Workshop di clownerie diretto da Chiara Visca e Paola Conti
Leggere libri, ascoltare racconti, cercare su internet cosa sia Srebrenica, non è come arrivarci.
Per chi si aspettava un luogo cupo, una città fantasma, come per chi provava a non avere aspettative si trattava comunque di una sfida: 6 clown, tre ragazze e tre ragazzi, appena maggiorenni in una città segnata dalla guerra e da un genocidio. Fa paura a dirlo.
Pronti o non pronti si parte (o meglio si arriva) e vicino ai buchi delle granate ci sono i colori sgargianti delle case ricostruite e donne sorridenti ad accoglierci. Non capiamo una parola, ma l’ospitalità e il calore sono chiarissimi.
E da quel momento sono passati tre giorni che sembrano due mesi.
Ci sono Miroslav, Mladen, Branko e Milan, che rinunciano alle attività della loro giornata per organizzare con noi lo spettacolino per la conferenza di apertura, con una disponibilità davvero incredibile e una bravura un po’ imbarazzante (per noi).
E c’è una strana sensazione di disagio nel vederci vestiti da clown con il naso rosso accanto alla squadra di calcio schierata, in impeccabile divisa e aria truce, al fischio d’inizio della partita scapoli contro ammogliati … Qui si gioca sul serio. Noi è meglio che si stia in panchina.
C’è la nonna che ci ospita, che ci sveglia con l’odore di pita fritta alla cipolla: la nostra colazione! Si siede accanto a noi, sigaretta in bocca e Sudoku alla mano per controllare che si mangi abbastanza.
Sul suo viso, su tutti i visi che incontriamo, è scritto il racconto di quello che è stato.
C’è il cimitero e il memoriale di Potoćari.
C’è la fila delle tombe bianche, le foto dei ritrovamenti delle fosse comuni, e di là della strada c’è la fabbrica dove vediamo le immagini girate a Srebrenica l’11 di luglio 1995.
Ci sono poche parole.
Una di noi pensa che quel ragazzo nel documentario aveva l’età di suo fratello.
Per tutti, di colpo, diventa chiaro: se fossi stato qui, ora non ci sarei più.
E appena tornati c’è da fare animazione per i bimbi di Srebrenica. Ci si asciugano le lacrime mentre ci si dipinge il naso di rosso e le risate dei bambini riempiono il silenzio.
Ci sono i bambini, che ci seguono ormai ovunque. Da quando ci hanno visto la prima volta si sono avvicinati senza paura ai clown, gli sono saltati al collo, e ora è difficile convincerli a lasciare la presa.
Ci sono i grandi che quando passiamo cantando per strada si affacciano incuriositi, qualcuno addirittura ci insegue con un grosso pennello grondante vernice minacciando di dipingere oltre che la sua casa anche il nostro naso.
Ci siamo noi, al nostro primo viaggio come clowns, e sono passati solo tre giorni.