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Antonio Marchi: 3 luglio 2010, in viaggio con alex

3.7.2010, autore

“Altri” (tra cui Marco Boato su UCT), hanno già ricordato i 15 anni che ci separano da quel tragico 3 luglio 1995 quando Alex decise di lasciarci per sempre. Vorrei farlo anch’io oggi, ritornando a Telves in bicicletta, riprendendo un mio ricordo letto nel cimitero, in un finale di viaggio in bicicletta che ricordava degnamente i 10 anni dalla sua dipartita.

Lo faccio dopo aver partecipato ai due giorni di Amelia del 22 e 23 maggio scorso, dove si è parlato di Langer in un appassionato e partecipato convegno(“Alex Langer tra ieri e domani”). Oltre al valore e al merito di quella comunità di aver fatto quello che né a Trento, né a Bolzano ancora, vergognosamente, riusciamo a fare e cioè: dedicare una via a Langer o scoprire una lapide o cantare delle lodi al grande comunicatore…In quelle due giornate dai molti e pregevoli interventi tra cui dolcissimo e struggente quello di Anna Bravo, non di meno quello di Guido Viale, Guido Crainz, Goffredo Fofi(la cui analisi è stata impietosa sull’attuale catastrofe capitalismo)  … è uscito un Langer  “beatificato”, ma “lasciato” ancora troppo solo ad affrontare i tremendi problemi di questo mondo. Quel suo correre, spendersi e spremersi senza fondo che l’ha portato a esplorare mondi e popoli, vivendo e patendo le lacerazioni e gli scontri fratricidi che hanno portato distruzione e morte nei Balcani, non è stato raccolto dai singoli intervenuti(loro hanno altro da fare)sembra riguardare  il “suo” passato, non il nostro presente. Il suo testimone di uomo instancabile che viveva la politica da non politico, che prendeva sul serio tutto come parte di se spremendosi senza riserva, rimane ancora privo di partecipanti. Ne è uscito un elogio al quale anch’io più volte mi sono affezionato e nel quale mi sono ritrovato, ma non un impegno per fare ognuno la propria parte. Alex ci lascia una tremenda eredità sulle macerie di una guerra che non è mai finita: un tremendo fardello di esperienza e di conoscenza, un immenso territorio da salvare, la terra. Continuare dunque non è solo auspicabile ma necessario, perché è la vita sulla terra a essere minacciata. E invece, spesso, rimpiangiamo il passato, ci fermiamo a contemplarlo per quei brividi di protagonismo individuale che ci ha divisi, fatti a pezzi, resi capaci di tradimenti da rendite politiche, da privilegi personali, da posizioni di potere... Ripartire da Alex per essere uomini, continuare in ciò che è necessario fare, in ciò che è giusto fare, nell’eredità e nell’esempio di una vita che si è spesa anche per noi.

Quando ho messo piede nel piccolo cimitero di Telves, dove Alex  riposa, erano le ore 17 del 3 di luglio 2005. ”Caro Alex, mai ho faticato tanto per venirti a trovare….  Adesso devo ritornare dove mi aspetta la vita di sempre. Quella che ho “lasciato” per 21 giorni è un’altra vita, affascinante, avventurosa, ma un’altra.  Quella che ritrovo, che mi aspetta da vivere, me la devo guadagnare giorno dopo giorno con impegno e coerenza. Rinunciare significherebbe come scappare dalla realtà. Rinunciare alle difficoltà, alle contraddizioni del nostro stentato procedere, nuocerebbe alla stessa maturazione; perché è solo nel continuo frequentarsi che ci si conosce, nel confronto ci si anima e allora si cambia. Questa vita che hai lasciato, non è facile da accettare perché ingiusta, quando non è cinica, quando non è disumana, quando non è egoista….ma è l’unica che conosco. Quella che da sempre ha segnato nel bene e nel male gli uomini e le donne che quotidianamente hanno lottato per renderla più umana, più giusta, più libera, più vivibile”.

Nel canto corale che ha accompagnato ad Amelia l’inaugurazione della via a Alex Langer e lo scoprimento di un’opera artistica, le parole poetiche erano di Pierpaolo Pasolini. Fanno riflettere e sono il miglior viatico per ripartire da quello che Alex Langer ci ha lasciato.

“Io, io mi guardo intorno e piango, i paesi poveri, le nuvole e il frumento, la casa scura, il fumo, le biciclette, gli aerei che passano come tuoni e i bambini che guardano, la maniera di ridere, che viene dal cuore. Gli occhi che si guardano intorno e ardono di curiosità, senza vergogna, di rispetto, senza paura. Io piango un mondo morto, ma non sono morto, io che lo piango. Se vogliamo andare avanti bisogna che piangiamo il tempo che non può più tornare, che diciamo di no a questa realtà che ci ha chiuso nella sua prigione”.

 

Antonio Marchi

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