Alexander Langer Alexander Langer Racconti e ricordi

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Adriano Sofri - Se la patria è il mondo intero

1.6.1996, Bolzano, 1 giugno 1996, presentazione Viaggiatore Leggero

L'amore per il prossimo e la passione per l'intera umanità. L'attenzione per le regole del gioco. La cura dei piccoli passi per realizzare le utopie. L'incontro con don Lorenzo Milani e quello con le donne e gli uomini di Bosnia. I pesi che si accumulano e la speranza sempre rinviata di un cambiamento di vita.

L'intervento di Adriano Sofri a Bolzano, lo scorso 1.giugno, durante la presentazione degli scritti di Alexander Langer raccolti in "Il viaggiatore leggero". Nella piazza accanto si stavano celebrando i cinquecento anni del Sacro Cuore.

Probabilmente molti di voi capiscono che venire a Bolzano è sempre una specie di avventura per chi non è di Bolzano e in particolare per quelli che sono dannatamente italiani come sono io. A Bolzano si sente che voi siete molto di Bolzano e che voi siete molto gentili con ospiti e intrusi, ma che questi rimangono ospiti e intrusi. Nella giornata di oggi c'è poi qualcosa di teatralmente magnifico. Insomma qui ormai sono fanfare, penne che sventolano, salve di cannone che mi hanno spaventato moltissimo oggi al loro primo risuonare. Io frequentavo Sarajevo e a Sarajevo queste salve di cannone sono state ininterrotte. Non erano salve e per un momento insomma avevo veramente sussultato, e penso che questa sia una ragione ottima per congratularsi delle grazie rese al cielo dal Vescovo, per il fatto che qui c'è la pace insomma. E poi per giunta, per un'altra assurdità, noi siamo qui oggi a Bolzano senza Alexander Langer. Io penso di essere venuto a Bolzano trenta volte nella mia vita o forse anche di più e sempre perché c'era Alexander Langer, l'ultima volta che sono venuto era per il suo funerale e quindi c'è qualcosa che a me sembra un po' assurdo in questa situazione e mi pare che valga la pena di conservare un poco di questa assurdità.

Sono molto compiaciuto del fatto che siamo riusciti a pubblicare "Il viaggiatore leggero" e abbiamo adesso un oggetto in mano e in questo oggetto si è depositato la nostra foga di consolarci della perdita di Alexander Langer. Ma ben presto, poco dopo per fortuna, si è depositato un bel libro che dice cose molto importanti e che permette a tutti noi di riflettere.

In questo libro ho trovato, man mano che lo leggevo e lo rileggevo, delle espressioni, dei dettagli sempre più significativi, per me sempre più belli. Ne citerò uno, perché è stato citato più volte già qui, l'espressione dell'Alex molto giovane su "i nostri cari pregiudizi". Questa espressione è stranissima, io ho pensato prima ad un errore di traduzione dal tedesco, poi invece mi hanno confermato che questo era il senso del tedesco originario. Ora in una persona che si batte tanto contro i pregiudizi in un luogo così invaso e ossessionato dai pregiudizi, l'espressione de "i nostri cari pregiudizi", secondo me è bellissima, è l'espressione d'una persona che lavora per liberarsi e lavora con gli altri perché ci si liberi e ci si sbarazzi dei pregiudizi e si possa procedere liberamente, e al tempo stesso prende commiato dai pregiudizi con una specie d'affetto, non solo con quella premura un po' cerimoniale che era tipica di Alexander Langer. Qualche volta metteva in imbarazzo con i suoi eccessi le persone più brusche, a volte le persone più rozze. Ma in una giornata come quella di oggi, mi sembra di dover sottolineare questo vero affetto, vera comprensione per la storia e per il passato che è contenuto in questi pregiudizi, per le persone che li hanno condivisi, che vi hanno creduto, forse hanno ammazzato o si sono fatte ammazzare.

