Fondazione Alexander Langer Stiftung ETS
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A Irfanka Pašagic; il Premio Internazionale Alexander Langer 2005

Irfanka Pašagić è nata a Srebrenica nel 1953. Dopo aver studiato a Sarajevo e Zagabria, ottenendo la specializzazione in psichiatria, è tornata a lavorare nella sua città natale, dove è rimasta fino all’aprile 1992.
Nel corso della prima ondata di pulizie etniche è stata deportata raggiungendo insieme ad altri profughi, dopo varie traversie, la città bosniaca di Tuzla che dopo la caduta di Srebrenica nel luglio del 1995 fu invasa da una nuova ondata di profughi, perlopiù donne e bambini, vedove e orfani, tutti in condizioni terribili. Lì, nell’ambito della rete internazionale “Ponti di donne tra i confini”, creata nel 1993 da “Spazio Pubblico” di Bologna, Irfanka ha fondato il centro “Tuzlanska Amica”. Grazie a un progetto di “adozione a distanza”, in questi anni è riuscita a dare una famiglia a oltre 800 bambine e bambini, e ora anche una casa agli orfani entrati nella maggiore età. La sede dell’associazione, dotata di un bel giardino e di un salone in cui si tengono corsi di lingua, feste e incontri conviviali, è diventata uno dei pochi luoghi dove donne, bambini, uomini traumatizzati, possono ricevere aiuto psicologico, ma anche assistenza medica, sociale, scolastica e legale. Si sono così creati anche alcuni posti di lavoro, destinati in primo luogo a giovani donne, anch’esse profughe, che per la loro esperienza sono in grado di entrare in profonda empatia con le persone che si rivolgono al centro.
L’adozione a distanza, sostenuta da una straordinaria rete di associazioni e istituzioni operanti soprattutto in Emilia Romagna e Liguria, non si limita alla distribuzione di soldi: i genitori adottivi, oltre allo scambio di lettere e foto, ricevono puntualmente un rapporto sullo stato di salute, sull’andamento scolastico dei bambini e sono incoraggiati a visitarli a Tuzla o a ospitarli per periodi di vacanza e ristoro.
Grazie all’organizzazione olandese “Mala Sirena” Irfanka Pašagić ha potuto concretizzare quella che era stata un’altra intuizione importante: la creazione di un team mobile, per andare a cercare e assistere nelle campagne, tra gli oltre 250.000 profughi che vivono in condizioni molto precarie nel distretto di Tuzla e Srebrenica, i casi più difficili e nascosti, attivandosi dapprima con un aiuto di tipo umanitario, per poi verificare l’opportunità di un intervento anche psicologico per i componenti più vulnerabili del nucleo familiare.
Irfanka Pašgić partecipa al progetto “Promoting a Dialogue: Democracy Cannot Be Built with the Hands of Broken Souls”, diretto dalla psicologa e “traumatologa” di New York Yael Danieli, per il quale si è anche recata alcune volte in Ruanda. E’ un progetto di dialogo interetnico, rivolto specificamente agli operatori e ai professionisti dell’assistenza sociale e medico-psicologica, teso a rompere quella “cospirazione del silenzio” che tanto contribuisce a perpetuare traumi e conflitti tra le generazioni. E’ questo anche il senso della sua collaborazione con l’associazione “Women of Srebrenica” e con molte persone, come la belgradese Natasa Kandic e la kosovara Vjosa Dobruna, già premi Alexander Langer nel 2000, impegnate con lei nella stessa direzione. Il suo lavoro di psichiatra è ben descritto dal libro “Traumi di guerra” e dalla raccolta di racconti “I bambini ricordano”, realizzata dalla pedagogista della sua équipe Ljubica Itebejac.
Fin dall’inizio del suo impegno Irfanka Pašagić ha dimostrato grande sensibilità e buon senso nell’individuare forme adeguate di aiuto alle decine di miglia di profughi accolti nel distretto di Tuzla. Ha dato costante sostegno al lavoro delle organizzazioni di volontariato, locali e internazionali, scoraggiando qualsiasi discorso fondato su stereotipi e non lesinando critiche anche alla propria parte. E’ infatti difficile sentirla parlare di “Serbi”, “Croati”, “Bosniaci”, perché, secondo Irfanka, ciascuno deve rispondere delle proprie responsabilità individuali.
Nella sua lunga esperienza con le donne e i bambini traumatizzati ha ascoltato centinaia di storie terribili, eppure non c’è mai rancore nelle sue parole, neanche quando parla di chi occupò la sua casa.
Ogni volta che qualcuno le chiede della situazione in Bosnia, Irfanka risponde: “vieni a vedere”. E’ poi sempre molto curiosa di conoscere le impressioni dei suoi “ospiti”, instancabilmente disponibile a rispondere alle loro domande oltre che ad accogliere il disagio delle persone più sensibili. A “Tuzlanska Amica” offrono la loro collaborazione volontaria molti giovani, che vi trovano un luogo di formazione fertile e ben accompagnato. Il corso per operatori e operatrici di pace, organizzato dalla Formazione Professionale di Bolzano, ha per questo stipulato un accordo per lo svolgimento a Tuzla di alcuni stage previsti dal programma didattico.
Irfanka Pasǎgić può essere davvero definita una “portatrice di speranza”. Nell’assegnare a lei il premio quest’anno la Fondazione vuole contribuire a una necessaria riflessione sulla strage genocidaria di Srebrenica e nello stesso tempo a ripercorrere i passi che avevano portato Alexander Langer ad adottare dieci anni fa le ragioni della città interetnica di Tuzla.


