Euromediterranea Euromediterranea 2016 Euromediterranea resoconti

2003: peace/guerra Frieden 2004: Europa 25-es.Polonia 2005: Langer/Srebrenica 2006: Anak Indonesia 2007: Aids - Sudafrica 2008: Ayuub - Somalia 2009: equal rights Iran 2010: memoria attiva 2011 haiti alive 2012 - Arabellion - Tunisia 2013 - L'arte del prendersi cura 2014 - Borderlands 2015 - Da Langer a Srebrenica 2016 Euromediterranea
stampa rassegna resoconti
riprese video
2017 - Andare oltre 2018 - Una terra in dialogo 2019 - Pro Europa 2022 - Legami Beziehungen 2023: Olga Karatch
2005 10 anni con Alex (15) 2005 Brindisi per Alex (7) 2005 euromed - Sarajevo (6) 2005 Ricordi (5) 2006 Children of Memory (13) 2006 euromed-Ibu award (14) 2012 Arabellion! Donne in cammino (0) euromed 2005 - Brenner/o (11) euromed 2005 - Convivenza (12) euromed 2005 - ecologia (12) euromed 2005 - Hallo Ibrahim (2) euromed 2005 - Landtag (5) euromed 2005 - musica (19) euromed 2005 - srebrenica (17) euromed 2005 - srebrenica 2 (18) euromed 2005 - srebrenica 3 (17) euromed 2005 - srebrenica 4 (14) euromed 2005 - summerschool (18) euromed 2005 - summerschool 2 (19) euromed 2005 - summerschool 3 (6) euromed 2009 - Iran (58) euromed 2013-donatori musica (46) Euromed 2015-alex/Bosnia (40) euromediterranea 2011 - Haiti alive (14) EUROMEDITERRANEA 2014 BORDERLANDS (2) EUROMEDITERRANEA 2016 (21) Euromediterranea 2022 - Legami Beziehungen (2)

Parlarsi e agire insieme, ogni giorno. Di Luca Cirese. 11.07.2016

12.7.2016

di Luca Cirese

Bolzano e Sarajevo, due città legate da un filo sottile ma potente. Città multi-etniche che hanno visto popoli scontrarsi con orrore per antichi rancori. Bolzano in luglio ha ospitato l’iniziativa Euromeditteranea dal titolo “Sguardi diversi sullo spazio euromediterraneo – Für ein wünschenswertes Europa”. L’iniziativa è stata organizzata, invitando vari Premi Langer, dalla Fondazione Alexander Langer Stiftung che da più di quindici anni porta avanti temi, progetti e sensibilità della persona a cui è intitolata: dalla conversione ecologica ai Balcani, dalla convivenza alla pace, dal Sud del mondo alle migrazioni.

Una città sempre complessa, Bolzano. La città resta divisa dal piccolo fiume Talvera: se si attraversa il ponte omonimo venendo dalla parte tedesca, ci si trova di fronte, imponente, il Monumento alla Vittoria, voluto da Mussolini per celebrare l’annessione di Bolzano com la Grande guerra. In alto sull’arco è inciso “HIC PATRIAE FINES SISTE SIGNA/ HINC CETEROS EXCOLVIMVS LINGVA LEGIBVS ARTIBVS” (Qui sono i confini della Patria, pianta le insegne!/ Partendo da questo luogo educammo i barbari alla lingua, al diritto, alle arti).

Brutti i monumenti alla vittoria, come brutta la toponomastica interventista che quest’arco ha intorno, per ricordare con nettezza vincitori e vinti di quel territorio: un sudtirolese che ci passi accanto non potrà che provare risentimento, pensando, per citare Fabrizio De Andrè, di essere stato «scolpito in lacrime sull’arco di Traiano». È un sentimento che ha covato a lungo, fino a tramutarsi in odio con gli attentati dinamitardi, negli anni Sessanta, della parte deviata dell’indipendentismo sudtirolese. Anni duri per l’AltoAdige/Südtirol, «in cui si saltava in aria e ci si odiava» come racconta lo stesso Alexander Langer in un bel dialogo con Adriano Sofri: ma anche anni di importanti semi, perché sono gli stessi in cui il giovane studente contribuisce alla nascita il primo gruppo inter-etnico (italiano, tedesco, ladino) che cerca di creare spazio politico al di fuori degli opposti fautori delle gabbie etniche, i neofascisti italiani e il Südtiroler Volkspartei (partito del popolo sudtirolese). L’idea che li muove è “Conoscersi, parlarsi, informarsi, inter-agire: più abbiamo a che fare gli uni con gli altri e meglio ci comprenderemo”, come Langer sintetizzerà trent’anni dopo nel Tentativo di decalogo per la convivenza etnica.

È un testo che viene scritto proprio per l’urgenza della drammatica situazione in ex-Jugoslavia, preda di forti pulsioni identitarie e separatiste che di lì a poco avrebbero portato alla pulizia etnica in Bosnia-Erzegovina. Un testo che è stato ripubblicato l’anno scorso dalla Fondazione in una bella edizione gratuita in cinque lingue (serbo, bosniaco, italiano, tedesco, inglese). In Jugoslavia Langer spese le sue ultime energie, prima di decidere di togliersi la vita ormai ventuno anni fa. La sua figura è un altro dei fili che lega l’AltoAdige/Südtirol e la Bosnia-Erzegovina: un legame che continua in uno dei maggiori progetti della Fondazione, Adopt Srebrenica, che, tra i suoi obiettivi, ha «favorire la maturazione di iniziative di dialogo inter-etnico e interculturale, di elaborazione della memoria, di gestione nonviolenta dei conflitti, rivolte in particolare alle nuove generazioni, strette tra il peso insopportabile di quanto è avvenuto e gli sforzi faticosi per guardare avanti».