Di fronte alla scelta di pubblicare i testi di Alexander Langer quindicenne, c'era naturalmente una forte esitazione, un forte disagio. Provate a immaginare che di ciascuno di voi, da vivo o no, si faccia un'operazione di questo genere, cioè si prendano i suoi temi scolastici a 14, 15, 16 anni e li si metta in un volume rilegato, e li si espongano alla lettura pubblica. Insomma è un minaccia particolarmente pesante. Così noi assistiamo costantemente, grazie a indiscrezioni dei giornali, a cose di questo genere. Abbiamo letto la pagella di Prodi che era molto bravo a scuola, abbiamo letto la pagella di Di Pietro che era un ciuco, e forse chissà, non so, speriamo che non lo sia più. Leggiamo temi di presentatori televisivi e così via. In questo caso noi abbiamo qui un ragazzo di quindici anni di cui pubblichiamo i primi scritti, sapendo anche che l'impressione che faranno sul lettore del volume sarà un'impressione decisiva: non tanto sui conoscitori di Alexander Langer, ma anche sui lettori profani, per esempio sui ragazzi che dovessero leggere queste cose e che si troveranno di fronte una presentazione di scritti che non solo risalgono a quasi 35 anni fa, perché è passato molto tempo e la vita di Alex è stata molto lunga e piena di frutti, ma anche a cose scritte da un adolescente. Io sono stato veramente colpito di questi primi scritti. Non li trovo straordinari, ne vedo l'ingenuità, ma vi scorgo anche la freschezza, con questa caratterizzazione religiosa così forte, così intimamente e fortemente vissuta, con questa sicurezza di sé così perentoria, con questa specie di appello agli altri e di sfida al mondo al quale Alexander Langer e il gruppetto dei suoi amici annunciavano, in modo bilingue e stentoreo, che adesso si misureranno con lui e lo cambieranno, cosa che penso tutti i ragazzi di 15 anni e le ragazze devono decidere di fare, o di provare a fare per lo meno una volta nella loro vita.

Però in questi testi ci sono già delle parole chiave che a mio parere sono decisive, nel bene e nel male, non nel bene e nel male morale. Ma che i risultati buoni, come nel gioco degli scacchi, convivano con i fallimenti, è decisivo di tutta l'esperienza politica di Alexander Langer e di un numero molto grande di noi, da qualunque lato politico e da qualunque generazione proveniamo.

In particolare io sono fortemente attratto dalla presenza, in questi primi scritti, di alcune espressioni apparentemente fraseologiche, ne citerò solo qualcuna. Una è "prendere sul serio". Alexander Langer usa continuamente l'espressione "prendere sul serio". Poi usa una serie di espressioni che hanno a che fare con l'intransigenza, il rigore, la radicalità, l'assolutezza, il rifiuto delle mezze misure, il rifiuto del quieto vivere, dell'ipocrisia. Tutto questo è contemporaneamente personale e tipico dell'età in cui queste cose vengono scritte. Ma poi l'elemento decisivo, la struttura portante su cui questi scritti si sostengono, è la presentazione di una polarità che resterà inalterata e centrale nel corso della sua vita. Questa polarità è apparentemente ovvia, ma non lo è così tanto ed è quella tra il prossimo e l'estremamente remoto. Il prossimo nel senso di ciò che è più vicino, nel senso letterale del significato del prossimo, che significa ciò che ti è più vicino, e ciò che ti è più vicino anche moralmente. Il prossimo è colui che ti soccorre nel momento del bisogno. Poi c'è l'estremamente remoto, l'infinito, l'orizzonte ultimo, il destino di tutta l'umanità, il destino di tutta la terra, il destino del mondo intero. Ora secondo questo annuncio l'azione pubblica, civile, religiosa di questi ragazzi si svolgerà su questa doppia scena, su questa scena girevole di un teatro, che ha da una parte l'appello al prossimo, e la dedizione completa al prossimo, e dall'altra parte la dedizione altrettanto completa e radicale a tutti, a tutti gli altri. C'è un ricorso della parola "tutto" e "tutti" che è impressionante, che non può essere casuale che non è controllato dall'autore, ma è straordinariamente rivelatore e sintomatico delle sue tendenze e delle sue intenzioni. La parola "tutto" è usata nel significato in cui la dice in latino "totos" cioè vuol dire tutto intero, nel senso della totalità nella dedizione completa, intera, e dall'altra parte la parola "tutti" è ripetuta e intende esattamente tutti. Dunque c'è qui una scelta che, secondo me, è assolutamente fatale per la vita di Alexander Langer e forse di molti altri di noi che ne hanno condiviso l'esperienza. C'è questa capacità di vedere l'orizzonte più ravvicinato e limitato, Vipiteno/Sterzing, Bolzano/Bozen, l'Alto Adige/Südtirol, e di farne diciamo il luogo in cui stare, mettere radici, in cui coltivare queste radici di nuovo, da cui partire per qualunque sortita e a cui tornare dopo ogni sortita. E dall'altra parte dietro questo luogo così ravvicinato, questa piccola o piccolissima patria, c'è la decisione di misurarsi con il mondo intero, non con figure intermedie, non con geografie mediane, ma con il mondo intero o con il suo destino, con il suo passato, con il suo futuro. Questa decisione temeraria e ardita, come è giusto che sia nell'esistenza di un adolescente, non ha mai abbandonato l'orizzonte politico di Alexander Langer. Questa decisione è molto grave e non così ovvia. Difficilissimo è capire chi sia il nostro prossimo e come comportarsi con il nostro prossimo. E è enormemente difficile capire come fare a misurarsi con il grande mondo, in particolare quando l'umanità stessa invece di essere semplicemente una parte della storia naturale del grande mondo è diventata una parte così decisiva della storia naturale del grande mondo, fino a minacciarlo di distruzione: non solo più con i suoi mezzi bellici, cruenti, violenti, militari, brutali, come la bomba atomica, ma semplicemente con la pacifica presenza propria degli umani. Questo misurarsi con il mondo diventa una cosa che fa tremare le vene ai polsi.

