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Maddalena Criscuoli: in viaggio tra le memorie da Tuzla, a Sarajevo, a Srebrenica

16.8.2010, in Facebook 11 agosto 2010

TUZLA -Percepisco subito qualcosa di strano, qualcosa che non conosco e che non riesco ad immaginare. Ci parlano di stress post-traumatico, qua sono in moltissimi a soffrirne, Irfanka ci racconta di un bambino che continua in modo ossessivo a scrollarsi qualcosa di dosso con le mani. Ai medici è servito un po’ di tempo per capire che il bambino è imprigionato nella scena in cui la sua infanzia è finita: i pezzi di carne e cervello e gli schizzi di sangue sono dappertutto dopo l’esplosione della granata. E’ difficile liberarsi. Rumori, odori, immagini, emozioni e percezioni rivissute ogni mattina quando si aprono gli occhi ed ogni sera quando si chiudono. Eppure la vita va avanti. Guardo la gente per strada e mi stupisco di come riesca ad apparire normale, immagino che solo un attimo dietro la superficie, o forse nascosto molto bene in qualche anfratto lontano dell’anima, ci sia un lago nero e profondo, spaventoso da guardare e impossibile da attraversare. Anna ci porta in città, si emoziona davanti al monumento eretto per la memoria dei 71 giovani uccisi da una granata il 25 maggio del 1995, quando la guerra stava per finire. Moltissime volte mi sono soffermata a leggere qualche nome nelle infinite liste di caduti sparse per il mondo, ma non sono mai riuscita a capirle veramente. Qui è diverso, salgo le scale, entro tra le quattro mura che portano il peso dei nomi di migliaia di giovani uccisi, subito dopo due ragazzi vanno decisi verso un nome preciso e lo accarezzano, non si tratta solo di un nome tra altri mille nomi, è una persona, ha una storia e una vita che sono ancora qui, strette tra le mani di chi lo ha amato. Esito prima di entrare nel cimitero, mi sembra un’invasione irrispettosa, occidentali che vengono a curiosare, gente che non sa e che non capisce. Poi incontriamo due madri che passeggiano tra le tombe, le accarezzano, pregano, sorridono, si siedono per una sigaretta. Anna ci spiega che sono contente di vederci, vogliono che a qualcuno interessi la loro storia, che qualcuno legga uno per uno i nomi sulle lapidi, che qualcuno si soffermi sulle storie dei loro figli cercando di capire. “Questa ragazza era la mia vicina di casa” dice Anna, aveva forse 15 anni la sera che è stata uccisa, era la prima in cui aveva avuto il permesso di uscire da sola. A Tuzla si trova il centro di identificazione delle vittime. E’ un magazzino enorme, con la temperatura controllata, sono allineate decine di scaffali piene di sacchi. So cosa contengono e non oso avvicinarmi, non oso quasi respirare, mi stringo le braccia intorno al corpo per aggrapparmi alla vita che così brutalmente è stata tolta a queste persone. Sono appena uscita, molto turbata, quando ricevo un sms “Tua nipote è 25 cm e 325 gr d’amore” “Grazie” rispondo “è bello saperlo dal luogo orribile in cui sono in questo momento.” E’ un fortissimo contrasto, quello tra la vita che nasce piena di speranza e innocenza, e la vita che finisce, tra odio, sangue, pioggia e rami secchi. Il sindaco di Tuzla sembra una bella persona, propositiva, investe sui giovani e sulla cultura, “Noi siamo sognatori” dice. Noi qui siamo su un’altalena, si ride e si condivide, poi di colpo si diventa seri, gli sguardi cupi, il senso di impotenza e di ingiustizia.

 

