Wolfgang Sachs: Un'estetica della misura
Il tema di oggi è “La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”. Sono parole di Alex, da lui pronunciate nel corso dei Colloqui di Dobbiaco del 1994 dal titolo “Benessere ecologico e non illusioni di crescita”.
L’intervento di Alex era uno degli ultimi ed era tutto incentrato su questa frase.
Darò il mio modesto contributo su come forse possiamo assolvere l’incarico che ci ha dato. Secondo Alex la questione nodale non è tanto cosa possiamo o dobbiamo fare, ma dove trovare motivazione e impulsi per addivenire a una svolta. E non saranno singole misure come VIA più meticolose o disposizioni più severe sugli imballaggi che ci consentiranno di arrivarvi, quanto piuttosto il riuscire a radicare nuove idee e nuovi sogni nella nostra società. Vorrei tentare di rispondere e nel contempo accetto la prima lezione. Probabilmente l’ambientalismo potrà affermarsi solo quando scomparirà, diventando un comportamento assolutamente naturale. E forse non è un caso che Alex abbia sempre ripetutamente chiesto lo scioglimento del partito dei Verdi e il suo fondersi in altre formazioni e partiti. Credo che alla base ci fosse l’idea che il verde non potrà sopravvivere come colore a sé stante, ma solo diventando il colore di sfondo delle principali idee ispiratrici della società. In questo senso vorrei abbozzare tre ragionamenti e in quindici minuti tentare di inserire alcuni elementi fondamentali del pensiero verde nelle generali linee di sviluppo. Lo farò attorno a tre concetti: prudenza, equità e arte di vivere.
1) La prudenza, tradizionale virtù cardinale, antica virtù. Il suo contrario è la miopia, il non vedere oltre il proprio naso. Il prudente non è utopista, è realista, tenta di vedere la realtà in modo razionale. Il prudente è anche quello che non rimuove o allontana, perché sa che ciò che ha rimosso prima o poi ritorna.La prudenza – e con ciò ci avviciniamo al tema odierno – ha probabilmente a che fare col guardare l’insieme, il tutto, col vedere le cose nel loro contesto, con una “visione sistematica”, col tenere ben presente la complessità di situazioni e realtà. E’ quindi una virtù in contrasto con la massimizzazione lineare, perché così si tende a ottimizzare un “obiettivo”, correndo il rischio di perdere di vista il contesto. Saggezza è la capacità di tenere presente il contesto.
Oggi esiste una miopia storicamente importante che sta alla base della nostra civiltà economica e rappresenta in pratica l’elemento costitutivo del nostro pensiero economico. Da circa 150 anni pensare in termini economici, vale a dire il modo in cui è percepita l’economia, il modello attuale, si basa sulla supposizione che la natura sarà in eterno generosa dispensatrice. Per questo motivo non è necessario considerarla un elemento centrale del pensiero economico. Allo stesso tempo ciò significa che di per sé solo l’uomo può produrre valore/reddito, non anche la natura. Tuttavia oggi sappiamo che, volendo monetizzare, l’insieme dei servizi che la natura offre al mondo rappresenta all’incirca il doppio della ricchezza mondiale prodotta annualmente. Ciò nonostante da 150 anni ci si dimentica della natura. Questo ha portato a un tipo di sviluppo tecnologico che ha puntato soprattutto sul fatto di produrre il più possibile con meno manodopera possibile. Oggi che il contesto storico è mutato, questo modello si sta rivelando irrealistico, perché non tiene conto delle effettive contingenze e perciò è poco “accorto”. Per essere saggi-accorti è necessario non perdere di vista il contesto, tenendo sempre ben presente che l’economia è solo un sottosistema della biosfera. Per questo motivo, per essere prudenti bisogna cambiare le priorità e non creare un’economia che va producendo sempre più e questo con sempre meno manodopera. Dovremmo creare un’economia che produce sfruttando meno la natura e che usa intelligenza e investimenti per creare profitto impiegando il meno risorse possibile. Per arrivare a ciò ci vuole saggezza-accortezza alla base del ragionamento economico. E’ ovvio che questo comporta un grande talento da ingegnere, il cambiamento del modello di produzione e di consumo, un progetto per l’architettura, per la struttura sanitaria, per i mezzi, per l’agricoltura ecc. Credo si possa arrivare a questa conclusione, perché è chiaro cosa s’intenda per produzione a zero emissioni: una rete di produttori di energia solare indipendenti. Tutto ciò significa saggezza-accortezza. Cos’è al giorno d’oggi un eccellente manager o un eccellente economista se non pensa in questa direzione? Dovrà agire secondo il motto coniato da Günther Pauli: “Non aspettarti dalla natura che produca di più. Aspettati dagli uomini che riescano a fare di più con quello che la natura produce.”