Con una determinazione del genere Alexander Langer è diventato studente universitario a Firenze, dove si radica in modo significativo e altrettanto eccentrico, e diventa intanto conoscitore, cosa che a quell'epoca era ancora destinata a pochi fortunati, degli scritti e poi dell'attività pastorale e didattica del Don Milani, Don Loreno Milani, mandato in esilio nella canonica di Barbiana, cioè nel flagello più selvatico e più ignobile. Poi lo va a trovare e sapete che questa cosa sarà molto importante per lui e per tutti, che farà la traduzione dalla "lettera a una professoressa" in tedesco, insieme ad una anziana signora ebrea. Lo va a trovare e riferisce, in uno dei suoi testi che raccontano di incontri con persone, ciò che ricorda delle conversazioni dirette avvenute con lui. Don Milani era molto scorbutico, e anche molto poco disposto a chiacchierare con le persone che arrivavano, lì compreso Alexander Langer, al quale ad un certo punto dà un ultimatum: o smetti di frequentare l'università o smetti di salire fino a Barbiana. Perché noi non abbiamo più tempo per i signorini, che vanno all'università invece di mollare tutto e dedicarsi alla cura degli ultimi, degli umili, dei figli dei montanari, dei contadini, dei pastori ai quali bisogna insegnare a leggere e scrivere. Alexander Langer non lascerà l'università, si laureerà due volte, darà vita con altri ad un doposcuola a Vingone, nei pressi di Scandicci. Nel racconto di quella conversazione, pubblicata su Azione Nonviolenta nel 1987, c'è una frase che voglio anche qui ricordare, perché ho l'impressione, dal modo in cui Alexander l'ha raccontata, che sia passata quasi inavvertita in lui, nel suo significato più pregnante. Io stesso non me ne ero accorto prima di rileggere di seguito tutti questi testi. Don Milani dice una cosa che sembra quasi buffa nella sua drammaticità estremista e che è bellissima, bellissima e fa paura anche. Dice: finitela con tutte queste storie dell'amore universale. Nella vita...si possono amare concretamente al massimo tre o quattrocento persone. Colpisce moltissimo la quantificazione delle persone che si possono amare nell'arco di una vita umana, eseguita da una persona la cui dedizione è totale, da una persona come don Milani che non avrebbe sacrificato neanche un minuto della propria vita al tempo fermo o al tempo perduto o alla distrazione. Soprattutto ha a che fare con il tema essenziale che Alexander Langer ha segnalato come quello centrale del suo impegno politico. Quella frase lì è destinata forse a far vacillare tutto l'edificio su cui si posa l'impostazione, l'orientamento politico, pubblico, culturale, teorico di Alexander Langer. Ma ritengo che quello fosse davvero il suo modo di essere, cioè un'aspirazione a darsi "tutto a tutti", come lui scrive, con una combinazione di ambedue i significati della parola tutto, ed allo stesso tempo una continua cura e una continua nostalgia per il luogo originario, per il piccolo luogo, per il rapporto ravvicinato, per il riconoscimento del proprio prossimo nello specchio della dimensione più vicina. Ora in questa oscillazione, in questa polarità, c'è una difficoltà estrema. Credo che tutti noi, molto più banalmente e molto più volgarmente, siamo molto sulla difensiva. Ma non voglio coinvolgere nessuno nella chiamata di correo in volgarità. In tutti noi c'è costantemente un'oscillazione più o meno consapevole, più o meno deliberata, nel vivere questi aspetti che sembrano qualche volta equilibrarsi, qualche volta escludersi: il prossimo, il grande mondo, le tre-quattrocento persone che forse si possono amare o il cui nome forse può contenere al nostra agenda. Perché il significato può essere anche quello, l'agenda di Alexander Langer è leggendaria. Io non ho agende, ho dei fogliacci con dei nomi, poi li butto via quando penso che non mi servano più, poi dopo un poi mi accorgo che mi servivano molto, che voglio ancora molto bene a quella persone.

