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Articolo di fondo ZEBRA 07: Brennero

http://www.oew.org/index.php/online-nachlesen/titelthemen

ZEBRA 07/2015

Articolo di Fondo: "Brennero"

(clicca per leggere in PDF con foto direttamente su ZEBRA)

 

 

BRENNERO

di Sonja Cimadom e Monika Weissensteiner

Brenner/o Border Monitoring


Sono queste alcune storie delle persone che incontriamo al Brennero. Da fine settembre abbiamo iniziato a monitorare la situazione sul confine.

 

Mushkila”, esclama una donna eritrea rivolgendosi a un signore siriano, appena si siede nella sala d’attesa della stazione dei treni al Brennero. 

“Mushkila”, una delle poche parole arabe che capisco, significa “problema”. La donna è appena uscita dal commissariato della polizia italiana al Brennero, ha attraversato la strada ed è arrivata in stazione. In ciabatte infradito, sotto la neve che cade dal cielo ininterrottamente dal mattino. Ormai è sera, la strada è coperta di neve. Incontro la signora all’aperto in stazione e la accompagno nella sala d’attesa, l’unico posto riscaldato per fermarsi un attimo. Insieme a lei, nella sala, si sono rifugiati dal freddo una ventina di altre persone: siriani, eritrei, somali in fuga dalle violenze nei loro Paesi. 

“Mushkila” ripete – stanca, rassegnata, arrabbiata,  non saprei dirlo.

Il signore siriano mi traduce la preoccupazione della donna, anche se i gesti quasi parlano da soli. Il suo problema non sono le calzature estive con cui ha camminato nella neve. O il freddo invernale del Brennero, nonostante abbia addosso solo vestiti leggeri. È preoccupata perché ha dovuto dare le sue impronte in Italia, dopo essere stata riportata dalla polizia austriaca al Brennero. 

Se vado in un altro paese Europeo mi riporteranno qui in Italia? –  questo è il problema della signora. 

E dopo settimane così difficili, dopo un viaggio inimmaginabile, tra deserti e mari dove forse ha visto la morte più volte in faccia, ora a due ore dalla sua immaginata meta, la Germania, percepisce che la strada forse è davvero chiusa. Mushkila. 

Un problema sì, ma lei non si rassegna. 

Punta verso il binario e mi chiede da che lato si va verso la Germania e da che lato si va verso l’Italia. All’inizio non mi crede, pensa che le direzioni siano opposte. Deve ripensare e reagire, come forse avrà già fatto più volte durante il suo lungo “viaggio”. Ma probabilmente, per la prima volta in mezzo al freddo e alla neve, le infradito e una sala d’attesa piena rappresentano condizioni difficili per affrontare questo momento.

Proprio per questo motivo, in serata, un viaggiatore si ferma al Brennero e di corsa porta sacchetti pieni di cibo per la cena in stazione. Mi dice in tedesco: „Una terra ricca come questa dovrebbe vergognarsi di abbandonare i profughi in una tale situazione“. 


Un altro giorno, un signore somalo mi ha spiegato perché in Italia le persone non vogliono chiedere protezione internazionale. 

“Io vengo dalla Somalia. Vivere in Somalia è difficile,ma lo è anche l’Italia. In Somalia c’è un conflitto, ci sono le bande armate. Io non vorrei combattere. Se rimango là, rischio la morte. Ma io voglio vivere. Allora sono venuto qui per poter avere una vita. A Roma però mi sono davvero stupito. Ho incontrato un mio vecchio amico somalo. Quando ci siamo rivisti per caso, lui dormiva per strada. Non ha trovato lavoro, non ha trovato un posto dove stare, ci ha provato, ma poi ha smesso e ora ha pure iniziato a bere. Lui ora va avanti cosi, in strada. In Somalia ti aspetta la morte. In Italia non muori, ma neanche vivi. Non è vita questa. Sto pensando che fosse stato meglio morire in Somalia”.


