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Paolo Bergamaschi: Perché Trump si considera al di sopra della legge

5.7.2020, La Gazzetta di Mantova - Il Commento

Non bastavano le divergenze su Iran, Cina, Balcani e Medio Oriente ad agitare le acque fra le due sponde dell'Atlantico che adesso un'altra controversia, meno geopolitica e più di principio su cui dovrebbe reggersi l'ordine mondiale, rischia di avvelenare ulteriormente le relazioni fra Bruxelles e Washington. "La Corte Penale Internazionale vuole giustizia, non essere bullizzata" era il titolo di un editoriale comparso recentemente sul New York Times. L'autore, il giudice nigeriano Chile Eboe-Osuji, ricopre l'incarico di presidente del tribunale con sede all'Aja. Oggetto dell'intervento era la decisione di Donald Trump dello scorso undici giugno che impone sanzioni contro il personale della Corte Penale Internazionale incaricata di svolgere indagini sui crimini più gravi commessi durante il conflitto in Afghanistan. Come sottolinea Human Rights Watch, una delle più prestigiose organizzazioni che opera in difesa dei diritti umani, le investigazioni aperte nei giorni scorsi riguardano gli abusi più seri perpetrati sia dai Talebani che dalle forze governative afghane e vanno dalle esecuzioni sommarie alle sparizioni forzate, dalle torture sistematiche agli attacchi contro i civili. Potrebbero riguardare, però, anche eventuali violazioni commesse dai militari americani e dagli agenti della Cia dislocati a Kabul. "Queste azioni della Corte Penale Internazionale" recita l'ordine esecutivo firmato dal presidente Trump "minacciano di calpestare la sovranità degli Stati Uniti e intralciare la sicurezza nazionale e la politica estera del governo degli Usa…. Gli Usa non hanno mai accettato la giurisdizione del Tribunale nei confronti proprio personale….".

"Non c'è pace senza giustizia" era uno dei miei slogan preferiti durante la massiccia mobilitazione negli anni novanta per fermare la guerra in Bosnia-Erzegovina e la pulizia etnica in corso punteggiata da una terrificante sequela di eccidi e brutalità che hanno martoriato il processo di disintegrazione della ex Jugoslavia. L'accordo firmato a Dayton alla fine del 1995 mise fine ai massacri, condizione indispensabile per iniziare un processo credibile di pacificazione fra le parti. Due anni prima, accogliendo l'appello di migliaia di intellettuali, uomini di cultura, politici e pacifisti di ogni dove, le Nazioni Unite avevano istituito il Tribunale Penale Internazionale per i Crimini di Guerra nella ex Jugoslavia per perseguire e punire chi si era macchiato delle violazioni più gravi e non aveva subito alcuna procedura giudiziaria in merito in patria. Sul banco degli imputati finirono nomi noti come i serbi Radovan Karadzic e Ratko Mladic, responsabili del genocidio di Srebrenica di cui si commemora in questi giorni il triste venticinquesimo anniversario, e altri meno noti di Croazia, Montenegro, Serbia e Kosovo per un totale di 161 persone. L'impunità è il principale ostacolo alla riconciliazione. Non è possibile sanare le ferite e progettare un futuro comune se prima non si lavano con il diritto le colpe commesse. Ancora oggi i tribunali statali delle repubbliche che hanno preso il posto della Jugoslavia si occupano dei crimini minori, ma non per questo meno importanti, commessi durante quel periodo. Risale, invece, all'anno successivo, il 1994, l'istituzione del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda. Anche questo organo faceva seguito ad un genocidio, quello della popolazione tutsi, che portò all'eliminazione di più di mezzo milione di cittadini innocenti del paese africano la cui unica colpa era l'appartenenza all'etnia "sbagliata". Lo Statuto di Roma firmato nel 1998 ed entrato in vigore nel 2002 colma un vuoto giuridico del diritto internazionale. Basta tribunali ad hoc che si occupano a singhiozzo delle violazioni più gravi perpetrate di volta in volta negli angoli più diversi del pianeta; basta corti speciali che per alcuni, più a torto che a ragione, assomigliano più alla giustizia dei vincitori calata sul capo chino dei vinti. Nasce un'unica Corte Penale Internazionale permanente collegata alle Nazioni Unite con il compito di perseguire i crimini di guerra ed i crimini contro l'umanità in tutti quei Paesi che hanno ratificato lo statuto di fondazione. A tutt'oggi sono 123 e fra questi non figurano gli Usa insieme, peraltro, a Russia e Cina. L'Unione Europea è l'unica fra i grandi attori globali che pervicacemente sostiene la Corte considerandola un elemento indispensabile per l'esercizio del diritto sulla scena mondiale. Nessuno deve ritenersi al di sopra della legge. Un mondo più giusto deve basarsi sulla forza del diritto e non su chi si arroga arbitrariamente il diritto all'uso della forza.



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