Dunque c'è una difficoltà estrema. Se è vero che un altro aspetto decisivo del suo modo straordinario, cioè fuori dall'ordinario, di fare politica, era la capacità di conservare questa capacità di simpatia e di compassione con l'intero mondo, ma di conservarla legata all'attenzione e alla cura per le realizzazioni pratiche, per quello che lui chiamò realismo, questa specie di talento, abilità e pazienza che gli è venuta sempre maggiore e che spazientiva gli altri. L'attenzione alle tecniche da usare per coinvolgere il proprio prossimo e ai regolamenti parlamentari per far passare una mozione che avrebbe portato un po' di soccorso, non so nei Balcani, o nel rapporto col debito nel Terzo Mondo, o la fine di esperimenti orrendi di biogenetica. Questa specie di combinazione, ripeto, introvabile a mio parere in qualsiasi altro politico che io conosco, con questa ricchezza di legami tra sguardo profetico nel senso positivo e attenzione tecnica a meccanismi che rendono efficace l'intervento politico dall'altra. Anche questa è un cosa molto difficile. Intanto per l'impegno e la fatica impliciti. Non a caso i profeti fanno di professione i profeti ed i tecnici della politica fanno i tecnici della politica. E a volte i tecnici della politica fingono di telefonare, di convocare il profeta per avere qualche illuminazione sul destino del mondo, soprattutto se non ci sono elezioni anticipate. E a volte i profeti convocano i politici, come si chiama l'idraulico quando il rubinetto non funziona. Ma è difficilissimo trovare nelle stesse figure questa compresenza che logora enormemente. Tu devi non mancare a nessuna riunione, devi essere il più bravo nel trattare i regolamenti per l'appunto del Parlamento Europeo o del Consiglio Regionale, e contemporaneamente devi volare in Albania, prendere la Limousine di cui lui parlava, scendere, sgattaiolare fuori dal bagagliaio per andare a incontrare le persone, raccogliere gli indirizzi di queste persone che poi diventeranno il tuo prossimo e che poi avrai a carico tutta la vita. Anche qui secondo me c'è una cosa molto bella e al tempo stesso una cosa la cui incompiutezza induce ad un riflessione molto spaventata.