SARAJEVO -I Balcani sono romantici , un po’ poesia, Sarajevo è una bellissima città, piena di cicatrici , ma senza paura. Camminiamo lungo il fiume, sulla destra le colline da cui i cecchini non smettevano di sparare, sulla sinistra le case sulle cui facciate i segni dei proiettili sono ancora ben visibili. Cerco di immaginare, ovviamente senza riuscirci, le sensazioni. Il terrore che, senza pietà, entra nelle case, si insinua dappertutto, nessuno sa quando cadranno le granate, nessuno può camminare senza sentirsi in pericolo, penso alle spalle curve, ai nervi tesi, agli occhi vigili, cosa pensi mentre attraversi una strada dove in ogni istante potresti perdere la vita? Cosa pensi mentre la tua città è in fiamme intorno a te? Mentre il diritto alla vita viene maltrattato, mentre le certezze si sgretolano, gli amici si trasformano in nemici, oppure muoiono. Gli abitanti di Sarajevo sono degli eroi, il mondo intero è pieno di eroi, mi domando dove l’uomo trovi la forza di rinascere dalle ceneri di ciò che l’uomo stesso ha distrutto. Dappertutto, tra le case, nei parchi, lungo le strade, sono stati ritagliati pezzetti di terra, recintati e trasformati in cimiteri. File di migliaia di lapidi bianche delineano gli orizzonti. Ormai è sera e, di fonte a quella che era la biblioteca nazionale, distrutta dalle bombe e ora in fase di ricostruzione, il sole che tramonta si riflette sulle finestre delle case. Per me è uno spettacolo bellissimo. Penso che chi ha vissuto l’inferno è stato privato di questa meraviglia: io vedo una finestra illuminata dalla luce calda del sole che tramonta, altri vedono una casa che brucia, le fiamme che divampano. Il miracolo del sole che tramonta è stato fatto a pezzi. Dopo cena l’appuntamento è al vecchio cinema, dove anche durante la guerra la gente si riuniva, per ridere, per parlare, per non rinunciare a vivere una vita viva. Ascoltiamo un’appassionata lettura di poesie, ridiamo del bello spettacolo dei ragazzi di Sagapò teatro, e poi è un attimo togliersi le scarpe e ballare tutti insieme la musica di Max Maber Orkestra, fino all’esaurimento delle energie. Il centro di Sarajevo è pieno di bossoli di proiettile. Sono stati rielaborati, trasformati, diventano penne, portachiavi, vasi da fiori. Diventano poesia, casa, vita che sorride. Anche la strada per Srebrenica è tappezzata di lapidi, di mucche e di cavalli che pascolano sul bordo della strada, di cani, di covoni di fieno. Le lapidi fanno parte del paesaggio in modo naturale, vederne così tante non stupisce più. Senza preavviso anche il momento della pausa pipì e sigarette si trasforma in magia. L’uomo del bar è felice di vederci, offre un cesto di prugne, poi della grappa. I nostri musicisti ricambiano con il loro violino e la loro fisarmonica. Si balla, si applaude, si ride. Siamo sempre sulla nostra altalena.

 

SREBRENICA - E’ piena di musica questa cittadina devastata. La nostra altalena dondola veloce, si balla felici, se ogni spazio libero è pieno di lapidi, ogni secondo di silenzio è riempito di musica. Flauto e percussioni in questo momento. Dopo una mattina pesante, passata sfiorando con gli occhi le infinite lapidi bianche e verdi di Potocari, dopo aver camminato sul pavimento su cui 8372 vite sono state spente, ora i miei occhi si posano su una bambina bionda che balla felice e i miei piedi tengono il ritmo della musica. Dopo la visita al memoriale siamo seri, silenziosi, ci sediamo distanti uno dall’altro, nessuno ha voglia di parlare, né di ridere, si evita di incrociare gli sguardi, cresce un po’ la nostra consapevolezza e con essa il senso di impotenza, la tristezza davanti alla visone di ciò che l’essere umano può distruggere e la speranza davanti alla forza che può ritrovare. Sdraiarsi su un prato dopo il pranzo preparato dalla cooperativa di madri è rilassante, si raccontano storie, ci si scambiano i bicchieri, mentre una parte del cervello tiene sempre ben presente che le montagne alle nostre spalle sono quelle tra i cui boschi quindicimila persone hanno cercato la via della libertà, almeno seimila di queste non l’hanno trovata. Il pomeriggio è nostro, si creano gruppi, si lavora sulla ricca eredità di Alexander Langer, ci si incontra su molti punti, si parlano tante lingua ma non ci sono difficoltà a capirci. E’ interessante vedere come, noi che non conosciamo la guerra, ci soffermiamo su ciò che di positivo c’è nella convivenza, chi la guerra la conosce, invece, sottolinea il rischio della nascita di conflittualità. Stiamo bene insieme, ci arricchiamo, cresciamo insieme. Piove, ma non importa.

 

Maddalena Criscuoli vive a Fiumalbo (Mo) 

Frequenta a Bolzano il master per mediatori di conflitti, operatori di pace

Ha partecipato alla 4. Settimana internazionale della memoria

 

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