Il Presidente del Comitato Scientifico Renzo Imbeni
Il presidente della Fondazione Helmuth Moroder

Il Comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer Stiftung, composto da Renzo Imbeni (presidente), Gianni Tamino (vicepresidente), Anna Bravo, Ursula Apitzsch, Patrizia Failli, Annamaria Gentili, Liliana Cori, Pinuccia Montanari, Margit Pieber, Alessandra Zendron, ha deciso di attribuire a Irfanka Pašagić, presidente di Tuzlanska Amica, il premio internazionale Alexander Langer 2005, dotato di 10.000 euro offerti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.

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Irfanka Pasagic

Irfanka Pasagic è nata a Srebrenica nel 1953. Dopo aver studiato a Sarajevo e Zagabria, ottenendo la specializzazione in psichiatria, è tornata a lavorare nella sua città natale. 

Nell’aprile del 1992, nel corso di una delle prime ondate di pulizie etniche, culminate nella strage genocidaria di Srebrenica, è stata deportata, raggiungendo dopo varie traversie, insieme ad altre migliaia di profughi, la città bosniaca di Tuzla.

Lì, nell’ambito della rete internazionale, “Ponti di donne tra i confini” creata nel 1993 dalle donne di “Spazio Pubblico” di Bologna assieme ad altre donne della ex Jugoslavia, ha fondato il centro “Tuzlanska Amica”. Grazie a un progetto di adozione a distanza fatto proprio da associazioni che operano soprattutto in Emilia Romagna e Liguria, in questi dieci anni Tuzlanska Amica ha dato una famiglia a oltre 850 bambini, ed è diventata ben presto uno dei pochi luoghi dove donne, bambini, uomini traumatizzati, possono ricevere aiuto psicologico, ma anche assistenza medica, sociale, legale. L’adozione a distanza non si limita alla raccolta e distribuzione di preziosi aiuti finanziari. Chi adotta riceve infatti un rapporto costante sullo stato di salute dei bambini e del loro andamento scolastico e familiare, ed è incoraggiato a visitarli a Tuzla o od ospitarli per periodi di vacanza, cura e ristoro. 
Grazie a un’organizzazione olandese, Mala Sirena, Irfanka Pasagic ha potuto mettere in atto quella che era stata un’altra intuizione importante: la creazione di un Team mobile, per andare a cercare e assistere nelle campagne, tra gli oltre 250.000 profughi che vivono in condizioni molto precarie nel distretto di Tuzla e Srebrenica, i casi più difficili e nascosti, attivandosi dapprima con un aiuto di tipo umanitario, per poi verificare l’opportunità di un intervento anche psicologico per i componenti più vulnerabili del nucleo familiare.

Irfanka Pasagic partecipa inoltre alla rete “Promoting a Dialogue: Democracy Cannot Be Built with the Hands of Broken Souls”, guidato da Yael Danieli, psicologa e “traumatologa” di New York, consulente per le Nazioni Unite, per il quale ha effettuato viaggi di studio e lavoro in altri paesi, tra i quali il Ruanda. E’ un progetto di dialogo interetnico teso a rompere quella “cospirazione del silenzio” che tanto contribuisce a perpetuare traumi e conflitti tra le generazioni. 
E’ questo anche il senso della sua collaborazione con l’associazione “Women of Srebrenica” e con molte persone, come la belgradese Natasa Kandic e la kosovara Vjosa Dobruna, già premi Alexander Langer nel 2000, impegnate nella stessa direzione. 
Fin dall’inizio della sua esperienza di profuga, Irfanka Pasagic ha dimostrato grande sensibilità e buon senso, nell’individuare forme adeguate di aiuto ai profughi. Ha dedicato costante attenzione al lavoro delle Ong (ad esempio battendosi affinché nei progetti per le donne fossero inclusi anche i bambini, o denunciando la perdurante assenza di luoghi d’ascolto anche per gli uomini), scoraggiando qualsiasi discorso fondato su stereotipi e non lesinando critiche anche alla propria parte. E’ infatti difficile sentirla parlare di “Serbi”, “Croati”, “Bosniaci”. Secondo Irfanka ciascuno deve rispondere delle proprie responsabilità individuali.
Nella sua lunga esperienza con le donne e i bambini traumatizzati ha ascoltato centinaia di storie terribili, eppure non c’è mai rancore nelle sue parole, nemmeno quando parla di chi occupò la sua casa: “Sicuramente profughi anch’essi”, spiega. 

