Fondazione Alexander Langer Stiftung ETS
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Numero 2

Ivan Illich, il plurilingue - "Nuova Ecologia", 1985

Ero un ragazzo quando incontrai per la prima volta Alex Langer. Era lì, a bordo strada, davanti all'Istituto Tecnico Cesare Battisti, attorniato da qualche giovane studente e da un paio di persone più grandi, universitari certamente. Non so perché mi avvicinai, e rimasi ad ascoltarlo. Non ero politicamente impegnato, o meglio lo ero come molti altri, seguivo un po' l'onda, ma avevo anche il contraltare della passione musicale nel quale il mondo engage della politica era assai conservatore. Ad esempio per loro Dylan era ancora quello di Blowin in the Wind, o Masters of War, benché fossero passati quasi 10 anni. Comunque lo ascoltai, ed il ricordo che mi è rimasto impresso è quello di una strana accoppiata, determinatezza e serenità. Benché anche lui usasse gli stilemi marxisti, un armamentario davvero pesante, c'era nel suo sguardo, nella sua voce una pacatezza sincera ed appassionata che affascinava. Fu così che andai alcune volte ad ascoltarlo alla sede di Lotta Continua. Fu una passione fugace, la ricerca di qualcosa che non mi era chiara, di mezzo poi c'era la questione rivoluzionaria che da un lato ammaliava ma dall'altro mi spaventava. Certo cambiare, ma proprio tutto?, e proprio in quel modo? Ricordo per esempio il fastidio che davano le lettere che ricevevo da amici e che finivano con “Saluti comunisti”. Mi chiedevo: ma “saluti”non basta?. Quella intromissione della politica nelle relazioni umane personali mi sembrava pericolosa. D'altra parte il motto “tutto è politica” regnava nelle teste in qual periodo.

Nel corso della mia vita ho spesso ripensato alla sua figura e cercato di capirne la qualità specifica che mi portava a considerarlo al di là della condivisione delle idee. Si trattava forse del suo coraggio, della sua capacità di cambiare, del suo stile? Ma. D'altra parte stile, capacità di cambiare e coraggio sono intrinsecamente connessi, perché il coraggio dà la forza di cambiare, lo stile consente di rimanere se stessi. Se guardiamo con un certo distacco la questione credo che nel cambiamento, un allontanamento dalla una certa fissità della politica marxista, ebbe una parte rilevante il pensiero e la conoscenza di Ivan Illic, uno dei più radicali, anche se meno noti, critici della civiltà del 900. I suoi test, da Descolarizzare la società, Nemesi medica, Elogio della bicicletta, hanno corroso in modo profondo alcuni aspetti apparentemente positivi, o almeno neutri della società, direi anzi alcuni miti fondanti della civiltà occidentale: la scuola, la sanità, i trasporti. Altri quali “La convivialità”, “Nella vigna del testo. Per una etologia della lettura” toccano invece elementi meno concreti, più nascosti, argomenti molto amati del radicalismo umanistico che obbliga di porsi in modo dubbioso di fronte ad ogni aspetto del vivere sia sociale che intimo.

Certo non fu il solo a portare Alex Langer verso quella “conversione ecologica” che ne fece una sorta di “guru verde” europeo, ma certamente la lettura e l'incontro con Illic segnò un forte impulso ad approfondire un dibattito pubblico ed intimo verso una rivisitazione delle stesse tematiche classiche dell'ecologismo accentuandone gli aspetti personali, anche il modo di porsi di fronte agli altri, spingendo il movimento ad allontanarsi dalla sola “paura della catastrofe” quale spinta motivazionale.

Langer e Illic ebbero modo di incontrasi varie volte, la prima viene ben raccontata da Edi Rabini in una pagine web del sito, e di apprezzarsi. La pagine che presentiamo quest'oggi è un articolo apparso su “Nuova Ecologia” dell'ottobre 1985, dedicato appunto alla figura del sociologo viennese seguita ad una visita e relativo incontro che si ebbe quello stesso anno a Bolzano.

Anche in queste pagine possiamo apprezzare la qualità del testo di Langer: il suo riassunto del pensiero di Illic, la delineazione della sua personalità, - per certi aspetti affine quella di Langer , ad esempio non parlare di quello che tutti vogliono sentire- sono rese in modo semplice ed efficace ma non superficiale, il che, tenendo conto dell'argomento, non è certo impresa facile.

S.P.E.S.

