Woody Guthrie
Questa terra è la mia terra
Marcos y Marcos, 2011 Pagine 573
«Scrivo le cose che vedo, le cose che ho visto, le cose che spero di vedere, da qualche parte, in un posto lontano.»
Partiamo con un po' di polemica: il titolo, con cui lo stesso traduttore a fine testo cerca di fare i conti. Il buon Woody lo chiamò “Bound for Glory” cioè “Verso la gloria” o ancor più provocatorio “Destinato alla gloria”. Cos'ha che non va questo titolo? Forse la parola gloria o la parola destino non sono adatte ad un personaggio per certi aspetti così underdog? Forse non si percepisce a che gloria Woody faccia riferimento o a che destino? Penso che cambiare un titolo nella traduzione, a meno che non sia assolutamente necessario per difficoltà intrinseche di comprensione del significato originario sia un po' ritenersi più autori dell'autore.
Una vita straordinaria è rivelata nelle pagine di questa autobiografia, condita anche da un po di fiction alla meniera di Jack London, una “tempesta di parole” che spesso Guthrie fatica a dominare, egli non è un intellettuale, ha una formazione che si basa soprattutto sulla storia orale, e che trova nell'immediatezza la sua specifica voce, con le ovvie conseguenze di forti scarti interni. Insomma Guthrie non è Steinbeck.
Si parte dalla giovinezza in un Oklahoma ancora molto “west”, molto ingenuo e crudele, in una città cresciuta sul boom petrolifero, dove Woody Guthrie nasce nel 1912 e dove vive una infanzia molto selvaggia, segnata però da diverse tragedie, la morte della sorella maggiore Clara, quella successiva della madre Nora, il fallimento della ditta paterna, i lavori saltuari, per esempio pittore di insegne di negozi. E poi la catastrofe naturale delle tempeste di sabbia che devastarono le grandi pianure e poi la grande depressione che spinsero Guthrie con tanti altri “Okyes” ad andare in California. La terra promessa. Lì fece i suoi primi passi come folksinger, incise i suoi primi dischi, ebbe le sue prime difficoltà con la legge, che poi proseguiranno con la caccia alle streghe del maccartismo, per finire i suoi giorni in un ospedale poco lontano da New York dove si era trasferito alla fine degli anni trenta entrando in contatto con Pete Seeger ed Alan Lomax ed altri ricercatori delle tradizioni musicali popolari.
Ed in questa vita il motore, nel quotidiano, nelle lotte politiche e sindacali, nelle sconquassate vicende sentimentali, nelle disordinate scorribande sui treni, merci, nelle nottate con gli hobos, nelle scazzottate fuori dai bar, sono le canzoni, perchè Woody Guthrie è si un ribelle, è si un comunista nel cuore, ma è prima di tutto un autore che sente come un peso, una responsabilità questa sua inclinazione. E le canzoni di Woody, che Dylan definisce “fuori categoria” cioè inclassificabili, questi parti di un “manovale della canzone” come amava definirsi, sono un nuovo mondo poetico e musicale. Sono canzoni di protesta, sono canzoni politiche certo ma sono anche in qualche modo l'eredità del mondo di Mark Twain, (il treno, il fiume, la strada), sono l'espressione del sogno e della gioia del muoversi su rotte imprevedibili, della fantastica intensità di una terra ancora per larga parte selvatica dalle notti incredibilmente stellate, dalle sorgenti cristalline.
Perché in Woody c'è si il folk, ma c'è anche il country, l'amore per un sound intramontabile che trova nelle ballate uno sfogo liberatorio. Ciò appare con più evidenza nelle composizioni postume inserite nel progetto Maimaid Avenue, realizzato da Billy Bragg e dai Wilco, che hanno musicato i testi mai utilizzati da Woody. (ascoltate ad esempio “California Stars”.
Il suo mondo che trasuda di umanità dolorosa inaugura una stagione di grandi lotte: quando nel letto di un'ospedale del New Jersey, un giovanissimo Bob Dylan, infatuato dell'ascolto delle “Dust Bowl Ballads” (1940) e dalla lettura di Bound for Glory, (1943) lo va a trovare e passa tanti week-end al suo capezzale, l'America, sta imboccando una nuova difficile ma straordinaria strada che porterà proprio in quegli anni al Free Spech Movement, alle marce di Martin Luther King, alle dissidenze della Berkeley University, radice delle rivolte studentesche. E tutto questo ha in lui in iniziatore, un bizzarro, incontrollabile precursore.
Nei periodi recenti in cui l'America, gli stati Uniti d'America, si sono così distinti nel loro ruolo più inviso, penso che sia utile , come antidoto a cadere nel manicheismo, ricordare cosa è anche americano, molto americano, e cioè un forte insopprimibile senso di libertà che certo si fonda si sull'io e sulla tradizione idealista, e non sul noi, ma che nei suoi migliori interpreti sa colmare questa distanza, sa attutire le profonde crepe sociali di una società spesso grossolana, sa combattere con intensità ed umanità – gira anche la voce che Woody fosse visto anche come una specie di guaritore – le ingiustizie, le sfortune, i drammi di un mondo fatto di contrasti profondi, quasi primordiali.
Buona lettura
P.S Per gli amanti del cinema forse sarà inutile questa indicazione, ma esiste anche una bella versione cinematografica del libro diretta nel 1976 Al Ashby (quello di Oltre il giardino, L’ultima corvè, Harold e Maude) con David Carradine nella parte di Woody. Vederlo serve anche per percepire il fatto che “Dust Bowl Ballads”, non è un titolo metaforico.