In Alexander Langer c'era la convinzione, non solo nel modo di fare politica ma nel suo modo di vivere, che non si potesse avere nessuna buona idea, che non si potesse compiere nessuna buona azione, se non passando attraverso il convincimento, la persuasione e l'accompagnamento comune di queste idee, azioni, gesti, fino in fondo. Cioè che niente potesse in politica rinunziare alla reciproca e comune persuasione. Il che lo portava ad un travagliatissimo e pazientissimo lavoro, che spesso appunto lasciava sconcertati perché non faceva distinzioni in questa specie di principio. Non c'erano per lui persone più importanti o meno importanti. Non mi riferisco solo ai potenti o ai non potenti. E' chiaro che i non potenti sono più importanti dei potenti. I potenti possono essere molto importanti se servono a combinare qualcosa di utile, ma in generale la scelta per i più deboli era persino naturale in uno come Alexander Langer. Ma ciò valeva anche per i passanti, per persone più casuali, con i quali non aveva comunanza di impegno politico. Questa pazienza, questo far passare qualunque cosa attraverso la discussione comune, l'esame e l'accordo comune, era un'altra cosa logorante e defatigante. Non solo. Rischiava in alcune circostanze di andare assolutamente fuori dal tempo imposto dalle scelte da prendere. Faccio molto frettolosamente l'esempio della Bosnia in cui so bene, non esito a ripeterlo, che Alexander Langer da molto tempo aveva maturato la persuasione assoluta che fosse necessario l'intervento delle forze internazionali per far cessare il massacro. Da molto tempo, lo aveva anche detto ma molti hanno fatto finta di non accorgersene, era persuaso di questo direi quanto ne ero persuaso io. Ma mentre uno come me si dava da fare nel modo più becero e gridato a dire che questo intervento era assolutamente necessario, rompendo i rapporti con chiunque altro non aderisse a questa posizione, Alexander Langer aveva un bisogno insuperabile di far discutere, di far maturare la giustezza di questa posizione dentro tutte le persone con cui aveva lavorato per anni e con cui ancora lavorava. Tutta questa cosa la sentiva come una specie di forte peso, di limite. Come si legge in un testo pubblicato nel libro, fu la strage dei ragazzi di Tuzla a spingerlo a rompere ogni indugio.

Ecco io penso che tutte queste cose straordinarie incontrassero continuamente un limite molto forte, e spiegano in qualche modo questo senso di fatica e di peso sempre più grande che si è accumulato sulle spalle di Alexander Langer. Non sto parlando delle ragioni del suicidio. Le ragioni del suicidio stanno nel suicidio e penso che non valga la pena di parlarne a meno che non sia di consolazione a chi ne ha bisogno.

Questa impegno faticoso si accompagna nell'arco di tutta la sua vita a un tema di una forza trascinante, che si scorge fin dall'inizio, fin da quei primi scritti. Questo tema è quello della promessa, che a ciascuno viene data, del cambiamento della vita. E' una promessa apertamente, palesemente religiosa, è la promessa che si chiama della conversione. E la parola conversione è usatissima nel lessico di Alexander Langer. Man mano che le cose vanno avanti questa parola conversione si associa sempre più esattamente, pregnatamente, con la questione ecologista, con la questione della necessità che il mondo cambi strada, che il mondo torni indietro, si riconverta: non solo che si riconvertano le industrie, i sistemi economici, le mentalità progressiste, ma si converta, che cambi la vita, l'intero passaggio umano sulla terra. In Alexander Langer c'è una dimensione personale di questa specie di promessa e di aspirazione alla conversione che è fortissima sempre e che si esprime in forme molto diverse, una di queste forme era l'ammirazione per l'eremo, nelle discussioni che si svolgevano tra i verdi a Bolzano. Anche lì fui invitato e anche lì mi sembrò di essere in un mondo molto stravagante. Queste belle discussioni sui benedettini e i francescani, come scelta politica. Per fortuna vinsero i francescani. I benedettini, nella versione alto tedesca, a me spaventano moltissimo e continuano ancora a farlo. Questa aspirazione al cambiamento di vita, questo modo di assumere su di se sempre più fardelli e continuare in modo sempre più faticoso, tentando al tempo stesso di spostare il problema un poco più in là, dilazionarlo un poco più in là, ma vivendo in funzione della promessa che quella cosa potrà accadere, che potrà accadere davvero, che smetterò, che andrò via, che diventerò altro, che scomparirò, questa cosa a me pare un'altra delle ragioni essenziali della vita di Alexander Langer, molto prima della sua morte.

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