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Mandato di cattura contro l'ex-Sindaco di Tuzla Sélim Beslagic e altri: l'interpellanza di Marco Boato alla Camera e la risposta in aula del governo

9.11.2007, atti parlamentari - resoconto stenografico

XV LEGISLATURA  Resoconto stenografico dell'Assemblea. Seduta n. 238 di giovedì 8 novembre 2007 -Svolgimento di interpellanze urgenti. (Mandato di cattura e di estradizione internazionale emesso nei confronti di tre cittadini di Tuzla (Bosnia-Erzegovina) - n. 2-00813)

PRESIDENTE. Il deputato Boato ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00813, concernente il mandato di cattura e di estradizione internazionale emesso nei confronti di tre cittadini di Tuzla (Bosnia-Erzegovina) (Vedi fine documento).

MARCO BOATO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, ringrazio in particolare il sottosegretario e amico Craxi di essere qui presente.
Ho già avuto occasione, nel luglio scorso, di affrontare in quest'aula - attraverso uno strumento del sindacato ispettivo - la tuttora grave e drammatica situazione che riguarda complessivamente la Bosnia-Erzegovina (in particolare, allora intervenni nell'imminenza dell'anniversario terribile del genocidio di Srebrenica, verificatosi nel luglio del 1995). Riguardo alla drammaticità ed alle difficoltà enormi sul piano politico e diplomatico della situazione tuttora presente in Bosnia-Erzegovina Pag. 45(a tredici anni dagli accordi di Dayton) esiste ormai un'ampia letteratura internazionale ed una ampia pubblicistica: cito soltanto da ultimo, per documentazione, il lungo articolo (che riguarda, tra l'altro, anche il Kosovo, ma oggi discutiamo della Bosnia-Erzegovina) del giornalista Andrea Böhm pubblicato sul più autorevole settimanale della Repubblica federale di Germania, Die Zeit, che è stato tradotto e riprodotto in Italia recentemente dal quindicinale Internazionale (numero 710, pagine 38-41). Ho appena evocato soltanto il contesto delle vicende che sono oggetto specifico della mia - e nostra - interpellanza, la quale nasce non soltanto da una conoscenza attenta dei fatti che riguardano da molti anni la Bosnia-Erzegovina, ma anche da una specifica sollecitazione proveniente dalla fondazione Alexander Langer di Bolzano, nata dopo la morte volontaria del mio carissimo amico Alexander Langer nel 1995 e che da allora ha continuato e continua a seguire anche (e non solo) le vicende della Bosnia-Erzegovina.

Il fatto specifico riguarda la notizia che si è propagata a partire dal 15 giugno 2007 a Tuzla, una delle maggiori città della Bosnia-Erzegovina, sulla circostanza che un tribunale serbo aveva emesso un mandato di cattura e di estradizione internazionale, via Interpol, per tre cittadini di Tuzla. In precedenza, del resto, poco più di un mese prima, l'11 maggio 2007, era stato arrestato a Belgrado (quindi, nella capitale serba) durante uno scalo all'aeroporto l'ex presidente del consiglio comunale di Tuzla, Ilija Jurisic, che a tutt'oggi risulta detenuto da parte della Serbia.
Poco più di un mese dopo tale arresto, come ho già detto, il 15 giugno 2007 è stato emesso il mandato di cattura internazionale nei confronti dell'ex sindaco di Tuzla, attualmente parlamentare della Federazione della Bosnia-Erzegovina, Sélim Beslagic, insieme ad altri suoi due concittadini, Enver Delibegovic e Budimir Nikolic, i quali sostanzialmente - ed anche formalmente - vengono accusati dalla Serbia di «crimini di guerra». Si tratta, in realtà, dell'attività doverosa - aggiungo io - che l'allora sindaco di Tuzla con i suoi collaboratori, insieme ai cittadini ed alla polizia locale di tale città, misero in atto all'inizio del conflitto, il 15 maggio 1992, a difesa della propria città, ripeto Tuzla (praticamente l'unica città che conservava o tentava di conservare, in quel momento, il carattere interetnico, nonostante gli spaventosi conflitti etnici e nazionalistici che stavano dilaniando la Bosnia-Erzegovina, grazie soprattutto all'iniziativa di Milosevic, leader serbo dell'epoca, e dei due criminali di guerra tuttora ricercati dal tribunale penale internazionale, Karadzic e Mladic). Quella che è stata una doverosa difesa, con le forze della cittadinanza e della polizia locale (perché soltanto di ciò disponeva all'epoca Tuzla), della propria città che era allora occupata dall'esercito nazionale jugoslavo in mano alla Serbia, si è tramutata - per una sorta di vendetta postuma da parte della Serbia stessa - in un'accusa nei confronti di Sélim Beslagic, Enver Delibegovic e Budimir Nikolic (e in precedenza, come già detto, di Ilija Jurisic) di «crimini di guerra», originata dalla denuncia alle autorità serbe da parte delle autorità militari all'epoca dipendenti da Karadzic e Mladic.
I criminali di guerra, tuttora ricercati, hanno accusato il sindaco di Tuzla e i suoi collaboratori di aver difeso la propria città rispetto all'occupazione messa in atto dall'esercito serbo. Questo è il panorama allucinante della vicenda che abbiamo dinanzi. Il giorno stesso dell'arresto Zdravko Djuranovic ha testualmente dichiarato all'importante quotidiano Oslobodenje del 16 giugno, cioè il giorno dopo l'arresto, che «Le accuse e gli arresti sono senza senso. Il Governo di guerra di Tuzla si occupò dei feriti della colonna e li lasciò andare a casa. Difesero i diritti umani di tutti i cittadini. Difesero la multiculturalità e l'immagine della Bosnia. Difesero le fondamenta della civiltà. Si vuole accusare per crimini gli abitanti di Tuzla perché non sono scivolati nell'abisso della politica nazionalista».

