Laboratorio di scrittura creativa sul lago Perucac
Tra le pieghe delle tante attività della Settimana, sul lago Perucac abbiamo fatto una breve sessione di scrittura. Erano giorni che avevamo voglia di scrivere, ne parlavamo durante le camminate nei boschi intorno a Srebrenica, ma non riuscivamo a trovarne il tempo.
Ci siamo trovati in sette: persone diverse tra loro per età, sesso, vicende di vita, lingua madre.
Era una bellissima giornata di sole e abbiamo scritto seduti all’ombra di un albero, ai bordi dell’acqua che in quel momento era la gioia dei bambini che si erano aggregati, gioia dei ragazzi che ballavano con la musica alta, gioia di tutti noi. Ma anche acqua che riverberava cupezza, acqua in cui nascondere cadaveri trasportati su camion come merce imbarazzante, simili a rifiuti tossici.
Ci siamo sentiti uniti fin da subito, in maniera spontanea, come se fosse scattato l’istinto umano, una volta tanto positivo, della protezione del proprio gruppo. Certamente favoriti dallo scenario in cui eravamo immersi e dall’atmosfera affettuosa che ha scaldato tutta la settimana a Srebrenica.
Il tema scelto era un argomento d’attualità, non per contribuire ai dibattiti in corso con nuove idee né tanto meno per cercare risposte definitive, ma per portare il tema dentro di noi, per indagare noi stessi con lo strumento della scrittura e con quelli offerti dal lavoro di gruppo. Il tema dell’identità, intesa come senso d’appartenenza, ossia di identità collettiva.
Tema delicatissimo e di cui si fa un gran parlare. Noi e loro. Loro e noi.
L’identità è questione delicata, importantissima per tutti. Troppo spesso diventa bandiera da impugnare contro qualcun altro, ma troppo spesso è anche guardata con sufficienza, come fosse un rimasuglio arcaico, bruto, superabile con la cultura.
Ci sono identità che ci auto-attribuiamo e che ci identificano con una comunità di appartenenza, che sono il frutto della nostra storia personale. E ci sono identità che ci vengono attribuite dagli altri, in cui non necessariamente ci riconosciamo.
Ci sono appartenenze che ci fanno sentire al sicuro o che accettiamo pur senza entusiasmo. Ci sono viceversa appartenenze che ci gelano il cuore o che semplicemente ci fanno sentire a disagio.
Patrie elettive e patrie natie.
Ci sono soprattutto codici collettivi i quali ci consentono classificazioni che altre persone, appartenenti a culture che hanno codici differenti, non fanno, e magari le loro classificazioni ci paiono astruse. Di questi codici ne siamo generalmente ignari custodi, e gli stereotipi sono tanto più forti quanto meno ne siamo consapevoli.
A Perucac alcuni di noi hanno inteso la propria identità in generale, nel contesto della propria vita, altri l’hanno invece intesa in rapporto al luogo in cui ci trovavamo, la Bosnia. In entrambi i casi portare il tema dentro di noi con la delicatezza che l’arte della scrittura consente, non discuterne astrattamente ma mettere in gioco la nostra persona, ci ha fatto conoscere cose di noi che non sapevamo di sapere. Ci siamo vicendevolmente ascoltati con emozione e partecipazione e abbiamo imparato una parola nuova, inventata da Sebastian: polakezza. Questa parola ce la siamo tutti memorizzata come un augurio per l’anno a venire. Polako polako.
Marzia Bisognin, conduttrice del laboratorio di scrittura creativa