Gianluca Paciucci: inevitabilità della violenza e suo superamento. Simone Weil, Alexander Langer, le guerre “jugoslave” e noi.
(Simone Weil, in Iliade o il poema della forza).
Come poter “tenere un discorso senza imporlo” è argomento ancora irrisolto, dai tempi di Barthes a oggi: la moltiplicazione degli infiniti “io” contrasta e convive con la presunta sparizione del “soggetto”, e si traduce in una serie di convinzioni armate capaci di erigere immediatamente un muro di metafore e di stili aggressivi, anche quando predichiamo la non violenza e il rispetto dell'altro. La non imposizione di un discorso, inoltre, deve però tener conto dell'irrinviabile assunzione di responsabilità di chi “dice”, per evitare che l'assunzione dell'altro nel proprio orizzonte non diventi alibi per melensi ecumenismi o banale condivisione di contenuti minimi, sotto la superficie dei quali si agita la vera vita, ovvero la vita della violenza, della forza e della realtà che preme.
Nel 2005 a ricordare dolorosamente il 10° anniversario della scomparsa di Alexander Langer, ero a Sarajevo, con amiche e amici, in un'occasione importante, quegli “Incontri europei del Libro” che il Centre “André Malraux” della capitale bosniaca organizza da diversi anni. Grazie all'Ambasciata d'Italia in Bosnia Erzegovina e alla Fondazione Alexander Langer, grazie alle donne e agli uomini che vi lavorano, riuscimmo ad alzare bicchieri di grappa o di succo di frutta per brindare ritualmente alla vita bella di Langer, nel luogo che aveva visto una delle infinite recenti sconfitte della ragione e dell'umano, le “guerre jugoslave” degli anni Novanta del secolo scorso
(continua in allegato)
Intervento tenuto da Gianluca Paciucci al convegno organizzato ad Amela dalla Casa Laboratorio di Cenci, sul cui sito si trovano anche altri contributi.
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