 

 

Ivan Illich, il plurilingue

Non si definirebbe certo un "ecologo" o un "verde". Eppure la sua visione delle cose è un forte punto di riferimento per molti verdi, e parecchie sue speranze sono legate ai movimenti verdi. Nei confronti dei quali, però, sa anche essere molto scettico. Soprattutto per quella loro tendenza a voler costruire a tavolino il nuovo mondo, guardando solo al futuro e non tenendo conto del passato. E forse anche perchè attingono troppo dai libri e troppo poco dagli usi e costumi e dalle saggezze popolari. E per certe tentazioni al ritorno alla natura che saltano a piè pari cultura e civiltà. Ma, infine, parla di "ecologia politica" in tutto il mondo, dal Messico al Giappone, dagli Stati Uniti all'India ed all'Europa, ed insiste su quel "politico" con fermezza, tacciando di ingenuità molti verdi. Perchè chi non sa vedere la storia, non capisce la dimensione politica dei rapporti tra gli uomini, e neanche con la natura, par di capire.

L'uomo di cui si parla è Ivan Illich, prete - anzi, col grado di "monsignore" - cattolico, ex-rettore (a meno di 30 anni) dell'Università di Puerto Rico, attualmente professore di non so quante e quali discipline (tra cui "Storia del sistema fognario") in non so quante Università, iniziatore del Centro di documentazione inter-culturale di Cuernavaca (Messico), autore di numerosissimi libri e saggi, in varie lingue, ed uno dei più radicali critici della civiltà tecnologica, cui oppone una visione di convivialità, non elaborata nel quadro di alcuna utopia, bensì ricavata da una attenta esplorazione storica di quanto nelle diverse civiltà si è sviluppato prima che il mercato mondiale tutto mangiasse e tutto omologasse. Illich non vive in una caverna, non disdegna in assoluto l'automobile o l'aereo per spostarsi (anche se preferisce il treno), non sembra praticare nessun genere di salutismo nella sua alimentazione e nel suo stile di vita. Ma da anni non legge i giornali: si vede che l'attualità quotidiana gli appare fatua ed inconsistente, mentre nella ricerca - che so - sulla formazione del vincolo coniugale nel diritto canonico del XII° secolo riesce ad illuminare più aspetti della vita (dalla considerazione del corpo ai rapporti interpersonali o al governo delle coscienze..) che non nella quotidianità politica.

Quando Illich si trova a contatto con il suo pubblico, preferisce in genere una forma seminariale. Aborrisce e rifiuta i mass-media (persino un fotografo non-avvoltoio può farne le spese), non rilascia interviste, e non accetta il ruolo di conferenziere che "dà la linea". Piuttosto cerca un dialogo che sarà tanto più ricco quanto più i diversi partecipanti interverranno con domande o proprie osservazioni, basate però su precise conoscenze (indagini, letture, esperienze dirette, riferimenti pratici - non luoghi comuni sentiti dire o leggiucchiati da qualche parte). Trovano poca grazia, invece, opinioni ed idee, tanto meno se espresse con termini alla moda. Si tratta, nel caso di Illich, di un maestro che svolge con gusto una funzione didascalica, e che pretende che si intervenga in maniera fondata e documentata. Non è un "tuttologo", per quanto ampi e vari siano i suoi campi d'indagine (dalla scuola alla salute, dall'acqua al computer, dai diritti civili alla percezione del corpo..). Qualcuno ne rimane deluso e lo trova "poco organico", altri ne ricavano spunti decisivi per orientare o correggere la propria visione del mondo.

Un incontro che Ivan Illich ha accettato di tenere con un ampio pubblico a Bolzano, nel giugno 1985, conferma le caratteristiche del protagonista. Dovunque egli trova pane per i suoi denti, si sveglia subito la sua lucida curiosità. Ed invece che parlare di ambiente, di risorse, di tecnologia o di sanità - argomenti che almeno una parte dei convenuti si aspettava - Illich percepisce subito l'importanza fondamentale che nel Sudtirolo riveste il problema della lingua, dei confini tra lingue e culture, del confronto tra loro, delle reciproche pretese di superiorità o di esclusività.

E così comincia a raccontare di un aspetto particolare di se stesso, che diventa poi anche il centro della discussione: si parla del pluri-linguismo.

