Premio Internazionale Premio Internazionale premio 2017 - Angalià - Asgi

Libro Premi Langer alla CAmera Excursus Premi Langer dal 1997 al 2023 Anna Bravo: il filo rosso dei Premi I premi 1997-2018 Premio 1997 Algeria Premio 1998 Ruanda Premio 1999 Cina Premio 2000 Kosovo-Serbia Premio 2003 Italia Premio 2004 Polonia Premio 2001 Israel-Palest. Premio 2002 Ecuador Premio 2005 Bosnia Erzegovina Premio 2007 Sudafrica Premio 2006 Indonesia Premio 2008: Somalia premio 2009: Iran premio 2010 Fondazione Stava premio 2011 Haiti premio 2012 Tunisia premio 2013 - Donatori di musica Premio 2014 Borderline Sicilia Premio 2015 - Adopt, Srebrenica premio 2017 - Angalià - Asgi
motivazioni
premio 2018 - Istituto Arava
premi Langer 1997- 2011 (18) Premio 2004 (2) Premio 2005 (13) Premio 2006 (8) Premio 2007 (15) premio 2008 (18) premio 2008 -II (18) premio 2009 (36) premio 2010 (6) premio 2011 - haiti (36) premio 2012 - Tunisia (26) premio 2013 - Donatori di musica (15)

“Angalià”. Un consuntivo del 2016

4.6.2017, Angalià

La parte più importante della nostra azione nel 2016 è stato il programma pilota 200+200. Il suo obiettivo era sostenere 200 famiglie del posto ma anche 200 famiglie di profughi con gravi problemi sull’isola di Lesbo. Al di là di ogni eventuale appoggio economico, miravamo ad avvicinare le persone tra loro e lanciare il messaggio della comune solidarietà fra i locali e i profughi facendo capire che nel mondo di oggi la povertà e la persecuzione, le discriminazioni e l’emarginazione hanno fattori generanti comuni e possono essere affrontate solo attraverso la solidarietà comune e collettiva, senza discriminazioni. Il programma è stato sostenuto da amici nostri di tutto il mondo, collettivi greci e stranieri, artisti, scienziati, scuole, strutture solidaristiche di tantissimi posti diversi, una costellazione variopinta di persone che ci segue ormai da anni. Una varietà di azioni, da mostre di arti visuali, concerti ed eventi teatrali a … ciambelline quantiche fabbricate da studiosi del CERN, ha dato un appoggio sostanziale al tentativo. Queste persone, che sono state la forza motrice dell’impresa, hanno fatto arrivare lontano il messaggio che stava al cuore del 200+200.

 

Il risultato dell’azione è stato che 200 famiglie di Lesbo sono state selezionate e hanno ricevuto una somma di denaro (170 euro ciascuna) a titolo di contributo. La scelta ha seguito criteri il più possibile trasparenti. Oltre a chiedere a tutti dati fiscali che dimostrassero l’esistenza di un bisogno, abbiamo consultato sia responsabili locali sia persone di riconosciuta autorevolezza in seno alle tante piccole comunità della parte nord di Lesbo che abbiamo visitato. D’altra parte dopo dieci anni e più di azione sul terreno avevamo in partenza una conoscenza abbastanza buona di gran parte dei paesi dove siamo stati. In alcuni casi, siccome concorrevano anche altri motivi, invece che in una somma di denaro l’offerta consisteva nei generi di prima necessità corrispondenti. Il mero fatto di offrire dei soldi era solo il pretesto per venire a contatto con una realtà molto cupa. Nel senso che la povertà, come d’altronde ha assodato la ricerca, è un fenomeno complesso che non può essere descritto come semplice mancanza di mezzi. Abbiamo conosciuto famiglie con tutta una serie di problemi inscatolati uno dentro l’altro, che alla fine configurano una situazione cronica e difficilissima. Oltre all’apporto materiale, che da solo esigeva parecchio tempo in telefonate, adempimenti burocratici, ricerche, accertamenti ecc., abbiamo avuto modo d’intervenire in alcune situazioni molto delicate e in un modo che ci auguriamo aiuti certe famiglie a far fronte in qualche modo a quella realtà strutturalmente così complessa che è l’indigenza. In parallelo abbiamo pubblicamente denunciato la tragica assenza dello Stato da tale ambito. Sulla nostra isola ci sono centinaia di famiglie che potrebbero vivere un po’ meglio se uno psicologo, un assistente sociale avesse assunto una funzione di sia pur elementare cura e seguimento. Non ci aspettavamo di imbatterci in così tanti casi di violenza domestica, alcoolismo, analfabetismo, malattie mentali e altre patologie.

