un segno di vicinanza
Arriviamo a Srebrenica quando la cerimonia sta iniziando (il tratto Bratunac-Potocari l’abbiamo fatto incolonnati …). Ci mettiamo un po’ in disparte. Piove pioviggina ma non troppo. Per fortuna fa meno freddo di quanto annunciato. Moltissimi hanno affrontato lunghi spostamenti. Ci sarebbero 30.000 persone presenti.Il memoriale è pieno di buche aperte con una tavoletta verde, una placchetta nera con un numero e una rosa rossa accanto.Inizia la trafila dei discorsi. Irfranka mi traduce dal bosniaco e così posso seguire … Il capo della comunità islamica aggiunge delle frasi in lingua inglese.
Poi la preghiera. Gli spettatori sono pochi, la maggior parte partecipa. L’immagine è quella di un’onda docile, sottomessa che segue l’imam, incurante di pioggia e fango. Quindi l’elenco alfabetico delle vittime, i cui corpi (scusatemi, senza voler essere cinica, dovrei dire meglio le cui ossa) verranno sepolti/e oggi. La fila delle “bare” verdi è un fiume che scorre veloce, portato/sorretto dai famigliari, per poi diramarsi. Mi colpisce la compostezza. Tanti dolori privati, una famiglia accanto all’altra, in un luogo che è simbolo e nel contempo … teatro. E’ un rituale che aiuta, un lutto di molti, vissuto in contemporanea, e per questo anche un po’ terapeutico. Noi siamo lì, perché crediamo nell’importanza del segno, della silenziosa vicinanza.
Poi fuori dal memoriale c’è di che ristorarsi. Il lutto non è qualcosa di opprimente, ma qualcosa di quotidiano, che non va evacuato, ma per quanto possibile assunto!
christine stufferin