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Paolo Bergamaschi: La resistenza di Taiwan e le tentazioni della Cina

25.7.2020, La Gazzetta di Mantova - Il Commento

Può un paese di un miliardo e mezzo di abitanti destinato a diventare nel giro di pochi anni la principale superpotenza del pianeta sentirsi minacciato da una piccola isola di ventitre milioni di abitanti confinata in un limbo diplomatico? La risposta è sì anche se sembra assurdo. Non si parla, però, di minaccia militare. Si parla di sistemi politici contrapposti nell’ambito della stessa nazione. Mi riferisco, per chi non l’avesse ancora capito, alla Repubblica Popolare Cinese e a Taiwan. La prima si sta imponendo sulla scena internazionale sia con una frenetica politica di penetrazione economica che con una politica estera sempre più aggressiva mentre la seconda, senza essere rappresentata nei più importanti organismi internazionali, tenta disperatamente di sopravvivere nell’ombra alla ricerca di protezione dall’ingombrante vicino. Era il 1949 quando il leader nazionalista Chiang Kai-sheck riparava in quella che era conosciuta come isola di Formosa, in fuga dopo la sconfitta contro l’esercito popolare condotto da Mao Zedong. Fino agli anni novanta all’ascesa al potere del Partito Comunista a Pechino ha fatto da contraltare a Taipei la ferrea dittatura del Kuomintang, il Partito Nazionalista. Poi, però, Taiwan, una volta morto il dittatore, ha saputo riformare il proprio sistema politico sviluppando una democrazia esemplare mentre nella Repubblica Cinese vige ancora la dittatura di partito. Dal 2000 le due principali forze politiche dell’isola si sono alternate al potere con programmi diversi per quanto riguarda le relazioni con quella che era una volta la madre patria senza, però, mai mettere in discussione le istituzioni democratiche. Per la Repubblica Popolare Cinese Taiwan continua ad essere una provincia ribelle che deve tornare sotto il controllo di Pechino. Tempi e modi, tuttavia, sono ancora da definire anche perché ben pochi sull’isola sono disposti ad ascoltare i canti delle sirene della terraferma. Quello che la leadership comunista offre è il principio dei “due sistemi in un unico paese” cioè il mantenimento della democrazia a Taiwan fianco a fianco del regime attuale in vigore in Cina. Si tratta della stessa formula di coesistenza di regimi diversi in autonomia negoziata fra Pechino e Londra quando nel 1997 Hong Kong è tornata sotto il controllo cinese. Come si è dimostrato in questi giorni, però, quell' accordo ormai è carta straccia. La dittatura comunista non tollera che democrazia e libertà fondamentali mettano radici rischiando di propagarsi oltre i confini dell’ex colonia britannica. Troppo pericoloso per chi spaccia una verità unica imposta dall’alto. Tanto più per chi afferma, come non cessano di ripetere le autorità di Pechino, che i diritti umani sono valori occidentali estranei alla cultura cinese. Dopo gli ultimi drammatici sviluppi a Hong Kong sono molti gli osservatori che sostengono che la prossima vittima dell’espansionismo cinese sarà proprio la democrazia taiwanese. Per anni fra le due sponde dello Stretto di Formosa le parti hanno intavolato un dialogo che aveva come obiettivo la riunificazione pacifica della nazione cinese. Adesso la Cina, però, sembra avere perso la pazienza e non esclude più l’opzione militare. E’ solo grazie all’ombrello protettivo americano se Taiwan ha resistito fino ad oggi. Dell’Unione Europea si sono perse le tracce a parte qualche innocua dichiarazione di principio che invita le parti a tornare al tavolo negoziale. Meglio non irritare Pechino; gli interessi di mercato, è il ragionamento di fondo, prevalgono sulle questioni di principio. Eppure la crisi sanitaria in corso dovrebbe indurre Bruxelles, e ancora di più l’Italia che con la Cina ha sottoscritto un patto scellerato di adesione alla Nuova Via della Seta, ad abbracciare con convinzione la causa di Taiwan rafforzando le relazioni politiche bilaterali. E’ stata Taiwan, infatti, la prima a lanciare l’allarme sull’epidemia scoppiata a Wuhan costringendo la Cina ad ammettere l’emergenza in corso anche se con parecchie settimane di ritardo. Le bugie in un sistema aperto multipartitico durano poco. Riuscirà il sasso della democrazia scagliato dal Davide taiwanese a colpire nell’occhio il Golia cinese? Sì, a patto che l’Europa e l’Italia, in particolare, abbandonino, finalmente, opportunismo e pavidità.

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