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Maja Huseijc: Tratti del report di stage svolto presso Tuzlanska Amica e la casa famiglia Casa Pappagallo a Tuzla dal 11 novembre al 11 dicembre 2008

1.3.2009, Fondazione Alexander Langer Stiftung

Tratti del report di stage svolto presso Tuzlanska Amica e la casa famiglia  Casa Pappagallo a Tuzla dal 11 novembre al 11 dicembre 2008.

 
Le differenze, dopotutto, esistono in ogni luogo.

La specificità bosniaca è l'integrazione, la simbiosi che ha la meglio

sulle sue differenze, giocate nello spazio che è loro proprio:

nella ricchezza culturale, nella diversità vitale di essere insieme.

E questa non è una cosa che è stata costruita,

ma esiste come frutto di una lunghissima storia di mescolanza e di scambi,

è un'unità meritata.

Ma è stata dilapidata da questa guerra,

a tal punto che occorrerà ricostruire ciò che era sempre esistito.

(Rada Ivekovic)

 

Tuzla è una città che si riscalda con il carbone il cui fumo resta impregnato nelle narici e sui vestiti. Odore di Tuzla, e della sua imponente centrale termoelettrica a carbone. Tuzla la città operaia, ma anche centro universitario, di scena underground, laboratorio di esperienze ed innovazione. Tuzla la città del sale, e delle fontane, una città rimasta unita nel tessuto interculturale, fiera  “au rebours”  nel panorama odierno bosniaco, uno degli ultimi baluardi sopravvissuti alla brutalità della guerra alla cultura specifica bosniaca fatta di integrazione e convivenza. Tuzla è la città dove ho deciso di svolgere il mio periodo di stage legato al percorso di master Mediatori/trici dei conflitti e Operatori di pace internazionali.

[….] Ho fatto quello che rientrava nelle mie aspettative, ma la parte più interessante riguarda il fattore sorpresa, tutto ciò che non avrei pensato e mi sono trovata a gestire, il contributo delle relazioni umane, l’enorme ricchezza che viene dallo scoprirsi flessibili e capaci di creatività ed improvvisazione, senza per questo rinunciare a se stessi ed al proprio mandato. […] Comprendere che la teoria e gli insegnamenti sulla mediazione e la risoluzione dei conflitti si completano con una loro messa in pratica, e soprattutto che durante questa applicazione essi devono essere adattati alla realtà in cui operiamo, pena la perdita della loro efficacia. La stessa cosa del resto vale anche per noi stessi.

Maja Husejic “Master mediatori dei conflitti: operatori di pace internazionali  2008-09”

 

IL LAVORO SVOLTO


11 novembre

Il primo giorno della mia esperienza formativa abbiamo concordato durante la quotidiana riunione mattiniera il mio programma a larghe maglie, nel senso che a giorni alterni sarei andata sul campo con il team mobile o rimasta in ufficio ad affiancare i colleghi traduttori. Sono un migliaio circa i bambini presenti nel progetto, di cui una parte sono i bambini dell’orfanotrofio e altri sono in famiglie sempre economicamente disastrate spesso anche con altri problemi da affrontare. Ciascuno di questi viene seguito nel suo rapporto con il donatore, trattandosi sia della corrispondenza o regali inviati, sia che il donatore venga loro a fare visita, ed è cosa frequente, in quanto la peculiarità di questo progetto sta proprio nel fatto di privilegiare un rapporto diretto e umano tra le due parti. Succede così che i fine settimana la sede di Tuzlanska Amica diventa un luogo di incontro e di accoglienza per persone che arrivano dall’Italia. Non a caso il giorno di riposo è il lunedì invece che sabato. Sono stata testimone già dalla prima settimana di questa tendenza, quando abbiamo incontrato sulla strada per Zvornik, mentre andavamo sul campo con il team mobile,una coppia di camperisti che tornava da un viaggio in Turchia e che aveva deciso un giro di rientro speciale per venire a trovare il bambino di cui sono i donatori; o il gruppo proveniente direttamente dall’Italia, un po’ speciale a dire il vero, trattandosi di Clown allegri venuti da Forlì per tenere un corso di formazione di clown terapia ai volontari di Tuzla. Non mi sono lasciata sfuggire l’occasione ed ho partecipato anch’io a questo gruppo di formazione, insieme a persone provenienti da varie realtà della città. Sono state due giornate intense, e siamo riusciti a creare un bel gruppo affiatato e creativo, a regalare qualche palloncino ai bambini, a scatenare sorrisi nei passanti domenicali per strada, e a rompere la monotonia all’orfanotrofio con un pomeriggio rallegrato da gag di ragazzi con il mantello da dottori colorato ed il  naso rosso, e con la promessa di ritornarci.