2) Equità. Sono convinto che in questi anni cambierà il significato, il modo di intendere equità e giustizia. Il 25% della popolazione mondiale consuma il 75% delle risorse mondiali. L’ambiente globale, il patrimonio naturale di cui il mondo dispone è distribuito in modo assolutamente squilibrato. Tutti sanno che, giustamente, non possiamo più permetterci di essere ingiusti, perché con la globalizzazione il mondo è diventato più piccolo. Dopo la globalizzazione la questione della giustizia non può più essere rimandata. Il mondo è diventato più piccolo e le distanze si sono accorciate, alcuni dicono che non esistono più. Il tempo è diventato “real time”. Questo non vale solo per i benefici della globalizzazione, ma anche per gli effetti negativi. Anche se è una bella cosa che ci mettiamo poco per andare alle Seychelles o che posso comunicare con la mia ragazza a New York via internet, come lo posso fare io, lo può fare anche un criminale. I mali e le piaghe viaggiano ugualmente veloci, dalle epidemie alle conseguenze di disastri ecologici. Per questo motivo ci ritroviamo sempre più in una condizione di reciproca vulnerabilità. E in questa situazione di crescente reciproca vulnerabilità la giustizia diventa sempre meno un lusso. Di giustizia non si occupano più gli ingenui, gli idealisti, ma i realisti. Chi oggi guarda in faccia la realtà, deve porsi domande sulla sicurezza e queste portano inevitabilmente a domande sulla giustizia e l’ingiustizia. Se si cerca un alleggerimento dell’attuale situazione mondiale, e credo che tutti lo vogliano, si diventa automaticamente ecologisti. Anche i giovani, che si chiedono come andremo avanti nei prossimi 50 anni, ci stanno riflettendo. Il ruolo del petrolio nella guerra in Iraq è un ottimo esempio per descrivere i conflitti ambientali che si delineano all’orizzonte. La domanda di petrolio è in continuo aumento. Sappiamo che nei prossimi dieci anni arriveremo a un punto, in cui la produzione non potrà più aumentare e la domanda supererà l’offerta. E poi cosa succederà? Il prezzo del petrolio aumenterà. Il petrolio non sparisce, ma diventa più caro. E poi si aggiungono ulteriori consumatori come la Cina, l’India, la Malesia, il Venezuela, il Brasile e il Messico che pretendono la loro fetta della torta petrolifera. Alla lunga si prospetta una chiara situazione di conflitto. E tutti coloroi che oggi riflettono su pace e sicurezza sono costretti ad affrontare la questione ecologica dell’esauribilità delle risorse fossili. Quindi non vi è alcun dubbio che l’ecologia rientra nelle riflessioni su pace e sicurezza.
