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Francesco Lauria: Il viaggiatore leggero, portatore sconfitto di una speranza che non muore

29.5.2005, f.lauria@europaplurale.org
Avrei voluto scrivere qualcosa del referendum francese sul Trattato Costituzionale Europeo.

E invece una strana, anomala trasmissione televisiva del sabato sera, mi ha posto di fronte al ricordo sofferto di uno splendido viaggiatore notturno e leggero, dieci anni dopo il suo drammatico suicidio: Alexander Langer.
Alex era stato da un anno rieletto parlamentare europeo, era una persona eccezionalmente dolce e tormentata, cristiano e radicale, militante della FUCI e poi di Lotta Continua, traduttore di Don Milani, ecologista ed europeista, quasi anarchico, federalista, portatore di pace, costruttore di ponti, viaggiatore leggero.

Senza dogmi e senza incoerenza.

Transnazionale.

Alex viveva la politica come esperienza estrema, era un uomo di frontiera che abitava il limite, valicando i confini, abbassandoli, probabilmente perché, come molti padri dell’Europa, era lui stesso un uomo di frontiera, la nostra, quella del Brennero, dell piccolo paese dove vivono i miei piccoli nipotini: Vipiteno/Sterzing.

La battaglia di Alex era una battaglia etica, costruttiva per gli altri, a lungo termine distruttiva per se stesso.

Tante le sue battaglie, una in particolare mi è molto cara, quella degli anni settanta in cui si era battuto in Sudtirolo contro le gabbie etniche, contro l’obbligo di identificarsi in una etnia e a dovere ad essa tutto, dalla nascita alla fine.

Di fronte ad Alex la tragedia della Yugoslavia, la Bosnia.

Alex parlava molte lingue, traduceva sempre.

Seppe mostrare a uno spicchio di mondo, la trincea di opposizione condivisa e commovente ad un nazionalismo bastardo, spietato, utilitaristico: Tuzla.

Tuzla città della convivenza, mosaico e arcobaleno di pace nella guerra dei colori unici ed intolleranti.

Un mosaico di resistente multietnicità di fronte al sonno della ragione e delle emozioni.

Bosnia.

Un luogo che a me è entrato dentro in un tempo diverso, il tempo delle passioni tristi, non il tempo della tragedia urlante nel silenzio.

Ma mi è entrata dentro, questa complessa terra e mi fa urlare di fronte al crimine di pace che oggi vede la Bosnia ulteriormente dimenticata, lasciata a se stessa o, a tratti, accompagnata in un’eterna irritante adolescenza post conflitto.

Chissà cosa avrebbe scritto in questi giorni Alexander Langer, autore di interessantissime riflessioni sul tema della bioetica, chissà come ci avrebbe illuminato con la sua timidezza piena di triste speranza.

Costruttore di ponti.

Mostar, il ponte distrutto e ritrovato.

Un monumento vivente che, nonostante la ricostruzione, oggi non è più tale, ma che forse è una provocazione futura di fronte alla nostra fluttante capacità di vivere amando.

Alex costruttore permanente dell’unità forte dell’Europa, forte nella sua debolezza, nel rifiuto di un nazionalismo omologante e fintamente europeista, Alex federalista integrale.

3 luglio 1995.

Un albero, sulle colline di Fiesole.

Il luogo più bello in cui vivere, forse.

Ma l’angoscia ti raggiunge anche nella felicità più forte o nella normalità più semplice.

Non possiamo dimenticare quella che Kirkegaard avrebbe definito: “l’angoscia della scelta”.

E’ bella l’immagine del viaggiatore che porta sulle proprie spalle Gesù Bambino, con la leggerezza di una luce che illumina il mondo attraverso l’atto e la commozione della nascita.

Al tempo stesso quel bambino, si fa uomo tra gli uomini, cresce e vede incontra la sofferenza, soffre.

Il bambino cresce, cresce, cresce si fa sempre più pesante.

Non perde la propria purezza nemmeno macchiandosi nel sangue, quel sangue che è condizione necessaria per la pienezza della resurrezione.

Ma il sangue non si lava, rimane, pesa.

Il sangue della strage del mercato di Sarajevo, dei giovani diplomandi di Tuzla.

Del massacro indifferente e colpevole, della nostra complicità di Srebrenica.

Dieci giorni prima del massacro dell’enclave bosniaca fintamente difesa dai nostri caschi blu, Alexander Langer si impicca ad un albero nell’estate toscana del 1995.

Il peso del Bambino insanguinato era diventato troppo pesante per il generoso viaggiatore leggero.

E forse lo ha schiacciato.

Uno degli ultimi scritti: “L’Europa vive o muore a Sarajevo”.

Alex interrogò ed interroga tutto il nostro mondo pacifista.

Ma interroga con la sua angoscia e la sua scelta ognuno di noi.

C’è un mondo diurno e notturno in ciascuno.

Ci sono speranza e morte, ma possibilità di resurrezione in ciascuno.

Alex voleva bene all’uomo, prima di tutto il resto.

A Vipiteno, a Strasburgo, in Bosnia, a Francoforte, nella sua lotta quotidiana e permanente in difesa delle minoranze, ma al servizio del percorso dell’unità tra gli uomini, i popoli, le narrazioni.

Per la difesa della debolezza.

Nella debolezza e nella Passione.

Una debolezza e una Passione che ci devono oggi far riflettere senza la possibilità di concederci sconti e proprio per questo senza la comodità della sfiducia e dell’indifferenza.

Perché nemmeno di fronte alla morte, la speranza muore…

(In ricordo di Elisa Zanetti…)

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