Allo stesso giornale, il già citato Oslobodenje, anche Sinan Alic, attualmente direttore della fondazione «Verità, giustizia e riconciliazione» di Tuzla, ha dichiarato: «Non desidero entrare nei dettagli dell'accusa ma desidero dire che tutto ciò è basato su note falsità». Dettagliatamente, Sinan Alic contesta le accuse che vengono mosse nei confronti dell'ex sindaco Beslagic, come ho già affermato attuale parlamentare della Federazione della Bosnia-Erzegovina, e ricorda le vicende di quella che è nota, ed è tuttora è ricordata, come la battaglia per la «Brcanska malta», ossia la località vicino Tuzla dove avvennero gli scontri armati in difesa dell'integrità e della sopravvivenza multietnica della città di Tuzla. Voglio anche ricordare, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, che la figura integerrima ed eroica dell'ex sindaco di Tuzla, Selim Beslagic, è tale che egli, pur godendo e potendo godere dell'immunità parlamentare prevista, come avviene nel nostro Paese, per i parlamentari della Federazione della Bosnia-Erzegovina, in questo caso ha voluto esplicitamente rinunciare alla propria prerogativa. Quando egli e i suoi due colleghi, Enver Delibegovic e Budimir Nikolic che ho già citato più volte, sono stati tradotti di fronte all'autorità giudiziaria di Sarajevo, nella Bosnia-Erzegovina, sono stati immediatamente rilasciati perché la stessa autorità giudiziaria ha ritenuto inconsistenti le accuse. Ciononostante, da quel momento, vale a dire solo pochi mesi fa perché la vicenda risale al giugno scorso, Beslagic e gli altri tre rilasciati per inconsistenza delle accuse - sebbene uno sia ancora in carcere a Belgrado - non potranno più lasciare la Federazione della Bosnia-Erzegovina senza rischiare di essere arrestati, anche in Italia. Sottolineo tale fatto perché Beslagic è venuto molte volte in Italia poiché ha rapporti stretti con il nostro Paese. Infatti, ha promosso un gemellaggio fra la propria città, Tuzla, e quella di Bologna. Non a caso, proprio pochi giorni fa anche il presidente del consiglio comunale di Bologna, Gianni Sofri, ha emanato un comunicato di solidarietà nei suoi confronti.

Tali persone non potranno più recarsi in Italia e, in particolare, Beslagic che è venuto in Italia molte volte sempre per motivi di cooperazione, di promozione della convivenza interetnica, di solidarietà fra i vari enti locali della Bosnia e del nostro Paese. Ebbene, egli non potrebbe più venire o meglio non potrà più venire anche in Italia, perché sarebbe formalmente sottoposto al mandato di cattura internazionale tramite l'Interpol. Tutto ciò avviene perché purtroppo non è più in vigore, e mi rivolgo al Governo in modo particolare, il cosiddetto Accordo di Roma stipulato, se non ricordo male, nel 1996 e in base al quale non sarebbe possibile dare effetto a questo tipo di iniziative giudiziarie.