Dopo la partenza delle nostre “guide spirituali” l’esperienza è stata continuata dal gruppo locale, con riunioni e training regolari, ed un programma di “intervento” nei luoghi di disagio della città. E’ stata un’esperienza importante,  ed ora mi ritrovo con un attestato da clownessa con tanto di nome clown, e con la convinzione profonda che l’allegria è medicamentosa.


18 novembre

In ufficio il lavoro è tanto e vario, la traduzione ne fa parte ed il mio bilinguismo è stato apprezzato. Ho cominciato con tradurre le lettere dei bambini, le schede di presentazione per bambini in cerca di donatore da inviare alle associazioni partner italiane, o qualunque documento o materiale ci fosse bisogno di tradurre. Anche molto interpretariato durante gli incontri tra bosniaci ed italiani, esperienza che mi ha sempre lasciato la piacevole sensazione  di contribuire alla costruzione di ponti tra le persone, che accorciano la distanza dell’incomprensione linguistica.

Ciò ha fatto probabilmente riflettere la mia referente locale, la Dott. Pasagic’, che da lì a pochi giorni mi avrebbe fatta tutrice di un gruppo di tre ragazze italiane in Bosnia per un tirocinio del corso “operatori di pace internazionali”  di Cagliari; proposta che ho accettato ben volentieri, comprendendo di essere in grado di lasciarmi andare lungo la corrente di questo continuo ed improvviso divenire di esperienze, e di improvvisare anch’io.

 

25 novembre

Documentatami un po’ sulla storia di Tuzla per non fare brutta figura, l’arrivo delle ragazze ha riempito le mie giornate, e per otto giorni il nostro impegno è stato quello di visitare varie realtà associative del luogo, e di farne monitoraggio. Sono stata un’accompagnatrice e traduttrice in questi giorni, e la referente del gruppo per Tuzlanska Amica.

 

2 dicembre

Ho ripreso la mia attività di lavoro in ufficio, e di accompagnamento del team mobile su campo. L’orario di ufficio è dalle 8 alle 16, a differenza del lavoro sul campo, dove l’orario di chiusura corrisponde con il compimento dell’incarico. Di solito si parte subito dopo la riunione mattutina, si prelevano i soldi delle donazioni, e si parte per la destinazione la quale è solitamente ardua da raggiungere, trattandosi di villaggi isolati, a volte singole case isolate. E’ il momento questo in cui si danno i soldi alla famiglia, o pacchi regalo di solito da donna a donna, e nel frattempo si scambiano due parole, soprattutto chiedendo loro lo stato in cui si trovano, si raccolgono informazioni, sull’andamento dell’impegno scolastico dei bambini, sulla salute, ed altri problemi. E’ un’esperienza frustrante, quella di confrontarsi con così tanta miseria e disagio, può provocare un senso di impotenza e di inutilità iniziale che però può essere superato con la consapevolezza ancora più profonda di quanta importanza ha questo mai sufficiente contributo, ma pur sempre esistente ed importante.

Il 6 dicembre è stata la volta della consegna delle borse di studio da parte della Fondazione Nino Catic, proprio nella sede di Tuzlanska Amica, nella quale occasione ho aiutato ad organizzare l’evento ed ho fatto da lettrice di alcune poesie che proprio Nino aveva scritto durante l’assedio di Srebrenica. Nei giorni successivi abbiamo passato tempo a smistare gli aiuti umanitari accumulatisi disordinatamente, per fare i regali di fine anno ai bambini e alle famiglie beneficiari del progetto. Il mio periodo a Tuzla stava arrivando al termine, senza che mi fossi accorta di quanto velocemente  sia passata quest’esperienza bella e difficile, intensa e profonda emotivamente e spiritualmente, che mi ha permesso di comprendere le mie competenze e le inclinazioni, nonché la via per migliorare la mia professionalità.