Ogni volta che qualcuno le chiede della situazione in Bosnia, Irfanka risponde: “vieni a vedere”. Molto curiosa poi di conoscere le impressioni dei suoi ospiti o dei giovani volontari che offrono la loro collaborazione, instancabilmente disponibile a rispondere alle loro domande ed accogliere il disagio delle persone più sensibili. 
Con l’assegnazione di questo Premio la Fondazione vuole conribuire ad una necessaria riflessione sulla strage genocidaria di Srebrenica e nello stesso tempo a ripercorrere i passi che avevano portato Alexander Langer ad adottare dieci anni fa le ragioni della città interetnica di Tuzla. 

Il premio è stato consegnato ad Irfanka Pasagic il 1 luglio a Bolzano, nell’ambito della manifestazione internazionale Euromedterranea




Irfanka Pasagic: c/o Tuzlanska Amica, Hasana Kikica, 1, 75000 Tuzla (BiH)
tel. 00387 75 256014 fax 312321 Mail: tz-amica@bih.net.ba


Ulteriori notizie sul lavoro di Irfanka Pasagic, possono essere richiesti via mail, telefono fax alla Fondazione o nei siti di adottando, macondo3, Una città, osservatorio dei balcani 


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Tuzlanska Amica, scheda

Tuzla è una città della Bosnia nordorientale. Pur essendo stata colpita dalla guerra, non ha subìto i pesanti bombardamenti che hanno martoriato Sarajevo. Tuttavia le varie ondate di profughi cacciati dai villaggi contigui in seguito alla pulizia etnica, oltre 60.000 persone, hanno provocato uno stato di emergenza che ancora oggi pregiudica il ritorno alla normalità dell’intera regione.

Già nel 1992 infatti Tuzla vede arrivare le prime donne rifugiate provenienti dai campi di concentramento, quando ancora i racconti della sistematica pulizia etnica, dei massacri e degli stupri paiono inverosimili.
Nell’inverno del 1993 poi la città rimane completamente isolata per mesi.
La peculiarità di Tuzla è che, anche grazie alla tenacia e al coraggio del suo sindaco, Selim Beslagic, tutta la cittadinanza, senza riguardo per l’appartenenza etnica, rimane unita, anzi si compatta e organizza una difesa civica della popolazione dall’esercito, dai paramilitari e dagli altri gruppi estremisti; proprio questo farà di Tuzla una città “particolare” nel panorama dei centri colpiti dalla guerra.
Il 25 maggio del 1995 (giornata nazionale della gioventù in tutta la ex Jugoslavia), poco prima che l’intervento della comunità internazionale ponga fine ad un conflitto che dura già da quattro anni, la città di Tuzla vive un’ulteriore tragedia: una granata cade nel cuore della città, uccidendo 71 persone, perlopiù giovani che si erano dati appuntamento nella piazza per andare in qualche caffè o locale. Era infatti una delle prime giornate calde dopo un lungo inverno e i giovani, nonostante le sirene continuassero a suonare, erano ormai insofferenti di rimanere chiusi in casa.