Voglio ancora ricordare, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, la figura di Sélim Bešlagic, perché credo che sia giusto che nell'Aula del Parlamento si dia onore e dignità a tale persona. Egli è ormai noto sul piano internazionale, nella letteratura internazionale, nei libri che sono stati scritti, nelle innumerevoli testimonianze che sono state date, come uno straordinario protagonista della difesa del carattere interetnico della sua città, della sua Tuzla, nel momento in cui la ex Jugoslavia veniva dilaniata dagli odi etnici, dai nazionalismi contrapposti e dalla spietata attività dei serbi di Bosnia, organizzata militarmente in modo spietato - ho ricordato poco fa la vicenda di Srebrenica - da Mladic e da Karadzic i quali, lo ripeto, sono due criminali internazionali tuttora ricercati dal Tribunale penale internazionale dell'Aja.
Nel 1994, nonostante l'assedio in corso, si tenne a Tuzla uno dei più importanti incontri del «Verona Forum per la pace e la riconciliazione nei territori dell'ex Jugoslavia», promosso da Alexander Langer e da molti altri esponenti, sia italiani sia della Bosnia Erzegovina e di tutta la ex Jugoslavia. Dopo l'attentato del 25 maggio 1995 che con una bomba aveva ucciso a Tuzla 71 ragazzi di tale città che stavano festeggiando la cosiddetta festa della primavera, Alexander Langer, anche sotto l'impulso di Bešlagic, fu spinto a presentare alla riunione dei Capi di Stato e di Governo del 26 giugno 1995 a Cannes il drammatico e straordinario appello «l'Europa nasce o muore a Sarajevo». Langer, come sappiamo, pochi giorni dopo si tolse la vita volontariamente, il 3 luglio del 1995. In occasione del conferimento del premio Alexander Langer a Irfanka Pašagic (la quale, fra l'altro, fu ricevuta in questa sede dal Presidente della Camera dei deputati, con una ampia rappresentanza parlamentare), Sélim Bešlagic - non più sindaco di Tuzla, ma parlamentare della Bosnia Erzegovina, com'è tuttora - era tornato in Italia ancora nel maggio 2005 ed aveva riannodato i rapporti di gemellaggio con la città di Bologna, stabiliti nel momento più terribile durante la guerra, contribuendo, allora ed oggi, a far apprezzare Tuzla come uno dei pochi luoghi di resistenza ad un feroce progetto di spartizione della Bosnia Erzegovina esclusivamente secondo linee etniche.
Il 16 luglio 2007 Sélim Bešlagic ha indirizzato una lettera aperta, molto lunga che non leggerò per intero, ad una catena di conoscenti, di amici e di uomini politici, particolarmente italiani, attraverso la Fondazione Alexander Langer di Bolzano. Fra le altre frasi, vorrei leggerne alcune: «Cari amici, vorrei sottolineare fin dal principio che non Vi scrivo questa lettera per problemi personali. Come persona responsabile sono a conoscenza del fatto che devo essere a disposizione delle istituzioni giudiziarie della Bosnia ed Erzegovina, dato che sono sospettato di aver commesso crimini di guerra. Allo stesso tempo riesco difficilmente ad accettare il fatto che, assieme ad altri cittadini, sono soggetto a un mandato internazionale per motivi politici, come anche il fatto che allo stesso tempo si stanno svolgendo indagini in ben due Paesi (nella Serbia e nella Bosnia-Erzegovina). Ciò comporta un gravissimo pericolo per i diritti umani. Tutto ciò perché abbiamo difeso la nostra città e il suo carattere interetnico nel pieno dell'assedio nazionalistico che si era verificato fin dal 1992».
Chiedo al Governo, intanto se sia a conoscenza di tali fatti che ho comunque sollecitato attraverso la nostra interpellanza. Soprattutto, chiedo in quale modo il Governo ritenga di potere e volere intervenire per arrivare a non applicare nel territorio italiano il ricordato provvedimento arbitrario, emanato dalle autorità serbe in violazione degli stessi principi del diritto internazionale.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola media statale Gaetano Cardelli, di Mosciano Sant'Angelo, in provincia di Teramo, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Vittorio Craxi, ha facoltà di rispondere.

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, l'interpellanza dell'onorevole Boato affronta temi di grande complessità che riguardano fatti accaduti nella ex Iugoslavia più di dieci anni or sono. In particolare, il caso sollevato dall'onorevole interpellante, del procedimento giudiziario serbo nei confronti dell'ex presidente del consiglio comunale di Tuzla, Ilija Jurišic, e del sindaco della stessa città, Sélim Bešlagic, esponenti del Partito Socialdemocratico, viene seguito con particolare attenzione nella Bosnia-Erzegovina. Ciò sia per la prominenza delle persone interessate, sia perché concerne direttamente il tema delicato della collaborazione tra la Serbia e la Bosnia-Erzegovina per quanto riguarda la persecuzione dei crimini di guerra commessi in territorio bosniaco durante il conflitto del 1992-1995.