 

CASA PAPPAGALLO    

“Operazione Empatia”                  

Ho abitato in questa casa famiglia sin dal primo giorno a Tuzla, andando a vivere con quattro ragazze sui vent’anni circa nello stesso appartamento, mentre al piano di sotto abitano 5 ragazzi anche loro parte del progetto che cerca di risolvere il problema dei maggiorenni uscenti dall’orfanotrofio che altrimenti finirebbero in strada. La condizione del loro stare in questa nuova struttura è quella di rispettare delle regole quadro e di continuare a portare avanti gli impegni della propria vita, in questo caso lo studio. Si cerca in qualche modo di sviluppare in loro il senso della responsabilità individuale, della condivisione di doveri e di spazi nonché la gestione del denaro, della spesa, del mantenimento della casa. Inserirmi tra loro non è stato difficile perché sono ragazze aperte e cordiali; maggiori difficoltà ho avuto nella convivenza trattandosi di non avere uno spazio minimo personale di rilassamento, utile per elaborare  il vissuto quotidiano, o la quiete per leggere, trattandosi di ragazze abituate ad orari giovanili, a tacchi alti, musica alta, e con a volte poco senso dell’empatia.

Una volta appurato che la rinuncia alle proprie abitudini ed esigenze rientrasse nello spirito di arrangiarsi nel vivere nuove situazioni, ho focalizzato il mio impegno sul concetto “empatia”. Il compito a me affidato da parte della presidentessa di Tuzlanska Amica era sicuramente più complesso, cioè di contribuire per quanto possibile ad una crescita del senso della famiglia nelle ragazze, del senso della comunità e del rispetto reciproco, tutte cose per cui un mese non mi sarebbe mai bastato. Ma sapevo che conquistandomi la fiducia avrei potuto esprimermi, offrire suggerimenti ed esempio personale, senza che mi venga chiesto di non interessarmi dei fatti altrui. Tutto si giocava su di un sottile equilibrio, tra essere coinquiline, confidenti, ma soprattutto da parte mia una specie di consulente della convivenza e della risoluzione dei conflitti interni alla casa; un ruolo quello mio di mediazione diventato un atteggiamento, un modo di pensare e di agire continuo.

Ho compreso di essere diventata “una di loro” quando l’atteggiamento nei miei confronti è cambiato, non ero il “solito ospite” di passaggio, il curioso di turno o magari la “spia per conto degli adulti” come poi tra le risate mi era stato detto, ma mi avevano riconosciuta in quanto individualità con una sua storia personale, con speranze e sogni, con proprie esigenze seppure in una posizione differente dalla loro, ma non per questo più autoritaria (semmai autorevole), una persona un po’ più grande che ha un suo pensiero sulle cose del mondo, ed una propria conoscenza da mettere al servizio della “famiglia”, sia trattandosi di manutenzione della casa che della risoluzione dei conflitti …

Sicuramente il mio atteggiamento ha saputo essere più giusto e ponderato nel momento in cui sono stata all’orfanotrofio, dove ho potuto conoscere quella che è stata la realtà delle mie coinquiline prima della casa famiglia di conseguenza comprendendo di più anche loro.

[….]

Conclusioni

Lo stage si è dimostrato essere fondamentale nel percorso di formazione, sia dal punto di vista professionale che personale. Ho potuto così conoscere “da dentro” i meccanismi del lavoro di gruppo e del lavoro individuale che portano al funzionamento di un’organizzazione non governativa locale, con partner internazionali attiva in un territorio assai difficile. Ho saputo con abilità e sensibilità inserirmi in questo gruppo e dare il mio contributo laddove necessario, senza paure di “mettermi in gioco”, o preoccupazioni di non farcela, ma reagendo bene agli stimoli con entusiasmo e recettività. Nei momenti difficili è stata fondamentale la capacità di reggere allo stress e di elaborarlo. Di sopportare il dolore e l’opprimente senso di ingiustizia che si percepisce quando si viene a contatto con realtà umane la cui storia ed il presente li contengono, siano esse cause di guerra che di un sistema sociale che crea conservando queste ingiustizie. Per dare il proprio contributo a chi è attivo affinché cambi questo stato di cose, chi lotta e lavora per aiutare gli esseri umani ad avere una vita dignitosa e speranza, ho cercato di dare il meglio delle mie energie vitali e della mia conoscenza e posso ritenermi soddisfatta di quanto sia riuscita a fare, sebbene la strada che si prospetta sia molto lunga. Il merito va a chi mi ha accolta nel proprio ambiente, chi mi ha fatto sentire benvenuta e a casa, chi non mi ha fatto mancare mai il calore umano e la forza che sa trasmettere un sorriso, ossia alle mie colleghe e colleghi, operatori di Tuzlanska Amica, operatori di pace internazionali.

 

 

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