Nel 2016 parecchi nostri compaesani hanno subito grandi disgrazie familiari e personali: morti improvvise, incidenti e malattie. Abbiamo cercato di star loro accanto sul piano materiale e morale, e così abbiamo optato per un sostegno mensile ad alcune famiglie con una somma di denaro che, seppure modesta, è il nostro modo per dichiarare un minimo di presenza. Abbiamo sostenuto studenti di queste famiglie del posto, abbiamo offerto la copertura di spese per trattamenti medici molto costosi a seguito d’incidenti. In certi casi l’aiuto ha preso la forma di forniture di alimenti, medicinali ecc. Le azioni non si sono limitate alla parte nord di Lesbo, ma hanno coperto l’intera isola e per due volte si sono indirizzate all’esterno di essa. Questi contributi sono stati inizialmente a carico del 200+200, ma cercheremo di mantenerli, nella misura del possibile, finché queste famiglie sono messe a dura prova.

Allo stesso tempo attraverso l’esperienza del 200+200 siamo venuti a contatto con le comunità Rom di Lesbo. Abbiamo cercato di capire i loro problemi non solo leggendo la letteratura al riguardo ma anche parlando tutti i giorni con loro. Abbiamo constatato che le famiglie Rom, specie quelle che conducono una vita seminomade, costituiscono forse i casi più difficili fra tutti. Si tratta di cittadini greci che però sono trattati con somma indifferenza dallo Stato e con un atteggiamento tipicamente fondato su profonde discriminazioni e pregiudizi da gran parte dei nostri concittadini. Contrariamente a ciò che crede il pregiudizio, i bambini Rom sono esposti a una tremenda violenza psicologica e fisica, sono affetti da malattie e soggetti a una particolare forma di disprezzo da parte della società, mentre gli adulti sono soggetti a patologie psichiche e in sostanza a condizioni di salute malferma. Fornendo alimenti, medicine, assistenza sociale attraverso i servizi sociali ma anche di persona abbiamo cercato di aiutare alcuni bambini Rom e qualche famiglia nella zona di Kallonì. Quest’azione prosegue. Abbiamo pagato l’affitto a famiglie sull’orlo dello sfratto, parzialmente coperto spese mediche di Rom senza copertura previdenziale e con parecchi altri problemi, talvolta psicologici o di violenza domestica. In diversi casi abbiamo sostenuto bambini Rom sia economicamente sia attraverso il contatto con i loro familiari, in modo che continuassero a andare a scuola o non lavorassero in orari serali inadatti a loro.

 

Due azioni da citare sono il sostegno all’Associazione della sclerosi a placche di Lesbo, che in condizioni di grave difficoltà si adopera per assistere i nostri prossimi alle prese con pesanti problemi quotidiani. Ricordiamo che l’Associazione è praticamente ignorata dallo Stato, assieme alle 200 persone circa che solo a Lesbo sono dichiarate affette da questa patologia. Passando a un altro settore abbiamo acquistato per il Laboratorio di istruzione e formazione professionale speciale di Lesbo caloriferi e stufe elettriche per rendere quantomeno umane le condizioni d’insegnamento in un settore anch’esso tristemente lasciato andare, che si salva solo grazie all’amore degli insegnanti e di pochissime altre persone…

 