Jurišic è stato arrestato lo scorso maggio mentre era in transito all'aeroporto di Belgrado ed era destinatario di un provvedimento restrittivo emanato dal tribunale di Belgrado in relazione a crimini di guerra riconducibili al caso del «convoglio di Tuzla»; ossia dell'eccidio di duecento soldati dell'Armata popolare jugoslava attaccati durante le operazioni di ritiro dalla città di Tuzla il 15 maggio 1992. All'inizio di agosto, la magistratura serba ha prolungato di tre mesi la custodia cautelare in carcere per Jurišic e per lo stesso episodio la magistratura ha emesso un mandato di cattura al sindaco Tuzla, Bešlagic, ed altri due imputati. Inoltre, un ordine di cattura è stato eseguito nei confronti di questi ultimi dalla polizia bosniaca. Tuttavia, le personalità coinvolte sono state immediatamente rilasciate, non essendo in vigore alcun accordo di estradizione tra la Bosnia e la Serbia e poiché i fatti contestati si sono verificati in un momento successivo alla proclamazione dell'indipendenza della Bosnia.
Da un punto di vista giuridico, da parte bosniaca s'invoca l'incompetenza dell'autorità giudiziaria serba per i fatti avvenuti nel Paese. Peraltro, un fascicolo d'indagine sugli eventi di Tuzla è stato aperto anche dall'autorità giudiziaria bosniaca. Da un punto di vista politico, i bosniacchi (e in particolare il Partito Socialdemocratico, cui appartengono gli interessati), lamentano la presunta esistenza di un disegno volto, da un lato, a equiparare i crimini commessi dai serbi con quelli perpetrati da cittadini di altre etnie e, dall'altro, ad attaccare il «modello Tuzla», ossia il tentativo di preservare in tale città la composizione multietnica, nonostante la polarizzazione su basi etnico-religiose che caratterizza ormai il tessuto sociale nel resto del Paese.
Sul caso in questione è intervenuto alla fine di luglio l'Alto Rappresentante e rappresentante speciale dell'Unione europea Lajcák che, in una lettera inviata al Presidente di turno della Bosnia, Komsic (croato-bosniaco), ha assicurato di seguire con attenzione il caso in tutti i suoi aspetti, anche quelli relativi alla competenza territoriale. Lajcák ha sottolineato come l'assenza di idonei meccanismi di cooperazione giudiziaria regionale si stia dimostrando foriera di conseguenze negative, soprattutto per quanto riguarda il perseguimento dei crimini di guerra. L'Alto Rappresentante dell'Unione europea incoraggia le autorità di Sarajevo a ricercare una soluzione con la Serbia, nonché con la Croazia e il Montenegro per questo genere di casi, tenendo conto anche degli strumenti previsti dalla Convenzione europea sul trasferimento dei procedimenti in materia penale.
Il 21 agosto 2007 si sono incontrati a Belgrado i Ministri della giustizia bosniaco e serbo per esaminare la questione. Secondo quanto comunicato dal gabinetto del Ministro della giustizia Colak (croato-bosniaco), l'incontro non è stato risolutivo. Colak sostiene, infatti, che da parte di Belgrado non s'intende concedere l'estradizione in quanto per il reato imputato a Jurišic è prevista una pena superiore ai dieci anni, soglia invalicabile secondo le leggi della Serbia in materia di estradizione.
Sempre Colak ha protestato, lo scorso settembre, con il suo omologo serbo per quello che ha definito «una decisione non conforme agli accordi vigenti tra le due parti in materia di cooperazione giudiziaria» e ha lamentato la decisione del tribunale di Belgrado di inviare un mandato di comparizione direttamente ai destinatari bosniaci, senza passare attraverso i due Ministeri della giustizia. Da quanto qui risulta, il Ministro della giustizia serbo Petrovic ha confermato la posizione di Belgrado sulla vicenda.
Le posizioni delle due parti restano, pertanto, immutate, come confermato dal Ministro Colak in un'intervista rilasciata il 23 ottobre scorso a Nezavisne Novine (il quotidiano più diffuso nella Republika Srpska).

Non vi è dubbio, ad ogni modo, che la cooperazione giudiziaria regionale, in particolare tra i due Paesi, è la strada maestra per risolvere questo contenzioso.
Quanto all'ipotesi ventilata dall'onorevole Boato, ovvero che l'Italia dichiari non applicabile nel proprio territorio il provvedimento spiccato dall'autorità serba, dichiarandolo arbitrario, credo sia opportuno ricostruire sinteticamente, sulla base degli elementi forniti dal Ministero dell'interno, i meccanismi di cooperazione in ambito Interpol.

