Adelphi 1994
Il mondo che ho visto
di Mario Praz
Quando ero studente universitario su Mario Praz girava la leggenda che portasse sfortuna – mai nominarlo prima di un esame. La ragione di questa diceria ovviamente era ignota, chi la associava alla tematica dark e byroniana del suo più famoso libro “La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica”, chi alla sua cattiveria nelle recensioni letterarie o chissà che altro. Sta di fatto che era un nome piuttosto inviso. Certo il suo assoluto snobismo e la sua predilezione “passatista” non gli favorivano la relazione con le avanguardie dei rumorosi anni settanta.
Sta di fatto che il più grande anglista italiano, il raffinato cultore d'arte e forse il maggiore conoscitore dell'età a cavallo tra sette ed ottocento (albori e sviluppo dello stile impero) era letto quasi di nascosto, sie per tema delle conseguenze scaramantiche, sia per la sua inattualità.
Oggi, passate le ordalie, si può riflettere sulla sua eredità letteraria, cospicua ed interessantissima, consiglierei anche la straordinaria “Filosofia dell'arredamento” , ma in questo contesto “Il mondo che ho visto”, opera che raccoglie numerose annotazioni di viaggio – Praz fu un traveller assai ostinato – rappresenta forse il passaggio d'entrata più invitante.
In esso si può apprezzare ovviamente il suo scrivere articolato ma ristretto, la sua inusitata conoscenza, ma soprattutto il suo down to date, il suo essere “a spasso coi tempi” e non al passo coi tempi. Cosa che vista oggi, devo dire, intenerisce il cuore. Infine, non ultimo motivo, è venire a contatto con “occhi che sanno vedere, con occhi che penetrano nell'essenza delle cose».
Buona lettura.