Una famiglia con bambini molto piccoli non voleva morire sotto le bombe in Siria. Respinti dalla polizia austriaca verso l’Italia e fermi al Brennero. 

Secondo il Diritto d’asilo nell’Unione Europea, dovrebbero richiedere protezione internazionale nel primo paese europeo in cui sono arrivati (Regolamento Dublino, cfr. sotto). 

Il figlio più grande, di circa dieci anni, era scappato prima con un altro famigliare. Ora si trova in Nord Europa. La famiglia non vede l’ora di riunirsi. 

Oggi è impossibile spostarsi verso Nord, il Brennero è un confine che non riescono a superare. Da giorni ci sono controlli di polizia su tutti i treni. La modalità dei controlli incide direttamente sulla situazione dei profughi: se verranno riammessi, se rimarranno bloccati al Brennero, se verranno fermati nelle stazioni precedenti come Bressanone o Bolzano. Sempre più spesso li vediamo anche lì. E i momenti di attesa, di freddo, di fame e di difficoltà si prolungano. 

La famiglia di siriani decide di prendere un treno per Bolzano. È “fortunata” perché, avendo figli minori si è potuto trovare una sistemazione notturna. È diverso per un’altra famiglia, nella stessa situazione ma con un figlio maggiorenne. Dovrebbero separarsi, poiché il figlio maggiorenne non può essere accolto, non rientra nella categoria di persona “vulnerabile”. Impensabile. La famiglia rifiuta “l’aiuto”. 

 

A queste storie bisognerebbe affiancare quelle delle persone che al Brennero vivono o lavorano – per loro le persone che arrivano dalla polizia in stazione fanno parte della quotidianità. 

C’è chi porta ogni tanto qualcosa da mangiare o qualche maglione, o chi magari fa loro un po’ di spesa. Ora, col freddo, la sofferenza si sente di più. 

Si percepisce una risposta di solidarietà, ma anche di impotenza. Come rispondere? Come ha detto un abitante del Brennero in tv: “Vorrei che diventasse la nostra Lampedusa, perché là gli abitanti hanno risposto con solidarietà.” 

Ma, come succede a Lampedusa, neanche gli abitanti possono essere lasciati soli.  

Come può e deve reagire la società, quali risposte richiede una tale situazione? E quali le responsabilità? Ci sono responsabilità personali di fronte alla sofferenza. E ci sono responsabilità delle istituzioni territoriali che incidono sulle condizioni in cui le persone si trovano che si ritrovano a dover ripensare il loro progetto migratorio. 

La mancata apertura di un centro di aiuto per i profughi al Brennero (stiamo scrivendo quest’articolo all’inizio di dicembre, mesi dopo aver avanzato richieste in merito) evidenzia una mancata capacità di risposta del nostro territorio.

Al Brennero vediamo quotidianamente un gioco di competenze e di “responsabilità”, un rimpallo che colpisce le persone, strette tra “l’Europa”, gli Stati nazionali e gli enti locali. 

 

La situazione al Brennero si intreccia con dinamiche più ampie, che riguardano le politiche e le pratiche di asilo e di accoglienza in Europa:

1. L’assenza di possibilità di chiedere asilo in Europa, senza esporsi a viaggi pericolosi, costosi, assurdi, “illegali”. La maggioranza dei profughi rimane nelle regioni d’origine, solo una minima parte, con grandi sacrifici, riesce ad arrivare in Europa. Tanti non ce la fanno. Dal 1988, lungo le frontiere dell’Europa sono morte almeno 21.439 persone (1). 

2. Il cosiddetto Regolamento Dublino (I, poi II e III), secondo il quale lo Stato dell’Unione Europea di primo arrivo è responsabile dell’esame delle domande d’asilo, è stato criticato da tante organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. Il Consiglio Europeo per i Rifugiati e gli Esiliati (ECRE) conclude che “i principi del regolamento devono essere rispettati nella sostanza, devono tener presente i legami che tanti richiedenti asilo hanno con particolari Stati membri" (2). 

