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Paolo Bergamaschi: NON C'E' PACE PER LA BOSNIA CONDANNATA ALLA PARALISI

12.12.2020, La Gazzetta di Mantova - Il Commento

Il 14 dicembre del 1995 si concludeva la guerra in Bosnia. In quella data, a Parigi, fu, infatti, formalmente sottoscritto l'accordo negoziato dalle parti il mese precedente alla base aerea di Dayton, negli Stati Uniti. Nel luglio dello stesso anno si era consumato il genocidio di Srebrenica. La tragedia bosniaca, in realtà, termina solo nel febbraio del 1996 con la fine dell'assedio di Sarajevo, durato quattro anni. E' stata, senza dubbio, la pagina più nera della storia moderna del vecchio continente. E' bene ritornare su quel periodo; dimenticare sarebbe una colpa grave, sia per chi ha vissuto quei momenti sia per chi, i più giovani, ne ha solo udito l'eco. C'è un libro uscito in questo giorni che porta un titolo emblematico: "Dayton, 1995, la fine della guerra in Bosnia Erzegovina, l'inizio del nuovo caos". Quell'accordo, in effetti, ha fermato la mattanza, ed era la cosa più urgente da fare allora, ma ha imprigionato il futuro di un paese. La complicata impalcatura istituzionale architettata a Dayton, una debole federazione divisa fra due entità, dieci cantoni e altri livelli amministrativi, ha condannato la Bosnia Erzegovina alla paralisi. Dolore, rimpianto, rassegnazione e frustrazione si accavallano nel venticinquesimo anniversario dell'accordo. Quello di Dayton fu un'ardita operazione di ortopedia geopolitica. La Bosnia era una mini Jugoslavia dove per secoli Croati, Serbi e Bosgnacchi avevano convissuto senza grossi problemi nella stessa terra intrecciando i destini, gli affetti e le aspirazioni. Il virus del nazionalismo, poi, ha preso il sopravvento contagiando le coscienze e obnubilando la ragione. Nel giro di pochi mesi la furia sciovinista si è scaricata con una violenza e una ferocia terrificanti con l'obiettivo di disfare e ripulire etnicamente un tessuto sociale inestricabile. La società bosniaca si è fratturata in tre spezzoni. L'esclusivismo etnico è diventato il principio fondante delle comunità. La reazione dell'Unione Europea fu confusa, tardiva e inefficace. Ci volle il genocidio di Srebrenica con lo sterminio pianificato a freddo di ottomila civili per scuotere le coscienze dei leader occidentali obbligandoli a intervenire. Le milizie di Radovan Karadzic e Ratko Mladic furono costrette a fermarsi. A rappresentare gli interessi dei serbi al tavolo negoziale fu Slobodan Milosevic, incriminato successivamente dal Tribunale Penale Internazionale per i Crimini di Guerra nella ex Jugoslavia. Con l'accordo di Dayton si ingessò la situazione sul terreno confidando che il tempo avrebbe pazientemente sanato le fratture ricreando le condizioni per un futuro comune. Nulla di tutto questo, purtroppo, è avvenuto. Croati, Serbi e Bosgnacchi continuano a vivere da separati in casa. Tutti manifestano un'insoddisfazione crescente per quell'accordo ma tutti sanno che senza quell'accordo la Bosnia Erzegovina collasserebbe. Il paese multietnico, multiculturale e multireligioso di una volta esiste solo sulla carta, ancora parzialmente commissariato dalle Nazioni Unite.

In Italia furono in tanti a mobilitarsi, negli anni novanta, per soccorrere la popolazione bosniaca piagata dalla guerra. Comuni, parrocchie e associazioni di volontariato organizzavano regolarmente convogli che si recavano nei più sperduti angoli della Bosnia a portare aiuti umanitari. Si creò una fitta rete di contatti e di relazioni che in buona parte resiste ancora. Anche in Bosnia esiste una società civile che sostiene e difende i diritti della persona cercando di sbarazzarsi delle gabbie etniche in cui è stata rinchiusa. Guarda all'Europa e si domanda perché nel proprio paese il principio di appartenenza etnica prevalga sul diritto di cittadinanza. Nel 2016 la Bosnia Erzegovina ha ufficialmente presentato domanda di adesione all'Ue. Le disfunzioni istituzionali incardinate nell'accordo di Dayton, però, impediscono all'ex repubblica jugoslava di progredire nel percorso di avvicinamento. Come un gatto che si morde la coda. Chi poteva è partito svuotando il Paese delle menti più fertili. Chi non l'ha ancora fatto, forse, sta solo aspettando il momento migliore per farlo. Non c'è pace per la Bosnia.

Gazzetta di Mantova 12 Dicembre 2020

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