Entrare in contatto con le 200 famiglie di profughi è stato più complicato, in quanto le circostanze politiche dell’arrivo e poi dell’internamento dei profughi sono sono drammaticamente cambiate tra l’inizio e la fine dell’azione. Anzitutto la somma corrispondente è stata consegnata a 80 famiglie che vivono o sono passate dal PIKPA di Mitilene uno spazio modello sotto l’egida di Lesvos Solidarity. Collaboriamo con il PIKPA da lunga data, e siamo orgogliosi di costituire una sia pur minima tessera di un grande sforzo-modello, un centro autogestito che, per progettazione e funzionamento, dovrebbe servire da esempio del come potrebbero funzionare degli spazi umani per l’accoglienza dei profughi (quest’anno il PIKPA, nella persona di Efi Latsoudi, è stato insignito del premio Nansen). Nell’ambito delle azioni focalizzate sulla città di Mitilene, il sostegno del 200+200 è andato a altre due azioni. In primo luogo l’appoggio alla Cucina sociale di Konstandinos Polychronopulos, che nell’arco del 2016, con fondi di Angalià, ha cucinato più di 10.000 porzioni a Mitilene e a Moria. Per le attività de “L’altra persona” abbiamo anche destinato una somma al sostegno della “Casa dell’altro” ad Atene, un autentico rifugio sia per i bambini, sia per locali e profughi. Poi ci siamo offerti come insegnanti per i corsi organizzati da Mosaik a Mitilene città. Mosaik è una straordinaria iniziativa del gruppo Lesvos Solidarity e altri, che avvicina tra loro i locali e i profughi, e sostiene gli uni e gli altri con soluzioni sia pratiche che psicologiche. Per un certo periodo abbiamo insegnato inglese e greco, per un altro abbiamo fatto seminari culturali. Abbiamo sostenuto il centro acquistando un computer e dopo ogni lezione organizzavamo un modesto pranzo per i profughi nostri allievi. Questo ci ha avvicinati a persone cui siamo rimasti legati e riteniamo che questa sia una delle nostre azioni più sostanziali, che ha offerto appoggio pratico e psicologico a molti profughi ma anche a noi, dandoci il coraggio per ciò che facciamo. In quanto al vitto dei profughi, con il 200+200 abbiamo sostenuto anche le mense che organizza in modo partecipativo nell’Attica l’organizzazione Equal Society, da noi conosciuta anni fa durante la ricerca volta a misurare l’indice di redditività sociale di Angalià. Sempre attraverso il 200+200 è stato sostenuto il Centro profughi dell’isola di Tilos, che accoglie famiglie. La collaborazione di E. Pissas è stata determinante per poter aiutare quest’isola remota che ha dato un grande esempio del modo in cui vanno assistiti i profughi in modo umano e sostenibile.

 

Attraverso quest’esperienza e attraverso la nostra quotidiana presenza militante abbiamo aiutato molti profughi a superare il difficile periodo di attesa sull’isola. Un’attesa caratterizzata da privazioni e incertezza, dalla quotidiana violazione dei loro diritti umani e con la società locale già in tensione a causa del protrarsi della crisi. A parte i soldi che abbiamo speso per comprargli i generi essenziali e per l’assistenza legale, riteniamo molto importante aver dedicato tempo e fatica personali a gente che è diventata nostra amica, gente nostra. Abbiamo aperto le nostre case e abbiamo accolto famiglie e bambini dalle aree di conflitto della Siria durante tutto l’anno. Abbiamo organizzato incontri con artisti e profughi, abbiamo incontrato decine di volontari e abbiamo cercato di avvicinare la comunità dei profughi alle possibili soluzioni psicologiche e pratiche. Ci siamo messi all’ascolto di tantissime persone quest’anno e abbiamo fatto del nostro meglio per coloro che ci hanno cercato chiedendo il nostro aiuto. Sempre quest’anno abbiamo dovuto riparare il nostro furgoncino, donatoci dall’università norvegese di Agder tramite gli infaticabili membri del Metochi Study Center che ci hanno aiutato. Il mitico furgoncino che ha macinato chilometri su chilometri trasportando profughi e provviste alla gente del posto e che abbiamo tante volte spremuto fino al limite.