È un’esperienza che si muove, cioè, nella fondamentale direzione della memoria e del superamento della storia di guerra e di pulizia etnica che caratterizza la ex-Jusgoslavia. Ricordare quell’orrore (qui una notevole trasmissione di Radio Tre per l’anniversario) a venticinque anni di distanza è più che mai importante, di fronte al pericolo di una “balcanizzazione” dell’Europa: la deflagrazione dell’Unione europea come aumento delle spinte separatiste, che potrebbero portare guerre a Est. È un rischio su cui lo stesso papa Francesco ha recentemente messo l’accento, richiamando implicitamente le parole di Alexander Langer sulla necessità della costruzione di ponti e non di muri.

Non solo la Brexit, le spinte indipendentiste della Scozia o della Catalogna: il 2 ottobre prossimo sarà una giornata cruciale per l’Unione Europea come progetto politico. Si voterà in due paesi membri, parti dell’ultimo impero multi-etnico europeo. In Austria, dopo che la Corte costituzionale ha accettato il ricorso di Nobert Hofer, leader del partito di estrema destra sconfitto, confermando irregolarità negli spogli che avevano fatto vincere il verde Alexander Van Der Bellen. Pensando alle dichiarazioni di Hofer sulla volontà di riunificare il Tirolo, vengono i brividi per lo scenario futuro del Brennero. Contemporaneamente si svolgerà il referendum in Ungheria sulla legittimità dell’Unione Europea di redistribuire gli “immigrati” nel paese magiaro, dopo che il primo ministro mette da tempo l’accento sul carattere etnico del popolo ungherese. I rischi di una vittoria delle pulsioni più nazionaliste e sul rafforzamento delle frontiere sembrano in entrambi i casi elevati. Eppure il superamento dei confini in Europa sembrava qualcosa di definitivamente raggiunto fino a pochissimi anni fa. La Brexit e la spinta per la sospensione del Trattato di Schengen hanno dimostrato, purtroppo, che non è così: stanno lì a ricordarci che nessuna conquista, nessuna vittoria è mai definitiva. La deflagrazione della Federazione jugoslava e il riapparire tali e quali, quasi fossero stati congelati, di fenomeni come gli Ustascia, i fascisti croati, ci sia di monito.

Il tema della “balcanizzazione” è stato spesso toccato negli interventi di Euromediterranea. Sul rischio dell’allontanamento dei paesi comunitari, del rafforzamento dell’estrema destra e delle frontiere nazionali ha messo in guardia, ad esempio, Bodil Valero, europarlamentare del Gruppo Verde-Alleanza libera europea. Fabio Levi, presidente del Comitato scientifico della Fondazione, ha posto come obbiettivo quello di prevenire, come negli anni Venti, gli esiti nefasti che verranno.

Forse è questo l’atteggiamento migliore con cui dovremmo affrontare il nostro futuro. Con la consapevolezza che ci aspettano tempi ancora più bui, dobbiamo seminare legami e solidarietà sia singolarmente che in comune, non ignorando i confini e le differenze ma cercando di diluirli, come è stato spesso ripetuto all’iniziativa. È una prospettiva che ha sottolineato con insistenza la bosnicaca Irfanka Pašagić di Tuzlanska Amica (Premio Langer 2005): anche nel caos, si può essere attivi, si può fare qualcosa, come ci mostra il caso, durante il terribile genocidio in Ruanda negli anni Novanta, di una donna Hutu che salva una Tutsi. Avendo sempre la consapevolezza, come ci ha insegnato il Movimento dei movimenti di Genova 2001, che non esiste la soluzione unica che scioglie tutte le contraddizioni: per essere sciolte, esse richiedono invece lavori concreti, locali e di lungo periodo. Dà speranza aver ascoltato e conosciuto il ragazzo messicano Alejandro Calzada Cárdenas di Borderline Sicilia (Premio Langer 2014) come il polacco Krzyzstof Czyzewski di Borderland Foundation (Premio Langer 2004) che si occupano di migrazioni e confini. Non sono persone che si sentono salvatori del mondo: ricordano i giusti (Tzaddikim) del Talmud ebraico, trentasei uomini che permettono al mondo di non essere distrutto.

Ci piace raccontarla così la Fondazione, come luogo di semi, di incontri e di scambi: i Premi Langer che quest’anno per la prima volta si sono potuti conoscere si sono rivolti inviti di benvenuto dalla Polonia alla Sicilia. Alla Casa-Laboratorio di Cenci, in Umbria, il maestro Franco Lorenzoni, ricordando Nora Giacobini a cento anni dalla sua nascita, ha insegnato che c’è comunità dove c’è curiosità reciproca: trovare spazi comuni, dove poter ascoltarsi confrontarsi e dialogare, è quello che di cui avremo più bisogno nei tempi duri che ci aspettano.

Vai al link dell'articolo su comune-info

pro dialog