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Milena Visintainer: Alexander Langer; un'eroe romantico

7.6.2005, Corriere Alto Adige 2.6.2005
Un eroe romantico. Ecco chi era Alex Langer. Un fratello di Jacopo Ortis e di Werther. Adesso che l’ho scritto, nero su bianco, ne sono anche più persuasa; benché capisca di poter suscitare delle perplessità.

I personaggi di Foscolo e Goethe vivono una tragedia dominata dalla passione politica ma soprattutto dall’amore. Mentre il fondatore dei Verdi non portò nella sua lotta, in apparenza, passioni private. Ma fu proprio così?
Una sola volta ho visto di persona Alexander Langer. Era alla stazione di Bolzano, negli anni ’80, in un atteggiamento che ora sembra emblematico della sua personalità: il volto sereno dagli occhi luminosi che guardano avanti e insieme sembrano pronti a comunicare con ogni sguardo di un suo simile che lo incroci, il corpo proteso verso la partenza nella giacca a vento con la sacca a tracolla, rapido ma senza furia. E’ l’immagine più frequente che abbiamo rivisto nei filmati lungo la trasmissione di Gad Lerner, annunciata da questo giornale e dedicata sabato scorso appunto a Langer, nel decimo anniversario della morte.
Erano presenti intellettuali legati alla sua storia, come Marco Boato, compagno di tante battaglie e ancora incapace, dice, “di elaborare quel lutto”, e Adriano Sofri intervistato dal carcere di Pisa, l’amico del tempo di Lotta continua, colpito da un dramma in cui sembra scontare, lui solo, gli errori del ’68, e insieme esprimere uno spessore personale d’eccezione (forse perciò rifiuta l’etichetta,a sé e a Langer, di sconfitti). Gad Lerner, che lo conobbe bene, definisce Alexander “uno che si faceva carico delle sofferenze dell’umanità, di cui si sentiva sempre responsabile e colpevole”. Naturale quindi che, iniziata nel ’91 la guerra dei Balcani, percorresse il paese con la sua carovana di serbi, croati, musulmani, per scongiurare il massacro.
Ma non vi riuscì. E una settimana prima dell’eccidio di Tuzla (la città più martoriata dopo Srebrenica e Serajevo, e il cui sindaco,amico di Langer, era tra gli ospiti di Lerner), nella collina sopra Firenze (nell’amata Toscana dei don Milani e padre Balducci), il nostro Alexander si diede la morte. Una morte che sconvolge ancora quelli che l’hanno amato (poco dopo tra l’altro, nello stesso modo, si suicidò una donna bosniaca). Anche perché non si riesce a legarla all’uomo “instancabile, che nelle situazioni di crisi moltiplicava il suo impegno”(M. Boato).
Quando si mise in luce nella nostra provincia, la complessità delle origini di Langer sembravano farne un intellettuale tipico di questa terra. Invece quella complessità favoriva, in lui, la vocazione a proiettarsi oltre i nostri confini, verso l’Europa e il mondo. Forse anche perciò avvertì subito, prima di tutti, e lo espresse con incisività straordinaria, la miopia di provvedimenti come la proporzionale etnica, il patentino, le “gabbie” linguistiche (in questo senso il suo degno erede mi pare oggi il verde –toscano- Dello Sbarba). Ma allora, di nuovo, come può un uomo di quella tempra, dinamico, amante degli uomini e della vita, arrivare a togliersela?
Forse la ragione sta proprio nel suo slancio, nella sua stessa passione. Una di quelle passioni imparentate con la sensibilità romantica, che fondono pubblico e privato e si nutrono del senso dell’assoluto e dell’infinito. Rispetto al quale la realtà è sempre deludente. Se non c’è una visione ultraterrena che fa accettare i limiti del reale rimandando la pienezza dell’ideale a quella dimensione, la disperazione è in agguato. Come lo fu per Foscolo e Goethe, che la superarono anche proiettandola nelle loro creature artistiche. Alex Langer non riuscì a vedere una sua possibile creatura.
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