Il Segretariato generale Interpol di Lione, su richiesta dei Paesi membri fra cui la Serbia, pubblica la diffusione delle ricerche (tecnicamente denominata «notizia a stampa rossa») nei confronti di soggetti ricercati in campo internazionale per il loro arresto provvisorio a fini di estradizione. Il fondamento giuridico della «notizia a stampa rossa» è il mandato d'arresto o la sentenza di condanna emessi dalle autorità giudiziarie dei Paesi interessati. Tutte le richieste di pubblicazione inviate al Segretariato generale sono oggetto di attenta valutazione al fine di verificare se le domande non siano contrarie all'articolo 3 dello statuto Interpol, che vieta all'organizzazione di intervenire in casi che presentino un aspetto politico, militare, religioso o razziale.

Gli Stati membri non effettuano ulteriori valutazioni in ordine alla compatibilità con l'articolo 3 dello statuto. Qualora i singoli Stati membri non dovessero riconoscere le richieste, verrebbe, infatti, meno il principio di cooperazione in ambito internazionale.
In questa fase, la competente divisione Interpol del Ministero dell'interno ha, quindi, dato corso alle indicazioni del Segretariato generale e alla richiesta formulata dalle autorità serbe ed ha proceduto all'inserimento dei predetti nominativi nella banca-dati delle forze di polizia.

Vorrei precisare, però, che in questo - come in altri analoghi casi - l'ordinamento italiano prevede una serie di istituti di garanzia. In particolare, la validità di un eventuale arresto effettuato sul territorio nazionale sarebbe sottoposta al vaglio della corte d'appello competente sul territorio, mentre le autorità italiane competenti procederebbero ad un'attenta analisi della documentazione trasmessa dallo Stato richiedente per la concessione di un'eventuale estradizione.

Come ho già ricordato, l'interpellanza in esame tocca temi di grande complessità. Ho indicato, quindi, precedentemente, la nostra convinzione che questo problema debba, comunque, trovare una soluzione nel contesto della cooperazione giudiziaria regionale e della ricomposizione di un quadro di piena collaborazione e fiducia tra Bosnia e Serbia. Il Governo italiano si adopererà in questo senso, assicurando il nostro pieno sostegno all'azione dell'Alto rappresentante Lajcák.

PRESIDENTE. L'onorevole Boato ha facoltà di replicare.

MARCO BOATO. Signor Presidente, sono fortemente imbarazzato e lo affermo esplicitamente. Da una parte, mi dichiaro parzialmente soddisfatto per le informazioni dettagliate, puntuali e attente che il Ministero degli affari esteri e, in particolare, il sottosegretario Bobo Craxi, ha fornito con la risposta al mio atto di sindacato ispettivo in cui si chiedeva se il Governo fosse a conoscenza dei fatti che segnalavamo e denunciavamo. Quindi, a mio avviso, sotto questo profilo la risposta è adeguata.
Dall'altra parte - e il sottosegretario Craxi lo capirà - a mio avviso, nella parte conclusiva della stessa risposta, laddove chiedo non solo una conoscenza, un'informazione e una valutazione dei fatti (che mi pare sostanzialmente soddisfacente), ma anche quali iniziative intende assumere il Governo italiano al riguardo, mi pare che vi sia un atteggiamento, usiamo un'espressione molto rispettosa...

VITTORIO CRAXI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Pilatesco?

MARCO BOATO. Lei dice «pilatesco», ma, a mio avviso, è stata un'espressione molto prudente. Non abbiamo a che fare con una vicenda qualunque in rapporto a un Paese qualunque: abbiamo a che fare con una vicenda che riguarda uno dei più straordinari protagonisti della difesa dell'integrità interetnica di un popolo martoriato, di fronte al tentativo di occupazione - e, in alcuni casi, di genocidio - posto in atto dalla Serbia.

Per tale ragione, Miloševic era dinanzi al Tribunale penale internazionale (è morto di infarto, altrimenti si sarebbe svolto il processo) e due criminali di guerra, Mladic e Karadzic, sono tuttora latitanti e ricercati dalla procura del Tribunale penale internazionale. Invece che erigere un monumento da vivo a Sélim Bešlagic per quello che ha fatto per difendere la propria città - lo ha affermato lei, signor sottosegretario, e dal punto dei vista dei meccanismi lo capisco - le autorità italiane hanno registrato meccanicamente un mandato di cattura illegittimo dell'autorità serba nei confronti di quest'uomo, che, agli occhi dei serbi, diventa un criminale di guerra per aver difeso la propria città dall'occupazione serba!

Ad aprile dell'anno prossimo la Fondazione Langer promuoverà un'iniziativa internazionale (dopo aver trascorso una settimana intera in Bosnia Erzegovina, in particolare a Srebrenica) sul futuro della Bosnia Erzegovina a tredici anni da Dayton, alla quale ha intenzione di invitare, tra gli altri, Sélim Bešlagic.
Sélim Bešlagic, parlamentare della Federazione della Bosnia Erzegovina, in questo momento, è libero nel suo Paese, dove l'autorità giudiziaria, come lei correttamente ha riferito, ha dichiarato inconsistenti le accuse. Contemporaneamente al procedimento giudiziario della Bosnia Erzegovina, però, c'è un altro illegale e illegittimo procedimento giudiziario posto in atto dalla Serbia, in violazione di tutti gli accordi internazionali (in particolare, lei ha citato l'articolo 30 della Convenzione europea) e degli Accordi di Roma (che però, purtroppo, sono scaduti nel 2004 per la Bosnia Erzegovina).