Pensiamo alla famiglia siriana: se facesse domanda per un ricongiungimento famigliare in Italia, come previsto dal regolamento Dublino III, li aspetterebbero mesi di attesa e iter burocratici complicati prima di (forse) potersi ricongiungere con il figlio. Altre organizzazioni chiedono l’abolizione del regolamento e la creazione di nuovi meccanismi. Amnesty International parla della necessità di arrivare a una “responsabilità condivisa tra i Paesi europei" (3).

3. Se guardiamo all’Italia, come risulta da uno studio effettuato dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e che riguarda la testimonianza del signore somalo citato prima, ci troviamo difronte alla mancanza di un sistema funzionante di accoglienza. Spiega G. Schiavone: “Nello studio Il diritto alla protezione abbiamo stimato – e siamo sicuri che se la cifra è sbagliata, lo è per difetto – che non meno del 65% dei titolari di protezione non ha avuto accesso a nessun programma di integrazione. Quindi sostanzialmente l’Italia produce dei senza fissa dimora. Questo ha generato il fenomeno degli ammassamenti nelle periferie delle aree urbane e lo sfruttamento lavorativo nelle campagne”. 

4. A livello locale, la situazione dei profughi al Brennero dipende in primo luogo dalle pratiche di controllo di polizia che cambiano spesso. Ma le condizioni dei profughi fermati si intrecciano con problematiche di responsabilità territoriale. 

Primo – oltre alla mancata apertura di un centro di aiuto al Brennero [nota della redazione: aperto inizio gennaio 2015] – un numero non sufficiente di posti letti presso l’emergenza freddo per persone senza dimora, alle quali sempre più spesso ora si aggiungono anche i profughi fermati contro la loro volontà nel nostro territorio, a Bolzano, a Bressanone, al Brennero. 

Secondo, l’impossibilità di presentare una domanda di protezione internazionale per i profughi che sono privi di un domicilio in provincia, requisito imposto nella nostra provincia. I posti limitati nei centri d’accoglienza sono spesso pieni, impossibile “trovare” un domicilio e diverse persone che dovrebbero poter chiedere asilo, rimangono sul nostro territorio in una precarietà e vulnerabilità totale, anche legale. Il requisito amministrativo di avere un domicilio è assurdo e, in pratica, risulta una violazione del diritto di richiedere asilo, un diritto negato.

 

Quindi, quale abilità di risposta, quale responsabilità?

La migrazione e la fuga da violenze di vario tipo sono sempre esistite e continueranno. Però le politiche e le pratiche scelte fanno sì che anche il Brennero sia ridiventato nuovamente un confine rigido. Ciò, ovviamente, solo per alcune categorie di esseri umani. Come si puo leggere anche nel fumetto di questo zebra, per alcune “categorie” di persone occorre pure ricordare che  sono esseri umani.

“Thank you” - una settimana più tardi, sul cellulare mi arriva un messaggio da numero sconosciuto. È il signore somalo. “Grazie per avermi ascoltato in un momento difficile. Per avermi trattato come una persona.” Nell’esperienza del signore, ricevere un trattamento dignitoso anziché un trattamento inumano, non è per nulla scontato.

 

FONTI

1)  www.fortresseurope.blogspot.it

2) „ECRE and partner organisations believe that ultimately the underlying principles of the Dublin Regulation need to be fundamentally revised to take into account asylum seekers’ connections with particular Member States”. In ECRE e altri (2013) DUBLIN II REGULATION - Lives on hold.  European Comparative Report - Executive Summary, pag 5.

3) www.amnesty.it/Un-anno-dopo-naufragi-di-lampedusa-numero-di-vite-perse-in-mare-aumenta-mentre-Europa-guarda-altra-parte

 

dicembre 2014

pro dialog