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Elio Sommavilla: Sorella acqua

15.5.2008, Fondazione
Notoriamente il problema più grosso in Somalia è, come per tutti i paesi subsahariani, quello dell’acqua. In Somalia è stato risolto solo in poche città. Si tratta però di soluzioni precarie, perché realizzate con impianti difficilmente gestibili, che vanno spesso in crisi.

La gente ha fatto e sta facendo sforzi disumani per avere un po’ d’acqua: sono stati scavati a mano pozzi a oltre cento metri di profondità anche in tempi, in cui non esistevano gli anelli di cimento che proteggono dal franamento le pareti, il pozzo e chi lo scava.

In Somalia, bucare senza uno studio idrogeologico vuol dire avere pochissime possibilità di trovare acqua o acqua dolce, ed esistono addirittura vaste zone, come tutta la fascia costiera, in cui perforando in profondità si turba il delicato equilibro tra la falda superficiale, dolce, e quella sottostante, salata, su cui la prima “galleggia”.

Utilizzando immagini satellitari, oggi può costare anche poco effettuare una vasta ricerca idrica per individuare aree, in cui l’acqua nel sottosuolo esiste. Succede invece che si avvia un progetto, costruendovi le infrastrutture, prima di sapere se l’acqua c’è.

Lo studio idrogeologico permette talvolta di scoprire che il problema può essere risolto con impianti enormemente meno costosi e molto più facilmente gestibili delle perforazioni e dei relativi sistemi di pompaggio. Ma probabilmente questo non si vuole scoprirlo.

 

Vi sono parecchie soluzioni tecnologicamente semplici e assai poco costose che, per un minimo di onestà, vanno ricercate prima di ricorrere alle perforazioni. Sono impianti realizzabili spesso dalle comunità stesse o da tecnici locali addestrati.

La più classica di queste soluzioni è il pozzo scavato a mano, chiuso in alto con un coperchio e attrezzato con una pompa manuale. E’ un sistema che viene a costare da 50 a 100 volte meno del pozzo perforato e attrezzato con pompa a motore. Non crea guai ecologici ed è in buona parte realizzabile dalle comunità stesse che ne faranno uso. E’ vero che la pompa a mano ha avuto degli insuccessi, ma si tratta probabilmente di inconvenienti ovviabili scegliendo meglio le pompe, coinvolgendo maggiormente le comunità, attrezzando e preparando qualcuno che faccia le riparazioni, insegnando a gestire l’impianto. Il management è infatti il tallone d’Achille soprattutto per i pastori, che non hanno mai dovuto praticare il tipo di esercizio mentale richiesto dalla gestione di un impianto, per quanto semplice.

In certi casi le pompe a mano possono essere sostituite da tecnologie ancora più semplici, soprattutto quando l’acqua si trova a profondità molto piccole. Le falde poco profonde hanno spesso portate molto basse e perciò con un pozzo tradizionale si ottiene poca acqua. In questi casi il problema è risolvibile con la cosiddetta “galleria d’infiltrazione”, che è una specie di pozzo sviluppato orizzontalmente nella falda, di modo da ottimizzare il suo sfruttamento. Nonostante la piccola profondità, l’acqua è di solito potabile, perché i paesi poveri hanno almeno la fortuna di non avere ancora il terreno avvelenato dai pesticidi e dalle industrie.

Località in cui è facile individuare, con semplici ricerche idrogeologiche, falde poco profonde, sono per esempio le sponde dei corsi d’acqua, densamente abitate da gente costretta a bere l’acqua dei fiumi, come succede per esempio agli agricoltori delle valli del Shabeelle e dello Jubba.

 

Le gallerie d’infiltrazione possono risolvere anche i problemi idrici della fascia costiera. Esistono vicini al mare falde sottili di acqua dolce che galleggia su acqua salata, in una situazione di equilibrio delicato. Le perforazioni selvagge hanno già creato enormi guai in alcuni punti. Mentre semplici ed economiche gallerie d’infiltrazione possono risolvere meravigliosamente bene il problema.

 

Dove non c’è, è possibile talvolta creare artificialmente una falda poco profonda mediante una diga subalvea, cioè inserendo un materasso alluvionale in un torrente, trasversalmente al suo corso. In questo modo si può utilizzare l’acqua dei corsi stagionali, che altrimenti va completamente perduta e talvolta crea addirittura guai ingrossando i fiumi principali nel momento in cui sono in piena. Ricuperando una piccola percentuale di quest’acqua, si risolverebbe il problema in vaste aree in Somalia.

Dove pozzi e gallerie d’infiltrazione non risolvono il problema, perché nel sottosuolo l’acqua non esiste o è salata, rimane come unica risorsa l’acqua superficiale. Un rapido calcolo, basato sulla piovosità media, rivela che sul territorio somalo, una delle regioni più aride del mondo, piovono dal cielo più di 100.000 litri di acqua al giorno per persona. Un millesimo di quest’acqua risolverebbe il problema idrico di tutto il paese. E di fatto, su due terzi del territorio somalo si vive utilizzando proprio quest’acqua: raccogliendola nei “war”, anche se purtroppo senza la necessaria preoccupazione per l’alto rischio di inquinamento.

 

(Estratto da un intervento a Bolzano il 18 marzo 1991 su invito di Alexander Langer, per informare sull’emergenza umanitaria che aveva colpito la Somalia. Presente anche il sudtirolese Willy Huber, direttore di SOS Village a Mogadiscio)

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