 

Oltre alle questioni pressanti di sussistenza e di bisogni vitali, abbiamo voluto fare qualcosa che per noi rappresenta un obiettivo permanente: capire che cosa possiamo fare per il problema dei profughi alla sua radice, nei paesi cioè dove nasce. Abbiamo tentato, con maggiore o minor successo, di attuare parecchie idee, ma quella che abbiamo sostenuto direttamente attraverso il 200+200 è stata il contributo al programma Mine Kafon del giovane ingegnere afgano Massoud Hassani (http://minekafon.org). Gli iniziatori del programma hanno messo a punto un’applicazione robotica in grado di localizzare e neutralizzare le mine. L’Afghanistan ha un problema enorme in quest’ambito, le mine sono un fattore di destabilizzazione in quanto rendono pericolose intere regioni e costano la vita o l’integrità fisica a decine di migliaia di persone ogni anno. L’iniziativa del gruppo di Massoud Hassani ha raccolto attenzione e appoggio a livello internazionale e a parte le sue dimensioni concretissime reca in sé anche un messaggio di sensibilizzazione e conoscenza attorno al problema, del quale l’Occidente, si badi, con il commercio delle armi che pratica è tutt’altro che innocente.

 

Un’ultima azione che è stata sostenuta direttamente dal 200+200 ha riguardato l’assistenza medica dei profughi. Coadiuvando la struttura di accoglienza profughi gestita dalla Caritas a Lesbo, ci siamo fatti carico del costo di esami medici e di medicinali costosi per profughi che altrimenti non avrebbero potuto permetterseli. I profughi hanno avuto la possibilità di fare analisi (radiologiche, tomografiche, microbiologiche ecc.) e di acquistare medicine presso vari studi medici e farmacie di Mitilene, tutti scelti a rotazione e mai in esclusiva. Questi profughi rientrano in gruppi vulnerabili come bambini, gestanti, anziani. Non c’è bisogno di dire quanto sollievo abbia apportato quest’azione, perché non va dimenticato che i profughi, a causa delle sofferenze vissute, arrivano davvero pieni di problemi di salute che si cronicizzano e quanto più diventano cronici, tanto più costano psicologicamente e fisicamente a loro ma anche agli Stati di accoglienza.

 

Come Angalià abbiamo appoggiato l’attività dell’organizzazione O Plàtanos (Il Platano) dal primo all’ultimo momento. Chiunque si sia occupato anche solo di sfuggita dei profughi saprà di sicuro quanto l’iniziativa indipendente e autorganizzata del Plàtanos, nel villaggio di Sikamià (Lesbo), abbia dato a migliaia e migliaia di profughi nel periodo trascorso. Partendo si sono lasciati dietro uno spazio in ottime condizioni e molto lavoro per il quale tutti dobbiamo loro un grande grazie. Il Plàtanos è una delle realtà solidali che a Lasbo hanno veramente fatto storia. Noi di Angalià siamo stati il più vicini possibile al loro sforzo offrendo denaro, locali di stoccaggio e presenza su ogni possibile fronte di collaborazione. Più recentemente gli abbiamo finanziato la sistemazione delle ultime pendenze al momento della loro partenza da Lesbo, in particolare il trasporto delle attrezzature e lo sgombero dell’area che occupavano a Sikamià.

 

Su iniziativa della sig.ra I. Zacharaki, connazionale residente in Germania, sono stati acquistati 3000 euro di generi alimentari, distribuiti ad abitanti della conca di Kallonì e dei paesi intorno (Skala Kallonìs, Paràkila, Aghìa Paraskevì) ma anche a profughi sia a Moria sia a Karà Tepès, direttamente ma anche attraverso volontari e solidali attivi assieme ai quali lavoriamo da molti anni. Nella stessa logica abbiamo lanciato un appello a qualsiasi gruppo o persona solidale volesse venire al magazzino dove teniamo gli indumenti che ci sono stati portati per prendere qualcosa da distribuire a profughi o a nostri compaesani nel bisogno. Dal 2015 il nostro magazzino si è riempito tanto da sfuggirci di mano. Nei pochi giorni in cui le Poste hanno concesso ai nostri amici d’inviarci gratuitamente vestiti e provviste siamo stati sommersi dai pacchi e siamo stati costretti ad annunciare che non accettavamo più nulla. Quei giorni però sono bastati per essere subissati da un caos di cose disparate. La sola cernita di tutto questo materiale è stata una vera impresa. Con l’aiuto di connazionali e amici dalla Germania e per iniziativa del sig. K. Ghiannarakos e della Casa greca di Monaco si è fatto un primo grande sforzo per mettere un po’ d’ordine. Il vestiario accumulato doveva essere distribuito specie in vista dell’inverno. Non è esagerato dire che nel 2016 decine di pianali di vestiti sono stati spediti da Angalià praticamente in tutta la Grecia, ovunque esistesse una popolazione di profughi: Chio, Lero, Coo, Kalymnos, Komotinì, Idomeni, Katerini, Pireo (Pyles), Atene, Kavala, Lepanto, Almyros, Patrasso, Kozani. Nonostante tutte le spedizioni, il materiale rimasto nei nostri depositi era ancora un bel po’. Un altro appello al soccorso in autunno ha portato da noi dei solidali che si sono attivati a Moria e altrove. Con la fatica e l’iniziativa personale principalmente di solidali dell’ONG Attika e di una straordinaria coppia di volontari scozzesi, con residenza permanente a Lesbo, che hanno ripreso il difficile compito della cernita, il grosso delle nostre giacenze è ormai stato distribuito. In questo ha avuto un ruolo anche l’Associazione culturale di Dafia, che ha organizzato un evento dedicato alla distribuzione a gente del posto di vestiti e altri generi provenienti dai depositi di Angalià.

