero dell'ambiente come prima reazione all'ingresso dei Verdi nei Consigli regionali, nel 1985, mostra il peso politico che si attribuisce alla questione ambientale - ma difficilmente esistono delle città in cui si pratichi la raccolta differenziati dei rifiuti o si blocchi davvero l'ingorgo delle automobili private attraverso una coraggiosa svolta verso il trasporto pubblico.
Il fatto che in Italia il movimento ambientalista acquisti il suo peso proprio nel momento in cui sceglie di entrare nella politica istituzionale, sembra confermare un'esperienza tipicamente italiana: che cioè la politica rimane a lungo il moltiplicatore più efficace di messaggi anche culturali o comunque pubblici. La politica verde ha sicuramente almeno un merito storico incontestabile: l'aver promosso, nel giro di appena un lustro, a metà degli anni '80 (1982-1987), l'emergenza ecologica a grande questione nazionale, e l'aver fatto capire che chiunque deve ormai misurarsi con le risposte da dare alla crisi ambientale. Paradossalmente questa consapevolezza viene veicolata più efficacemente dalla partecipazione dei Verdi alla competizione politica che non dalle diverse catastrofi ambientali che pur non mancavano anche prima che esistessero i Verdi come soggetto politico: basti pensare al gravissimo incidente di Seveso (Lombardia), dove nel 1977 si è avuta una pesante fuoruscita tossica. Sembra confermato che il "sistema Italia" reagisce piuttosto ad una sfida politica (magari anche di pochi punti nelle percentuali elettorali) che non ad una assai più immediata minaccia p.es. ambientale.

Da dove viene il movimento politico dei Verdi?