"'Ivan, come mai non sei pazzo? Come mai non risenti della schizofrenia tipica dei plurilingui?' Così mi sento domandare sempre più spesso, da quando sono in voga certe teorie secondo le quali il possesso contemporaneo di più lingue porta alla scissione della personalità. Ed io ci ho pensato e voglio formulare proprio qui un'ipotesi che vorrei approfondire: che cioè l'uomo non sia naturalmente destinato ad apprendere una sola lingua, ma sia - per così dire - naturalmente plurilingue. Homo naturaliter pluri-linguis, invece che naturaliter mono-linguis.. Come in tutti gli altri campi si tratta di rovesciare una presunta ovvietà o verità lapalissiana, dimostrando che essa viene smentita dalla storia, che non si tratta di qualcosa di metafisico che deve essere così, ma di qualcosa di assai storico, che ad un certo punto è diventato così, per determinate ragioni ed in determinate circostanze, ma che potrebbe essere anche altrimenti, e che spesso è relativamente recente, nella storia, e non 'da sempre così', come spesso si pretenderebbe.

Ed infatti l'idea dell'uomo 'naturalmente monolingue' è un'idea moderna, europea e colonialista. E così come solo molto tardi il confine dell'uomo viene fatto coincidere con i confini della sua pelle (così che egli 'finisce', 'termina' con essa), perdendo via via tutta quell'aura intorno, fatta di odori personali, di specifiche forme di appartenenza e così via, anche il confine tra le lingue è diventato cartesianamente netto ed artificioso. Come in tanti altri campi: per esempio con la recinzione ed appropriazione privata dei pascoli o di altri usi civici.."

Ivan Illich sviluppa una sua idea-forza: la maggiore ricchezza, complessità e varietà delle società più conviviali contrapposta alla forzosa riduzione a linearità, ad univocità, a fungibilità, a risorsa amministrata e mercificata che si ritrova nelle società dominate dal mercato, eretto a dimensione e parametro principale o addirittura unico.

Lo stesso discorso che vale sui rapporti tra uomo ed il resto della natura: finché gli uomini si trovano inseriti in un contesto ambientale di dimensioni conviviali (pre-industriali, sostanzialmente), non esiste la scarsità, se non in occasione di particolari eventi calamitosi, e - per converso - i bisogni umani sono commisurati a ciò che la terra può offrire, quantitativamente e qualitativamente, con una grande ed irripetibile varietà da luogo a luogo. Lo spazio vernacolare - nella lingua, negli usi, nei costumi, nell'accesso comunitario a beni comuni come aria, acqua, bosco, pascolo.., ma anche nei rapporti umani, nel perimetro delle amicizie, e così via - è per Illich la dimensione naturale dell'uomo e delle cose. Dove naturale non è una nozione biologica, ma eminentemente storica. La scarsità, la necessità di scavalcare tempo e spazio con le tecnologie della velocità e della comunicazione, gli squilibri.. tutto questo è il frutto velenoso di un processo di rottura, di separazioni, di definizione dei confini nitidi tra "proprio" ed "alieno", tra lingua e dialetto, tra bene d'uso e bene di scambio, tra ambiente e risorsa, tra norma e devianza, tra salute e malattia, tra comunità ed istituzione.

"Ricreare un'aura di convivenza, di tolleranza dell'alterità (anche linguistica) è il presupposto per la riscoperta del plurilinguismo, e questo conta molto di più che non i corsi di lingua o le invenzioni scolastiche. Pensate quante caratteristiche del parlare si sono cancellate ed uniformate: dall'intonazione agli accenti, dal tono alla voce, dalla melodia alla frequenza dei vocaboli... le lingue sono molte di più di quanto non ne registrino la linguistica o i dizionari, o le grammatiche di Stato. Bisogna smascherare le pretese ideologiche di chi crede di aver stabilito quali sono le lingue, e quali i dialetti o gli idiomi.. come tutte le altre pretese di definizione scientifica, avanzate in realtà in nome di interesse economici e politici e per poter meglio occupare le cose, rendendo misurabile, amministrabile e dominabile il mondo", dice Illich. Ed aggiunge: "quello che ho detto delle mille caratteristiche del parlare che si sono cancellate o uniformate, lo si potrebbe dire altrettanto dei modi di accendere una luce o percorrere un cammino o arredare una casa.."

Ecco un esempio - particolarmente inconsueto - di un'opera di "ecologia politica", come Ivan Illich la definisce: ripristinare, nelle nostre menti, prima di tutto, con una solida base storica (di quello che è stato, non di quello che potrebbe essere!) la multiforme varietà del mondo, senza cedere al ricatto della semplificazione distruttiva, che sempre risponde ad imperativi economici o politici assai poco ecologici.

 

(pubblicato su "Nuova Ecologia", 1985)

 

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