 

Abbiamo appoggiato, sin dall’anno scorso, l’iniziativa di B. Barbatioti consistente nella distribuzione di giocattoli a bambini profughi offrendo decine di scatole e centinaia di giocattoli a questa operazione particolarmente meritevole. Abbiamo sostenuto economicamente l’organizzazione e lo svolgimento a Lesbo di un’iniziativa molto interessante, il Symbiosis Art Festival, che ha una finalità cruciale: la reciproca comprensione e l’influsso reciproco fra la componente locale e quella profuga, fra il “proprio” e l’“Altro”. Il festival si è snodato tra eventi artistici e workshop con ottimi risultati. Abbiamo aiutato gruppi di solidarietà organizzati di tutto il Paese sul piano organizzativo ma anche materiale, inviando provviste come scatolame o pannolini, vestiti e materiali per scrivere. Abbiamo aiutato dei volontari di Atene ad acquistare libri scolastici in arabo e in persiano per sostenere la loro opera educativa.

 

La nostra azione continua a essere quotidiana e tocca molti settori che riguardano la fornitura di assistenza materiale ma anche il networking e la collaborazione delle realtà solidali tra loro. Un esempio che si può dare è quello di Aspri Ammos a Kavala, un campo profughi dove nell’estate scorsa erano ospitate 250 persone di cui 140 bambini, in tende esposte al sole senza un filo d’ombra e senza acqua fresca. I “Cittadini solidali di Kavala”, una struttura autonoma di semplici cittadini che si adopera per i profughi dall’estate scorsa, ha lanciato un appello per la fornitura di due refrigeratori per l’acqua del costo di 450 euro ciascuno. Uno è stato pagato da un amico di Angalià appena abbiamo comunicato questa necessità. Crediamo che le nostre azioni di questo tipo debbano essere citate non solo perché costituiscono la nostra quotidianità ma anche perché, pur trattandosi di piccole questioni pratiche, fanno una grande differenza nella vita quotidiana sia dei nostri compatrioti, sia dei profughi. Ogni giorno riceviamo messaggi da tutta la Grecia e da molte parti d’Europa che, in un modo o nell’altro, si rivolgono a noi o per offrire o per chiedere aiuto. Possiamo dire che nel 2016, nella stragrande maggioranza dei casi siamo riusciti a sopperire alle necessità grazie all’iniziativa del 200+200. Tra breve, quando sarà conclusa l’azione di assistenza medica, il programma terminerà dopo aver ultimato un ciclo di azioni che ha assorbito circa 70.000 euro. Come facciamo sempre, non raccogliamo altri fondi finché non cominciamo a intaccare la somma destinata a ogni singola azione. Si noti che quando rispondiamo ai messaggi che ci arrivano con offerte di contributo, spieghiamo questo ragionamento e rinviamo al nostro appello successivo o suggeriamo d’indirizzare immediatamente il denaro là dove ognuno ritiene che possa servire subito. Abbiamo varie idee per le azioni a venire, che spiegheremo dettagliatamente invitando gli amici a sostenerle. Saranno azioni incentrate sul rapporto genitori-figli e le esigenze ad esso proprie, rivolte sia ai profughi che ai locali.