Non si deve, ovviamente, ritenere che la sensibilità ambientale, che per alcuni anni (1987-1990) ha addirittura un alto grado di priorità nella coscienza pubblica italiana, sia nata su una "tabula rasa". L'interesse italiano per l'ecologia - intesa come scienza, come corrente culturale, come orientamento politico, come "spirito del tempo", come civilizzazione... - non può essere, ovviamente, considerato un mero sottoprodotto della competizione politica e dell'esistenza dei Verdi come soggetto politico. Ci sono diversi fattori da cui bisogna muovere: tra cui la tradizione di alcune delle maggiori associazioni ambientaliste. La loro azione è assai importante, e la loro funzione e la percezione della loro presenza muta sensibilmente dagli anni '70 agli anni '80. Fin dall'inizio degli anni '70 in Italia vengono avvertite non solo le ben note tensioni sociali che porteranno l'Italia più volte, nella decade, sull'orlo sia di profondi cambiamenti politici e sociali (nel 1976 appare una concreta possibilità di una maggioranza di sinistra, intorno ai comunisti), sia di reazioni violente e putschiste da parte del potere (tanto da indurre Enrico Berlinguer, capo del Partito comunista italiano, spaventato dall'esperienza cilena, a proporre un "compromesso storico tra comunisti e democristiani"). Accanto ad una corrente maggioritaria dell'impegno politico, che si caratterizza intorno alla lotta di classe, vi sono anche filoni meno appariscenti, che cominciano a reagire agli squilibri ecologici provocati da una rapida e spesso inconsulta modernizzazione ed industrializzazione, soprattutto nel campo della chimica (raffinerie, chimica per l'agricoltura, plastica, industria farmaceutica..), nel settore stradale ed autostradale, nella caotica crescita delle città e nell'edificazione selvaggia sul territorio. I primi profeti dell'allarme ecologico vengono ancora poco ascoltati, qualche volta anche per colpa di loro stessi - ad esempio quando si ostinano a voler riportare la questione ecologica comunque nello schema classista. Si pensi al pamphlet "L'imbroglio ecologico" (di Dario Paccino), allora molto letto, che se la prende con la critica alla crescita economica di stampo elitario e borghese, tipica del "Club di Roma". L'ecologia a sinistra viene vista come freno ideologico e sociale alla lotta di classe, come nuova e più presentabile edizione della tesi che "stando tutti nella stessa barca, bisogna collaborare". Anche le associazioni ambientaliste allora esistenti - da "Italia Nostra" (associazione per la protezione dell'ambiente e del patrimonio artistico e monumentale) al "Club alpino", dal WWF (World Wildlife Fund) ai gruppi della protezione animali - vengono percepite dalla sinistra come diversivo rispetto ad obiettivi veramente urgenti e popolari, o comunque come una sorta di lusso borghese. Chi non ha da mangiare o manca di un tetto, non ha tempo da perdere dietro a farfalle in estinzione o monumenti storici da proteggere, si diceva. Al massimo poteva essere apprezzata e sostenuta, a sinistra, la lotta contro la speculazione edilizia (tema tradizionalmente caro a "Italia Nostra"). Anche in campo conservatore non abbondavano le simpatie per gli ambientalisti: ciò che si intendeva "conservare", erano i rapporti di proprietà e di potere, non la natura o i beni artistici, culturali o paesaggistici. Tant'è che i milioni di voti rastrellati soprattutto dai democristiani nelle aree rurali del paese in nome di un'aspettativa autenticamente conservatrice, in realtà venivano regolarmente trasformati in altrettante cambiali in bianco per una politica dell'edificazione selvaggia, di industrializzazione (spesso precaria ed approssimata), di aumento del traffico... Non conservazione, ma forzato "progresso" era il frutto della politica democristiana e governativa: solo che esso doveva realizzarsi come modernizzazione del paese senza avventure politiche. Esisteva quindi un consistente vuoto ambientalista e conservazionista sia a destra che a sinistra.
Lo stesso conflitto intorno all'energia nucleare, che in altri paesi europei era stato un moltiplicatore di coscienza ecologista negli anni '70, in Italia solo con ritardo si rivelerà mobilitante, poichè l'industria nucleare procede a rilento, e gli anti-nucleari - provenienti prevalentemente (ma non solo) dalla sinistra radicale ed "autonoma" degli anni '70 - nell'opinione pubblica talvolta danno l'impressione di essere più interessati ad un faccia-a-faccia con lo Stato che non ad alternative di politica energetica o ad una maggiore armonia con la natura, e vengono dunque percepiti come parte del ghetto dell'estremismo. La loro influenza resta quindi ben lontana dall'ampiezza che il movimento anti-nucleare aveva raggiunto in altri paesi (e con un numero assai maggiore di centrali nucleari). Tuttavia nel 1977 i radicali intorno a Marco Pannella ed Emma Bonino raccolgono, insieme ad alcuni gruppi di sinistra, le firme per un referendum contro la scelta nucleare (che tuttavia non verrà poi ammesso dalla Corte costituzionale). Solo un tema ambientalista riesce - curiosamente - a mobilitare una larga opinione pubblica, anche poco politicizzata: l'indignazione per lo scriteriato esercizio di massa della caccia, cui si dedicano milioni di "cacciatori della domenica". Ma per il resto di ecologia - termine ancora largamente sconosciuto - si discute solo all'interno di circoli e pubblicazioni ristrette. La già citata catastrofe di Seveso, dove dall'industria ICMESA nel 1977 si ha una rilevantissima fuoriscita di gas tossici che causa un grave inquinamento da diossina, attiva, sì, numerosi gruppi di base ambientalisti e per la salute, ma si traduce in conseguenze operative più all'estero che in Italia: è da lì che la Comunità Europea prende lo spunto per la sua c.d. "direttiva Seveso" sulle industrie pericolose e nocive, che tuttavia in Italia verrà recepita con un ritardo decennale, e solo dopo che i Verdi avranno fatto il loro ingresso in Parlamento.
Si può dire, dunque, che le voci preoccupate della nascente critica ecologista vengono realmente avvertite e prese sul serio solo quando dall'estero cominciano ad arrivare le prime notizie sulle crescenti percentuali elettorali di un nuovo movimento politico, i "Verdi". La sinistra non-dogmatica, dispersa e sostanzialmente extra-parlamentare, vi vede uno spiraglio di speranza: dunque esiste, anche dopo la crisi e la sconfitta dei movimenti social-rivoluzionari degli anni '60-'70 e dopo il mancato trionfo della rivoluzione culturale ed egualitaria di quel tempo, una possibilità di sensato impegno per il cambiamento, che può rompere il muro del suono dell'irrilevanza e della marginalità, ed al tempo stesso aiutare a superare la pesante eredità degli "anni di piombo", marcati dal terrorismo e dal riflusso della fine degli anni '70 - inizio anni '80!

Arcipelago verde

Risulta, dunque, caratterizzante per il movimento verde in Italia, che esso

1) si basa su una certa preparazione del terreno da parte di ambientalisti precoci, ma ottiene la sua audience pubblica solamente verso la metà degli anni '80 attraverso l'azione di gruppi, persone ed iniziative provenienti in massima parte dalla sinistra non-dogmatica (e con molte connessioni con analoghi movimenti a nord delle Alpi);

2) conosce la sua parabola ascendente in contemporanea con quella discendente della sinistra, costituendo in certo senso una risposta alla crisi della sinistra;

