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Guido Denicolò: la forza del diritto. Un cambio di rotta nel censimento etnico

10.1.2005, Convivia
Un commento dell’esponente di "Convivia", l'associazione interculturale che ha chiesto l'avvio di una procedura d'infrazione all'UE, per violazione del diritto comunitario, sulle norme che hanno creato un inaccettabile catasto etnico.


Una volta ancora, con la forza del diritto, si è riusciti se non a piegare, almeno a far ragionare il potere politico. E che potere politico! Buoni argomenti giuridici, un computer e la posta elettronica (ovviamente con gli indirizzi giusti), uniti a convinzione, insistenza e pazienza, hanno consentito di smuovere non poco il masso erratico del dogmatismo etnico che grava sulla cultura politica locale e che la gonfia in maniera malsana, come un cronico disturbo intestinale che solo una radicale modifica della dieta può guarire. Davide, nella sua lotta con Golia, non usa più la fionda ma si è messo a studiare giurisprudenza. La leva del diritto europeo ha così potenziato l’iniziativa di un “gruppo debole” che molti, attraverso l’ottica deformata del localismo, avevano giudicato priva di speranza e, talvolta, pietosamente irriso come una ingenua (e suicida) donchisciotteria. Per dirla con l’amato Nietzsche: è stata la pelle della volpe a farci da corazza! Alle soglie del decimo anniversario della morte di Alexander Langer, possiamo, quindi, registrare un sostanziale cedimento di quel collettivismo etnico che, negli anni, inquinava le teste e stritolava le individualità più libere. Lui per primo, visto che ancor poche settimane prima di scomparire gli era stato impedito di candidarsi a sindaco della sua città perché “non accatastato” (e, perciò, inesistente). Non si deve dimenticare, a tale proposito, che due settimane prima che la c.d. commissione dei sei segnasse una svolta sul “censimento”, anche il Consiglio regionale – addirittura riferendosi esplicitamente alla procedura di infrazione promossa da “Convivia” – aveva, a sua volta, eliminato finalmente quella vergogna universale, degna di figurare nei rapporti di amnesty international, che escludeva dal diritto di partecipare alla vita politica della propria comunità tutti coloro che non si erano preventivamente dichiarati o testa lunga o testa tonda. Dieci anni fa, ciò avrebbe permesso a Alex Langer di esercitare i suoi diritti politici (e, forse, di continuare a vivere).
Ci saranno altri momenti per presentare e analizzare, nel dettaglio, la nuova normativa sulla schedatura etnica (che tale è e rimane, sia ben chiaro!) e forse, se tutto andrà bene, in primavera si farà un altro convegno sul tema. Già, perché è stato al convegno di “Convivia” del 1997 che scoprimmo il potenziale che ci veniva offerto, per una nuova rincorsa sul tema, dalla normativa europea sulla tutela dei dati personali, appena emanata un anno e mezzo prima. Una nuova leva da usare per una battaglia antica che – dopo le furbizie normative del 1991, il sistematico “diniego di giustizia” praticato, su questi temi di potere, dalle magistrature locali, e dinanzi all’ovvio disinteresse della sazia moltitudine per le questioni da quattro gatti – poteva trovare udienza presso quel famoso “giudice a Berlino”, sufficientemente lontano e ben legato all’albero del diritto da non cedere alle sirene dello “speck and go”. La nuova disciplina, pur con alcuni residui migliorabili (nel tempo), costituisce – nel suo complesso – una disfatta politico-ideologica dell’attuale sistema di controllo etnico sulla popolazione. Sparisce, finalmente, quel decennale rito di reclutamento etnico che imponeva a ciascuno di presentarsi in armi nel proprio accampamento (ed ai relativi comandanti). Per chi osasse disubbidire al bando militare valeva: Achtung Banditen!
L’appartenenza ad un gruppo linguistico viene ora vistosamente svalutata, ridotta a fatto cartaceo, e si riconosce – per la prima volta in maniera esplicita – il diritto individuale a cambiare periodicamente gruppo. E viene altresì reso più facile starsene in disparte da tutti. Il che equivale, nella sostanza ed in prospettiva, a nullificare i gruppi stessi e trattare la dichiarazione di appartenenza come il voto alle elezioni: ogni cinque anni si può cambiare partito. E’ un cedimento ideologico inaudito che , anche per le sue evidenti contraddizioni interne, non mancherà di produrre i suoi buoni effetti nel tempo, soprattutto spingendo a quella progressiva indifferenza per l’appartenenza al gruppo che – lo sanno, eccome lo sanno! – è il vero pericolo per il corporativismo etnico elevato a dottrina di stato dell’autonomia. Insomma, possiamo immaginare, in futuro, che ci sarà un censimento e che … nessuno ci vada! Avremo forse meno radici, ma saremo più liberi di mettere, invece, nuovi rami e rametti.
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