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Un incontro tra Fabio Levi e Mohammed Aden Sheyk: Non è facile capire la Somalia

14.5.2008, Fondazione
L’incontro a Torino con Mohammed Aden Sheyk, nella sede dell’associazione Somalya, di cui è uno dei principali animatori, ci dà la misura di quanto sia difficile per noi avvicinarci alla realtà somala di oggi. Ministro ai tempi di Siad Barre, da molti anni vive in Italia, ma segue da vicino il dramma attuale del suo paese. Ci racconta della presenza militare etiopica concentrata a Mogadiscio e nelle regioni circostanti, della caccia alle Corti islamiche e alle forze spesso fortemente radicate nella popolazione che resistono alla presenza straniera, del governo costretto a risiedere a Baidoa - sotto la protezione degli etiopi - che nomina i ministri ma non riesce a ricostituire nemmeno una parvenza di struttura amministrativa e dunque non controlla alcunché nel paese, delle milizie e dei signori della guerra che imperversano in varie aree della Somalia, dell’assenza di una efficace presenza internazionale.

Non è facile ad esempio capire cosa significhi vivere in una realtà dove negli ultimi anni lo stato si è in pratica dissolto: quando non c’è più nessuno che faccia rispettare le leggi e le istituzioni sono state distrutte, i deboli sono sempre più deboli, fino a diventare, per sopravvivere, schiavi di chi può far valere la forza delle armi. Chi vive all’estero non riesce ad avere un passaporto ed è magari costretto a servirsi dei documenti emessi ai tempi di Siad Barre; non può rivolgersi a un consolato, a un’ambasciata in grado di garantire la sua identità e di difendere le sue ragioni.

Secondo gli ultimi accordi internazionali sarebbe in corso un processo di transizione, ma della durata di ben cinque anni, che peraltro si stanno esaurendo. Nel 2009 quel processo dovrebbe concludersi con regolari elezioni, per le quali tuttavia mancano le più elementari condizioni. C’è il rischio che quella pretesa transizione non porti da nessuna parte, che la Somalia di oggi non possa avere un futuro. Per chi - ci dice ancora Mohammed Aden Sheyk, riferendosi alla propria esperienza e ricordando gli anni trascorsi in prigione, nel più totale isolamento - ha vissuto una stagione di grandi speranze, quando il paese sembrava avviato verso una progressiva modernizzazione e una maggiore apertura, è come se fossero stati cancellati, sviliti, i tuoi ideali, i tuoi progetti. Ma non solo. Viene da chiedersi a questo punto: che cosa ho fatto, che senso hanno avuto i miei sacrifici e quelli di tanti altri, se non sono riuscito a dare neppure un briciolo di speranza.

In un contesto simile, personaggi come Mana sono senza dubbio eccezionali. Anche se fortunatamente la sua non è stata la sola iniziativa di sostegno alla popolazione in questo momento di grande difficoltà e di forte disorientamento. Il problema degli orfani è indubbiamente cruciale, ma - avverte ancora Aden - anche su questo, come sulla condizione delle donne o sui caratteri della cultura islamica in Somalia dobbiamo evitare di sovrapporre i nostri punti di vista o, peggio, i nostri pregiudizi di occidentali. Non è facile capire e i giudizi affrettati certo non aiutano.

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