L'Italia, Paese democratico, stato di diritto, Paese solidale con i popoli oppressi e, in parte, sterminati di quel martoriato Paese, è pronta ad arrestare Bešlagic quando verrà - se verrà - in Italia nell'aprile del 2008 per affrontare il tema del futuro della Bosnia Erzegovina a tredici anni da Dayton. La sua risposta è, su questo punto, insufficiente e da qui deriva la mia insoddisfazione. Siamo pronti a dire che, se verrà arrestato, ci sarà poi una corte di appello italiana che valuterà se lo si debba liberare o no. Su tale terreno, se me lo permette, con amicizia, rispetto e persino solidarietà - perché capisco che altro è fare il deputato, altro è fare il membro del Governo - le esprimo la mia insoddisfazione.

Le chiedo esplicitamente di porre un problema un po' più radicale in ordine a tale vicenda: so che lei lo farà, perché conosco la sua attenzione e la sua sensibilità, che dimostrerà quando tornerà, oggi o domani, al Ministero. A tal proposito, vi sono problemi di rapporti fra il Ministero degli esteri e Ministero dell'interno: lei, non a caso, ha citato il Ministero dell'interno, al quale anche era rivolta la mia interpellanza, oltre che al Ministero della giustizia; giustamente, però, si è delegato il Ministero degli esteri a rispondere.

Concordo con lei sulla piena solidarietà espressa rispetto all'attività dell'Alto rappresentante dell'Unione europea per la Bosnia Erzegovina, Lajcák. Mi associo con lei, ma non basta: lei ha detto - ed è stato correttissimo nel riferirlo - che l'Alto rappresentante dell'Unione europea è già intervenuto nel luglio 2007, ossia tre mesi fa, ma i serbi gli hanno risposto «picche», ossia - usando un'espressione poco parlamentare - «se ne sono fatti un baffo» dell'intervento dell'Alto rappresentante dell'Unione europea.

La logica è quella di mettere in atto una persecuzione giudiziaria, innescata da Mladicc e Karadzicc, criminali di guerra latitanti all'epoca di Miloševicc, attraverso un procedimento giudiziario, per colpire, come responsabili di crimini di guerra, coloro che hanno difeso la propria città dall'occupazione dei serbi.
Ma non ci rendiamo conto che c'è qualcosa di più che dobbiamo dire e fare? Non siamo noi i responsabili di questo, sottosegretario Craxi. Non mi sto rivolgendo al Governo italiano perché esso abbia responsabilità in questa infamia, ma mi sto rivolgendo al Governo del mio Paese, di una Repubblica democratica, che è stata ed è solidale con quei popoli, affinché questa infamia non possa avere efficacia almeno nel nostro Paese e si metta in discussione l'esercizio arbitrario di una attività giudiziaria «vendicativa», in termini espliciti. E ciò di fronte a un doppio procedimento giudiziario, di cui uno condotto legittimamente da autorità giudiziarie della Bosnia-Erzegovina, che ha avuto l'esito che lei ha giustamente ricordato, mentre l'altro viene effettuato dagli eredi dei carnefici per perseguire non gli eredi, ma coloro che si sono difesi, per cercare di equiparare i crimini di guerra.
Questo non è accettabile! Sono convinto che, in cuor suo, neanche lei lo accetti e sono altresì convinto che, quando tornerà al Ministero degli esteri, magari interloquirà a tal proposito anche col Ministro dell'interno, perché ho fiducia nel mio Governo, nel Governo che sostengo con il mio voto, ma soprattutto nel Governo del mio Paese, quand'anche non lo sostenessi.

Questo è un Paese democratico, basato su uno Stato costituzionale di diritto, che non può accettare passivamente - come invece lei ha affermato nell'ultima parte del suo intervento - di dare esecuzione a un illegittimo, illegale e vendicativo mandato di cattura internazionale, emesso dall'autorità serba per colpire il sindaco di Tuzla, oggi parlamentare della Bosnia-Erzegovina, per il reato di aver difeso la propria città dal nazionalismo serbo. Questo non è accettabile!