 

Nel 2016 i nostri sforzi sono stati riconosciuti internazionalmente e hanno ricevuto vari premi a livello nazionale ed europeo. Per la nostra azione nel 2015 e l’aiuto senza discriminazioni prestato a più di 17.000 profughi nella piccola rimessa di Angalià a Kallonì abbiamo ricevuto, tra l’altro, il premio “Raul Wallenberg” del Consiglio d’Europa nel gennaio 2016. La somma di denaro che accompagnava il premio è andata ad aggiungersi al 200+200. I premi per noi sono stati solo un’ulteriore occasione per sottolineare la nostra posizione umanitaria e politica. Il discorso da noi pronunciato in occasione della cerimonia di premiazione a Strasburgo esprime bene, a nostro avviso, il nostro pensiero. Si può trovare sul sito web del Consiglio d’Europa: (https://www.coe.int/.../human -rights-rule.../2016-speech-agkalia).

 

Il premio ha fatto sì che c’invitassero a intervenire in convegni dell’UE e del Consiglio d’Europa. La nostra presenza sul terreno da anni, gli articoli pubblicati e la nostra esperienza nel settore ci ha consentito di prender parte a conferenze universitarie e di organismi vari a Lesbo e nel resto d’Europa. Le nostre posizioni, cui si accennerà più tardi, sono state pubblicate. Riteniamo tuttavia importanti le nostre comunicazioni al Congresso sui diritti del minore organizzato a Sofia dal Consiglio d’Europa [in inglese, già spedita], e all’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali di Vienna [intervista in greco, da tradurre].

Questi interventi sono stati importanti soprattutto perché non hanno mai cercato di occultare le condizioni vergognose in cui vivono i profughi in Europa, bensì di mettere a nudo le responsabilità specifiche e collettive da attribuire per le medesime. Siamo stati invitati a trasmettere la nostra esperienza in scuole, manifestazioni associative, seminari di dottorato o di specialisti sulla questione dei profughi, eventi artistici e sedi di dibattito, trasmissioni radiofoniche in tutta la Grecia e articoli di giornalisti di tutto il mondo. Riteniamo però che il nostro intervento più importante sia la nostra presenza costante nella società e sui social media. I nostri post hanno conosciuto nel 2016 una diffusione, una quantità di commenti e di riprese senza precedenti, e hanno costituito una solida piattaforma d’informazione e sensibilizzazione ma anche, in sostanza, di azione militante. Abbiamo portato in primo piano i problemi dell’isola, abbiamo definito alcuni assi di riflessione, abbiamo proposto un’ottica diversa nell’approccio alla questione dei profughi, un’ottica che non accetta l’artificiosa definizione nostrana di “crisi” bensì cerca di mettere in piena luce i problemi e di proporre vie di benessere condiviso per i profughi come per i locali. Una parte di ciò che abbiamo pubblicato sui social media ha assunto la forma di rappresentazione teatrale andata in scena al festival di Eleòna e al Thèatro Technis di Atene. Crediamo, insomma, che anche in questo modo nel 2016 ci siamo battuti contro il neonazismo, il razzismo e la xenofobia.

 

