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Paolo Bergamaschi: IL COMMERCIO DELLE ARMI NON RISENTE DELLA CRISI

13.11.2020, La Gazzetta di Mantova - Il Commento

C'è un settore industriale che anche in piena crisi economica non ha subito battute d'arresto. E' quello delle armamenti. In tanti ricordano ancora le immagini della scorsa primavera, all'inizio della pandemia, con gli americani in fila davanti all'ingresso delle rivendite di armi da fuoco per acquistare rivoltelle e fucili. Come se dal covid-19 ci si potesse proteggere con una raffica di proiettili e non con una mascherina sul volto come fanno gli europei. Vi sono evidenti differenze culturali fra le due sponde dell'Atlantico. Le armi leggere non sono di casa nell'Unione Europea. Basta spostarsi nei Balcani, però, per avere accesso ad un torbido mercato clandestino dove è possibile procurarsi pistole e kalashnikov a piacimento. Quello del contrabbando di armi rimane una delle piaghe più pericolose di questo angolo d'Europa per la gioia del crimine organizzato che qui attinge per rimpolpare e allungare ovunque i suoi tentacoli. Un discorso diverso vale per le armi pesanti. In questo settore l'Ue ha cercato di mettere un po' d'ordine regolamentandone la produzione e il commercio. Lo ha fatto nel 2008 adottando una posizione comune sull'esportazione delle armi emendata lo scorso anno. Le armi non possono essere assimilate a merce qualsiasi; devono essere soggette ad un regime speciale che non metta a repentaglio la sicurezza degli altri e garantisca la propria. L'industria europea della difesa è uno dei settori più fiorenti del continente. Secondo le statistiche la quota complessiva di armi tedesche, francesi, inglesi, italiane e spagnole è seconda solo a quella degli Usa coprendo il 23% del mercato mondiale. La maggior parte di queste finiscono in Medio Oriente, regione particolarmente instabile che non brilla certo per quanto riguarda l'affermazione del diritto internazionale e la conformità ai principi democratici. Sono otto i criteri che i Paesi Membri devono soddisfare per la concessione di licenze di esportazione alle imprese che lo richiedono. Fra questi spiccano ai primi quattro posti il rispetto degli obblighi internazionali, il rispetto del diritto internazionale e di quello umanitario nel paese di destinazione finale della fornitura, la situazione interna dello stesso e il mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità della regione. Fra l'enunciazione dei principi e la loro attuazione, però, si registra spesso un fossato che a volte sembra incolmabile. In primo luogo non esiste un organismo terzo a livello comunitario incaricato di verificare l'applicazione dei criteri concordati e di comminare sanzioni a chi li infrange. Ogni governo si comporta come ritiene opportuno e, spesso, i lucrosi interessi delle commesse prevalgono sulle ragioni di principio. Succede, così, che mentre Germania, Finlandia e Danimarca hanno bloccato la vendita di armi all'Arabia Saudita per le violazioni dei diritti umani e il ruolo di questo paese nella catastrofe umanitaria della guerra in Yemen, la Francia non ne ha condiviso le obiezioni e ha dato semaforo verde alle esportazioni. Anche se non ha competenza diretta in materia l'Europarlamento prova ogni anno a fare sentire la propria voce. Lo fa con una relazione puntuale che mette in evidenza luci ed ombre di questo delicato settore. In quella dello scorso settembre la relatrice, l'eurodeputata tedesca Hannah Neumann,ha chiesto più trasparenza nelle comunicazioni degli Stati Membri sulle licenze concesse, un controllo più oculato sugli utilizzatori finale delle armi esportate, una maggior coerenza fra le diverse politiche nazionali e un coinvolgimento più marcato dell'Ue nel controllo dell'export. E l'Italia? Fra i pochi stati citati in termini critici nella relazione dell'Eurocamera per i quali si invoca l'intervento di Bruxelles c'è l'Egitto. E proprio l'Egitto, secondo la Rete Italiana per il Disarmo, è il destinatario della quota più rilevante delle commesse di armi esportate dal nostro paese nel 2019.

Gazzetta di Mantova, 13 novembre 2020

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