Mi sono appassionato solo perché credo in ciò che dico e perché credo in ciò che lei, come rappresentante del mio e del nostro Governo, potrà ulteriormente fare per rendere pienamente soddisfacente la sua risposta, che in parte - lo ripeto - è molto documentata, articolata e puntuale. Per quella parte esprimo soddisfazione, ma per la restante parte mi dichiaro insoddisfatto. Questo non mi consola. Esprimo un auspicio e formulo una richiesta al Governo di andare oltre la risposta che fino a questo momento ha potuto darmi. Comunque, signor sottosegretario, la ringrazio per l'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).

 

TESTO INTERPELLANZA URGENTE

 Atto Camera

Interpellanza urgente 2-00813  presentata da MARCO BOATO
lunedì 5 novembre 2007 nella seduta n.235


I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:

il 15 giugno 2007 a Tuzla, una delle maggiori città della Bosnia-Erzegovina è circolata la notizia, poi confermata dalla stampa locale, che un Tribunale serbo aveva emesso un mandato di cattura e d'estradizione internazionale, via Interpol, per tre cittadini di Tuzla;


alcuni giorni prima era stato arrestato a Belgrado, durante uno scalo all'aeroporto, Ilija Jurišic, ex presidente del Consiglio comunale della città, che a tutt'oggi non risulta essere stato ancora rilasciato;


insieme a Enver Delibegovic e Budimir Nikolic il mandato di cattura ha riguardato anche l'ex sindaco di Tuzla, Sélim Bešlagic, oggi parlamentare della Federazione della Bosnia-Erzegovina, accusato di «crimini di guerra» per un fatto collegato all'inizio del conflitto, quando, il 15 maggio 1992, una colonna della JNA (l'allora esercito jugoslavo), che fino a quel momento aveva occupato la maggior parte della Bosnia-Erzegovina, era stata invitata a lasciare la città che aveva deciso di opporsi alla guerra di conquista da parte delle milizie serbe, sostenuta da Slobodan Miloševic;

nell'accusa si sostiene che la colonna disarmata era stata attaccata e che furono uccisi circa 200 soldati. Già nel 1993 la magistratura di Miloševic aveva avviato questa iniziativa. L'accusa promossa dalla polizia di guerra di Karadzic, era stata fatta propria dalla polizia di tutti i presidenti della Republika Srpska, fino a Dodik;

«Le accuse e gli arresti sono senza senso - ha dichiarato Zdravko Djuranovic a Oslobodenje del 16 giugno (articolo tradotto da: www.osservatoriobalcani.org) -: il Governo di guerra di Tuzla si occupò dei feriti della colonna e li lasciò andare a casa. Difesero i diritti umani di tutti i cittadini. Difesero la multiculturalità e l'immagine della Bosnia. Difesero le fondamenta della civiltà e adesso non sono inclini alla schematizzazione nazionale dei Balcani. Solo a Tuzla si dice che i crimini di guerra furono commessi da bosgnacchi, serbi e croati e altri. Nell'ex Jugoslavia i crimini furono commessi da gruppi mononazionali contro altri gruppi nazionali. Si vuole accusare per crimini gli abitanti di Tuzla perché non sono scivolati nell'abisso della politica nazionalista»;


«Non desidero entrare nei dettagli dell'accusa - ha dichiarato allo stesso giornale Sinan Alic, direttore della Fondazione "Verità, giustizia e riconciliazione" di Tuzla - ma desidero dire che tutto ciò è basato su note falsità. Noi sulla base di documenti, ricerche e contatti con le fonti serbe abbiamo confermato che nella battaglia per la "Brcanska malta" furono uccisi 49 soldati della JNA e quattro difensori della città. C'erano circa 70 feriti. Quello che vi sto dicendo lo ha detto anche Miloševic all'Aja. Tuttavia all'attuale governo serbo serve un'esibizione e non la verità. La Serbia pare che desideri creare in modo artificiale l'impressione di un equilibrio tra i crimini commessi, ma questo non è possibile»;


portato in Tribunale a Sarajevo dalla polizia, l'ex-sindaco di Tuzla Sélim Bešlagic - che aveva rinunciato alla sua immunità parlamentare - e gli altri suoi concittadini erano stati subito rilasciati per «inconsistenza delle accuse» ma non potranno lasciare la Federazione senza rischiare di essere arrestati perché il cosiddetto «Accordo di Roma», che garantiva la libertà di movimento dei cittadini dei diversi paesi dell'ex-Jugoslavia, è scaduto nel 2004 ed è stato inspiegabilmente rinnovato solo dalla Serbia e dalla Croazia;