Occorrerà precisare alcuni punti sul piano teorico e pratico. In linea di massima il tratto distintivo dell’anno trascorso è consistito nella presentazione dell’emergenza che aveva segnato l’intero 2015 come acqua passata da parte della politica ufficiale. È evidente che dopo l’accordo di marzo gli sbarchi di profughi a Lesbo – che nel 2015 a un certo punto erano arrivati a settemila persone al giorno – sono drasticamente diminuiti. In molte fonti ufficiali capiterà di leggere frasi come “il problema è stato affrontato” o addirittura “i flussi sono cessati”. Evidentemente un certo “successo” c’è stato a quel livello. A quale prezzo però? Durante tutto il 2016 abbiamo fatto di tutto per mostrare che il cosiddetto “accordo” fra UE e Turchia che ha interrotto i flussi di profughi è gravemente carente sotto il profilo giuridico e umanitario, e lo è anzi a tal punto da sostituire un grosso problema con un altro. Abbiamo unito la nostra voce a quelle dei militanti, dei cittadini, delle organizzazioni internazionali e di quella parte della comunità scientifica che hanno mostrato i problemi dell’accordo sotto questa luce. Si suppone che la questione dei profughi – una crisi umanitaria su scala mondiale – si sia improvvisamente attenuata in un continente che attraversa una crisi economica, politica e sociale più generale. La questione dei profughi ha rappresentato in certo qual modo un campo entro il quale si è condensato in termini pratici quanto simbolici il nostro vicolo cieco collettivo come singolo paese ma anche come unione di paesi. La questione dei profughi, nonostante tutte le risorse disponibili, nonostante il know-how, nonostante le posizioni formulate scientificamente e nonostante il pericolo visibile per la stessa democrazia in Europa, si è evoluto come “crisi”, e a nostro avviso si è evoluto così a bella posta. Purtroppo si è optato per la militarizzazione, per i disumani respingimenti, i fantomatici “accordi”, la politica di deliberata collocazione dei profughi in un contesto insopportabile di morte e tormento, come modo per impedire il movimento delle persone dal Medio Oriente distrutto e dai paesi più poveri del globo verso l’Europa. E il 2016 è costato un numero di vite che è insostenibile contare, mentre i disagi materiali inflitti ai profughi in pieno inverno altro non fanno che evidenziare il nostro fallimento collettivo nell’elevarci all’altezza del supposto livello di civiltà da noi proclamato. Nel 2016 abbiamo fatto quel che potevamo sul piano pratico, sia a fianco dei profughi, sia in piazza, in eventi militanti, accanto a realtà collettive che si sono radunate tutte insieme a Lesbo per creare un fronte comune di denuncia di questa situazione [ citati due articoli in greco, da tradurre].

 

In questo quadro Angalià rimane una piccola organizzazione che cerca di contribuire quanto può in un ambito molto difficile, quello dell’assistenza umanitaria globale senza nessun vincolo. Per l’ennesima volta sottolineeremo che da più d’un decennio Angalià, fondata per iniziativa dell’insuperabile, indimenticato papa-Stratìs e nostra, opera con la stessa immediatezza e gli stessi principi. Non accetta fondi dall’Unione europea o dai governi del momento. È così che fa onore alla sua definizione di ONG, un’organizzazione davvero non governativa che non esita a porsi criticamente nei confronti di chiunque, né si fa condizionare dal timore di perdere il finanziamento seguente. Un gruppo che non rientra in nessuna programmazione ufficiale, né si fa coinvolgere come una pedina in quello scenario politico e “filantropico” di qualità morale e pratica estremamente dubbia che ruota attorno alla questione dei profughi negli ultimi anni. L’unica nostra angustia non è se raccoglieremo soldi grazie a campagne continue, ma se riusciremo a cambiare in meglio la vita di chi ricorre a noi e a riconoscere e far conoscere i problemi reali che li affliggono. Angalià non fa parte delle pianificazioni di nessun dispositivo, è semplicemente la continuazione in forma compiuta degli sforzi di poche persone che ancora pensano di non poter esistere intere senza intervenire attivamente, come persone e come cittadini, là dove, accanto a loro, l’altro ha bisogno. È principalmente l’espressione dell’aiuto che migliaia di altre persone forniscono a una piccola struttura che si è conquistata la loro fiducia. I membri di Angalià sono davvero volontari solidali non retribuiti – non ci sono funzionari stipendiati a nessun livello. Quel che si fa da parte di Angalià lo si fa in assoluta trasparenza, il che significa che deriva dal tempo libero delle persone che la compongono e che Angalià è finanziata da persone che ne conoscono l’opera, le modalità e la filosofia e la sostengono. Cercheremo di continuare. Il prezzo psicologico, per chi agisce e parla con parresia (franchezza) e tanto a lungo dei profughi è enorme e incide sulle nostre vite sotto molti aspetti. Ogni giorno offriamo il tempo che non abbiamo, in sostanza, per far sì che Angalià abbia qualcosa da offrire. Questo prezzo, però, è di gran lunga inferiore a quello che pagheremmo dentro di noi se in una stagione di crisi umanitaria come questa fossimo costretti a fermarci.

 

Vi ringraziamo per il sostegno alle nostre idee, vi ringraziamo di tutto, siete stati voi tutti a offrire tutto ciò che ci ha fatti arrivare fino a qui, tutti insieme.

31.5.2017

(traduzione di Umberto Cini)

pro dialog