3) irrompe nell'arena politica in un momento in cui la credibilità del sistema dei partiti, fortemente ideologizzato e cristallizzato, è già gravemente scossa e la stessa "forma-partito" come strumento principale di azione politica è in crisi.
A differenza di altri paesi, la maggiore flessibilità del sistema politico italiano aveva ammesso sin dagli anni '70 le minoranze radicali, di sinistra, libertarie ed antagoniste nella cerchia della rappresentanza politica e parlamentare. Quindi i Verdi italiani non dovranno coprire quell'enorme bisogno di recupero che gravava sui Verdi in altri paesi (Germania federale, Austria, Svizzera, Gran Bretagna, Francia, Svezia, Finlandia...), dove l'accesso alle istituzioni era stato più rigorosamente riservato ai partiti tradizionali, e che di conseguenza vedeva nei Verdi la prima formazione politica atipica che, entrando nei Parlamenti, finiva per raccogliere l'eredità di un arco variegato di movimenti.
I Verdi in Italia possono permettersi di non riunire nella propria rappresentanza politica una gamma così vasta di temi ed obiettivi, concentrandosi sullo sforzo di sviluppare un profilo politico chiaro, cercando di non diventare l'ennesimo mini-partitino sulla scena italiana. Intento dichiarato è quello di dare voce alla "società civile", nella sua dinamica sociale e culturale, non di ritagliarsi una piccola "societas perfecta" in verde, a fianco degli eventi e delle forze in campo.
I Verdi in Italia come movimento esistono comunque già alcuni anni prima di entrare nelle istituzioni. Il periodo di incubazione comprende essenzialmente la prima metà degli anni '80, quando il cosiddetto "arcipelago verde" cresce e si diffonde con numerose iniziative. Ne sono protagonisti la "Lega per l'Ambiente", ad esempio, che nasce in seno ai settori più impegnati della sinistra classica, o i molti gruppi ecologisti locali caratterizzati dai connotati dell'antimilitarismo, dell'impegno non-violento ed anti-nucleare, della critica al consumismo e dell'impegno nel settore dei rifiuti e del riciclaggio, o i gruppi impegnati nella medicina popolare o nelle iniziative anti-traffico. Anche tra i radicali di Marco Pannella nasce un ramo verde: costituiranno la sezione italiana degli "Amici della Terra". Associazioni più tradizionali e prestigiose - come il WWF e "Italia Nostra" - ne ricevono nuovi impulsi. Quando si parla dei "verdi" nei mass-media e nell'opinione pubblica, si intende l'insieme di questo arcipelago, senza distinguere molto le singole venature, nè tra chi aspira anche alla rappresentanza politica o chi preferisce l'azione diretta, nel sociale: li accomuna la sottolineatura dell'urgenza di una profonda correzione ecologica del modello di civiltà e la concretezza delle loro iniziative e proposte. Così una "goletta verde" indagherà lungo le coste italiane sull'inquinamento del mare e delle spiagge, le "università verdi" diventeranno in molte città (soprattutto medio-piccole) dei luoghi di formazione culturale, scientifica e politica degli ambientalisti, e dietro le barche che su iniziativa dei gruppi di base nella laguna di Venezia si oppongono alle navi che scaricano fanghi industriali, si mobilitano larghe simpatie e consensi.

Le diverse tonalità del verde

Fin da allora si possono distinguere tre-quattro linee-guide principali che caratterizzano il movimento e sono riconoscibili in qualche misura ancora oggi.
Vi si trovano i verdi esplicitamente a-politici, impegnati soprattutto in certe associazioni, che non vogliono contaminare l'ecologia attraverso la politica - anche se poi spesso non pochi notabili della politica e degli affari sono membri illustri o addirittura dirigenti onorari di quei sodalizi. Altri, al contrario, premono perchè ci si butti al più presto e nel modo più deciso nell'agone politico, formando sostanzialmente qualcosa come un partito verde (visto da non pochi come partner naturale e quasi riedizione rinnovata della sinistra, mentre altri vorrebbero il partito verde in posizione critica anche verso la sinistra): le associazioni ambientaliste più recenti ("Lega per l'Ambiente", "Amici della Terra") e numerosi tra i reduci dell'ex-nuova-sinistra e di qualche altra formazione politica possono essere annoverati tra coloro che spingono per un impegno elettorale dei Verdi e si augurano una politica di riforma, anche ecologica, portata avanti attraverso l'azione politica e parlamentare. Altro filone notevole è costituito dall'area dei gruppi locali, autonomi e di base, che insistono soprattutto sull'"ecologia della mente" e si caratterizzano fortemente per una linea dello "small is beautiful": essi, in genere, desiderano cimentarsi anche in politica (tra l'altro per evitare che il marchio verde venga usurpato da veri e propri "zombies della politica"), ma guardano alla politica con una radicata diffidenza, insistendo molto su alcuni correttivi quali la rotazione nelle cariche, la limitazione dei mandati, la pari rappresentanza dei sessi e così via.
E' questa la miscela che - dopo alcune positive esperienze locali nel Sudtirolo, in Trentino ed in alcun Comuni dell'Italia settentrionale - porta nel 1985 all'ingresso di liste verdi in circa la metà dei Consigli regionali e nel 1987 di una rappresentanza un po' improvvisata, ma sostanzialmente efficace, nel Parlamento nazionale (Camera dei deputati). Le percentuali elettorali non sono stravolgenti (in media 2,5-3%, con punte nelle metropoli e nel Nord, dove si registrano anche 4-6%), ma il paesaggio politico italiano resta profondamente segnato dall'entrata dei Verdi nelle istituzioni: tanto più, quanto più i Verdi - nati non come partito, ma solo come coordinamento piuttosto leggero tra liste locali - si rifiutano di farsi assimilare ad un campo politico pre-determinato, sottraendosi all'automatica aggregazione alla sinistra.

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