E cosa sarebbe la giustizia nel mondo? Credo sia importante vedere la giustizia non come una ricetta di felicità, ma di libertà. Non credo che tutti debbano avere la stessa parte di risorse. Perché i finlandesi non devono poter consumare più foreste degli italiani? Oppure i tedeschi più acqua che i malesi? Gli ecosistemi sono diversi e non offrono le stesse risorse. L’essenziale è non legare la giustizia all’idea di felicità, vale a dire credere che tutti abbiano diritto allo stesso soddisfacimento, ma considerarla un elemento di libertà. Tutti hanno il diritto di perseguire nel loro modo il loro progetto per una vita riuscita o una società che funziona. Il punto è: Se uno aumenta le proprie prerogative di libertà a scapito di un altro, si crea un’ingiustizia. A mio avviso, la regola di Kant per cui “la propria libertà finisce dove comincia la libertà dell’altro” vale anche per la distribuzione delle risorse su scala mondiale. Non vi è alcun dubbio che oggigiorno molti popoli non possano più avvalersi della loro parte di risorse per il loro sviluppo autonomo e alla pari, perché queste parti sono già state prese da altri paesi più ricchi. Questa ingiustizia è acuita dall’esauribilità, perché meno risorse ci sono e più l’iniquità diventa evidente. Da ciò si può trarre solo una conclusione: Non solo per il petrolio, ma anche per i pesci, per le foreste, per la fertilità dei terreni a medio e lungo termine esisterà solo una via democratica. Indubbiamente esiste la via dell’apartheid globale, ma c’è anche la via democratica, quella di reinventare il benessere. Il benessere andrebbe concepito in modo da poter risultare equo, da consumare meno risorse, da diventare così democratico che tutti al mondo possano parteciparvi senza mandare la biosfera alla sua rovina definitiva.
Quindi la riduzione delle richieste (pretese) di risorse è una necessità essenziale per l’equità e questa verità anche i non verdi non potranno ignorarla.
3) L’arte di vivere. Secondo il modello imperante il consumo porta maggiore felicità. Tuttavia per esperienza sappiamo che oltre un certo livello persone con un reddito maggiore non sono più felici. E gli americani che rispetto agli anni 50 hanno quadruplicato il PIL, non per questo sono quattro volte più felici. E già questo deve fare riflettere.
Tuttavia un altro punto di vista è più importante. Nella tradizione filosofica occidentale una vita bella e riuscita non significa potersi concedere ogni piacere, ma sapersi creare i propri piaceri, adeguandoli agli alti e ai bassi. Per questo i pensatori classici ci avvertono anche sempre che l’essere e il rendersi indipendenti dalle offerte, dai consumi è un elemento essenziale per essere, alla lunga, felici, mantenere l’indipendenza e, come credo, per mantenere la padronanza dei propri desideri. Credo che questo sia l’assillo di parecchia gente. Andiamo verso una società a opzione multipla, con enormi quantità di inviti, di accordi, di appuntamenti e in cui diventa sempre più difficile non essere trascinati via dalla marea di cose e di impegni. A questo punto si verifica qualcosa di strano, che “il poco può di fatto portare al di più” e proprio oggi, perché non è la scarsità, la penuria a minacciare la nostra indipendenza, ma la sovrabbondanza di opzioni. Nessuno di noi è in pericolo perché ha troppo poco. Si può anche essere in pericolo perché si ha troppo. E chi vuole gestire la propria vita autonomamente deve sempre più avere la capacità di saper dire anche “no!” Ad un livello elementare, chiunque utilizza internet sa che se non è in grado di dire no non arriverà mai a niente. Per questo motivo credo che oggi stia pian piano diventando più facile parlare di un benessere economizzatore di risorse, di parlare di un “meno”, ma in cambio “più concentrato”. In poche parole, l’estetica della misura sta diventando più necessaria, senza la quale non è più possibile salvare il proprio volere. Oggigiorno chi vuole salvare il proprio volere, ha bisogno di un’estetica della misura, perché è circondato dalla sovrabbondanza. Concludo con una citazione di Ödon von Horwath: “In realtà sono tutt’altra persona, solo che arrivo ad esserlo alquanto di rado.”
(Intervento a Bolzano, Euromediterranea 3.7.2005)
traduzione a cura di Christine Stufferin