Sélim Bešlagic è stato un amico dell'allora euro-parlamentare Alexander Langer che lo aveva accompagnato in Italia e al Parlamento europeo ed aveva un po' adottato la sua Tuzla «interetnica», dove si era svolto nel novembre dei 1994, nonostante l'assedio, uno dei più importanti incontri del «Verona Forum per la pace e la riconciliazione nei territori dell'ex Jugoslavia». Dopo l'attentato del 25 maggio 1995 che aveva ucciso 71 giovani della città di Tuzla, Alexander Langer, anche sotto l'impulso di Bešlagic, fu spinto a presentare alla riunione dei Capi di Stato e di Governo del 26 giugno 1995 a Cannes il drammatico appello «l'Europa nasce o muore a Sarajevo» (pubblicato in: www.alexanderlanger.org). In occasione del conferimento del Premio Alexander Langer a Irfanka Pašagic, Sélim Bešlagic era tornato in Italia nel maggio 2005 ed aveva riannodato i rapporti di gemellaggio con la città di Bologna, stabiliti durante e dopo la guerra, contribuendo a far apprezzare Tuzla come uno dei pochi luoghi di resistenza ad un feroce progetto di spartizione della Bosnia Erzegovina secondo linee etniche;

il 16 luglio 2007 Sélim Bešlagic ha diffuso dalla sua casa di Tuzla una lettera appello, fatta pervenire alla Fondazione Alexander Langer di Bolzano, qui di seguito riprodotta:

«Cari amici, vorrei sottolineare fin dal principio che non Vi scrivo questa lettera per problemi personali avuti in passato. Come persona responsabile sono a conoscenza del fatto che devo essere a disposizione delle istituzioni giuridiche della Bosnia ed Erzegovina dato che sono sospettato di aver commesso crimini di guerra. Allo stesso tempo riesco difficilmente ad accettare il fatto che, assieme ad altri cittadini, sono soggetto a un mandato internazionale per motivi politici, come anche il fatto che allo stesso tempo si stanno svolgendo indagini in ben due paesi. Ciò comporta il pericolo d'estinzione dei diritti umani. Ho la coscienza a posto e per questo motivo non ho usato l'immunità che mi spetta essendo un membro del Parlamento quando sono stato arrestato dalla polizia e trasferito alla Corte Statale della Bosnia-Erzegovina. In tempi molto difficili per noi mi sono opposto con i cittadini di Tuzla al male e all'odio che ci ha rivestito nella primavera del 1992. Abbiamo difeso la nostra città con l'unico mezzo a nostra disposizione allora, che era la polizia locale. C'erano innumerevoli rappresentanti di organizzazioni internazionali e NGO a quel tempo che possono rendere testimonianza del modo in cui le autorità di Tuzla hanno svolto i loro compiti durante la guerra. Per dimostrare tutto ciò possiamo citare diversi premi internazionali che sono stati assegnati alla città di Tuzla e a me stesso. In quel tempo di guerra Tuzla era l'unica città che non era vittima di forze paramilitari. Durante questo periodo più terribile nella storia di Tuzla siamo riusciti a preservare lo spirito multietnico della nostra città.

Un accordo come questo andrebbe ad eliminare tutte le incomprensioni che esistono tuttora e soprattutto anche la mancanza di leggi e di conseguenza con indagini parallele ma non coordinate per gli stessi casi in paesi diversi. Si aggiunge anche il fatto che il tribunale dell'Aja ha passato i dati su questo caso solo ad uno di questi paesi. Per citare un caso concreto, ci sarebbe la questione della "Brcanska malta" il cui mandato è stato trasferito dalla corte dell'Aja esclusivamente alla giurisdizione della Bosnia-Erzegovina. A causa di duplici investigazioni siamo di fronte a un caso di "caccia umana", dove persone vengono catturate per il solo motivo di essere cittadini di un certo paese e in questo caso della Bosnia-Erzegovina. Sono state arrestate anche persone non soggette a mandato di cattura.
Questa procedura potrebbe essere semplificata se l'Interpol nazionale, avendo avuto notizia del mandato internazionale, a sua volta identificasse la nazionalità delle persone ricercate e informasse poi il paese che ha chiesto il mandato.
Sono sicuro che capirete la complessità della situazione e le mie buone intenzioni. Io vi chiedo gentilmente di partecipare nella risoluzione di questo problema che in futuro potrebbe influenzare la costruzione o implementazione della fiducia internazionale e della libertà di movimento in questa regione» -:

se il Governo sia a conoscenza di questo grave fatto di limitazione della libertà personale che colpisce alcuni stimati esponenti della Bosnia-Erzegovina;

se il Governo ritenga di potere e volere intervenire - nei limiti delle sue competenze - per dichiarare non applicabile nel territorio italiano ed in quello europeo un provvedimento così arbitrario dando opportune disposizioni all'Interpol.

(2-00813)
«Boato, Bonelli, Balducci, Cassola, De Zulueta, Francescato, Fundarò, Lion, Pellegrino, Camillo Piazza, Trepiccione, Zanella».

 

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