Tuzlanska amica è un’associazione nata a Tuzla nell’ambito di una rete internazionale, “Ponti di donne tra i confini”, creata nel 1993 dalle donne di Spazio Pubblico di Bologna assieme ad altre donne della ex Jugoslavia.
L’obiettivo originario è la creazione di un centro per l’assistenza e la cura delle donne traumatizzate. Di lì a poco Spazio Pubblico e il Gvc lanciano la prima campagna di raccolta fondi per finanziare un progetto ginecologico-sanitario. Le attività cominciano però solo nel settembre 1994 in coordinamento con Bologna e Friburgo.
Le principali attività di Tuzla Amica consistono in assistenza medica ginecologica e generica, sostegno psichiatrico e terapia psicologica, attività culturali e ricreative per i bambini.
Dalle donne l’intervento progressivamente si orienta anche verso i gruppi familiari, assistendo bambini, anziani, disabili.
La situazione più drammatica resta comunque quella delle campagne. Nella maggior parte dei casi infatti i musulmani in fuga da Srebrenica, Zvornik, Bratunac, Bijelijna, Brcko e l’area circostante si sono limitati a occupare le case abbandonate dai serbi, spesso già pesantemente danneggiate, dove ancora oggi sopravvivono in abitazioni prive di porte, finestre, acqua, elettricità e, cosa più grave, completamente isolati e dimenticati.
Tra l’altro, in queste zone, la famiglia-tipo è composta da nonni e nipotini, perché la generazione di mezzo è stata decimata dalla guerra.
Tuzlanska Amica ha però presto avuto la felice intuizione che i casi più difficili non si sarebbero presentati all’associazione per chiedere aiuto. Bisognava quindi andare a cercarli.
Così da qualche anno, in collaborazione con un progetto finanziato da una fondazione olandese, Mala Sirena, è stato allestito un team mobile (assistente sociale, psicologa, medico) che gira per le zone più isolate, indviduando i casi più difficili e attivandosi dapprima con un aiuto di tipo umanitario, per poi verificare l’opportunità di un intervento anche psicologico per i componenti più vulnerabili del nucleo familiare, ossia donne e bambini. In realtà non è infrequente che si presentino anche uomini a chiedere aiuto all’associazione. La pulizia etnica che ha colpito la Bosnia ha decimanto la popolazione maschile, i superstiti hanno spesso riportato gravi traumi in seguito alla detenzione nei centri di detenzione, alla perdita dei familiari, per non parlare della gravissima frustrazione –parliamo di una società, specie nelle campagne, ancora profondamente patriarcale- per non aver saputo proteggere la parte più debole della famiglia, ossia donne e bambini.

Tuzla oggi sta ricominciando a vivere. Le strade sono trafficate. I giovani affollano le vie e i caffè del centro, i negozi hanno di nuovo gli scaffali pieni di merce. E tuttavia la città vive una situazione, per certi versi, schizofrenica: la popolazione locale sta molto lentamente riprendendo a vivere, anche se gli investimenti economici tardano ad avviarsi -parliamo di condizioni economiche ancora precarie; ma i profughi che, soprattutto dopo la caduta di Srebrenica (1995) si sono riversati in massa nel cantone e nella città di Tuzla, continuano a vivere nei vari centri di raccolta collettivi nati all’inizio della guerra (Mihatovici, quello alle porte di Tuzla, fino a poco tempo fa, ospitava circa 4000 di cui 800 sono bambini) senza alcuna prospettiva di cambiamento. Lo statuto di “profugo” esclude infatti questa fascia della popolazione dal mercato del lavoro. Da qui l’aprirsi di un sempre più profondo baratro tra i profughi e locali.
Nel 1998 sono stati avviati inoltre diversi progetti di adozione a distanza, in partiolare con il Cral dell’Emilia Romagna e della Liguria, oltre che con associazioni sorte spontaneamente a Bagnolo, Forlì, Bologna, ecc. per offrire un aiuto concreto ai molti bambini profughi rimasti orfani di entrambi i genitori o che vivono in condizioni drammatiche. 

Ad oggi Tuzlanska Amica, che ha recentemente cambiato sede (Hasana Kikica, 1, Tuzla), è riuscita a far adottare ben 850 bambini. 
Il lavoro del team mobile recentemente è diventato più difficile perché è in atto un movimento di ritorno ai luoghi d’origine dei musulmani, contestuale a un ritorno, pur relativamente più limitato, dei profughi serbi nella Federazione. 
Il ritorno per il momento interessa più la fascia di popolazione con meno risorse, quella costretta a lasciare la sistemazione trovata durante durante la guerra in seguito a uno sfratto o all’evacuazione in atto in molti dei centri di raccolta collettivi. 
L’associazione si trova così costretta a seguire i bambini in zone anche piuttosto lontane da Tuzla, come l’area di Brcko (dove è stata aperta una nuova casa), o quella di Bratunac, nei pressi di Srebrenica (dove pure è in atto un ritorno, anche se non consistente). L’intervento in queste aree di ritorno è tuttavia fondamentale perché i bambini musulmani che tornano alle loro case nell’attuale Repubblica Serba di Bosnia spesso devono affrontare il disagio di trovarsi in classe di soli bambini serbi, con programmi scolastici serbi; in alcuni casi i genitori rifiutano addirittura di far loro proseguire la scuola. Oltre alle difficoltà legate all’assistenza socio-sanitaria e all’assenza, in molti casi, di acqua e ellettricità nelle case ricostruite, che comunque restano in condizioni precarie.

 

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