Fabiana Bussola sulla cerimonia dell'11 luglio 2007: Un passato invincibile
Paolo II per la Giornata mondiale della pace del 2002 ha un’eco sorda nelle terre congelate dagli accordi di Dayton, i Balcani, dove l’Europa fatica a restare, ma che non deve assolutamente abbandonare. A 12 anni dalla tragedia di Srebrenica, il più grande genocidio in Europa commesso dopo la Seconda guerra mondiale secondo il Tribunale penale internazionale dell’Aja nel 2004, il clima è teso. Basta un elenco rapido degli ultimi fatti: nel dicembre scorso il ministro della Difesa olandese assegna una decorazione per l’operazione di peacekeeping condotta dai Dutchbat I, II e III a Srebrenica. Motivo dell’onorificenza,il peso portato in tutti questi anni dopo le inchieste aperte sul loro operato, le conseguenti dimissioni dell’allora primo ministro olandese per aver avallato una “missione impossibile”, e gli strali dell’opinione pubblica.
Impotenti loro, inetti l’Onu e la Nato di fronte alla barbarie pianificata, diretta dal generale Ratko Mladic, il “macellaio”, ancora latitante, insieme alla mente, Radovan Karadzic, presidente dell’auto-proclamata Repubblica Srpska, la cui mancata cattura è il risultato di allargate connivenze. A caldeggiare lo sdegno dei sopravvissuti ci ha pensato anche la sentenza del marzo scorso: la Corte di giustizia internazionale, anch’essa con sede all’Aja, decreta ancora una volta che fu genocidio, ma che non è dimostrabile il diretto coinvolgimento di Belgrado, né che la Serbia abbia avuto un piano per distruggere la popolazione bosniaca musulmana. Unica responsabilità, ma non sanzionabile, il non aver fatto di tutto per prevenire il genocidio. La reazione alla sentenza è datata 4 giugno, con la deposizione delle ska, a maggioranza serbo-bosniaca, e Giustizia internazionale resta profondo. La presenza di Carla Del Ponte, procuratore capo del Tribunale penale internazionale, non è gradita dall’associazione delle Madri di Srebrenica, da 12 anni in attesa che Karadzic e Mladic siano arrestati e processati. Un arresto che se non dipende dalla corte dell’Aja da troppo tempo viene promesso senza esiti. Oltre all’assenza della delegazione serba, non contribuiscono alla distensione le continue elezioni che il primo ministro Milorad Dodik indice nei comuni a lui non allineati. E le imminenti votazioni a Srebrenica, unico centro denunce contro le Nazioni Unite e lo Stato olandese da parte di 6 mila sopravvissuti, riunitisi nell’associazione «Madri di Srebrenica».
Gli avvocati avrebbero raccolto la documentazione che dimostrerebbe la responsabilità di alcuni alti ufficiali olandesi, interni alla forza di protezione dell’Onu, i quali avrebbero bloccato la richiesta di copertura aerea per timore che i tre battaglioni, posti a difesa della zona protetta, potessero subire il “fuoco amico”.
L’11 luglio, giorno della commemorazione e della sepoltura di numerose bare contenenti i resti delle vittime, il fossato tra Federazione bosniaca, Repubblica Srpad avere un sindaco musulmano in territorio della Rs, danno già per vincente la maggioranza serbo- bosniaca, che oggi popola la cittadina, prima della guerra tre volte più numerosa e per il 78 per cento abitata da musulmani. La soluzione, non si sa se realmente praticabile nell’intricato ginepraio di responsabilità e nazionalismi da ogni parte, potrebbe essere il riconoscimento di Srebrenica come distretto indipendente. Lo ha chiesto in marzo un’assemblea municipale, senza però l’appoggio dei membri serbo-bosniaci. Resta il fatto che mentre non calano le tensioni politiche, non si è ancora riusciti afare un progetto a lungo termine di ricostruzione. E i fondi stanziati dalla comunità internazionale si disperdono su troppi tavoli. Alla Casa della cultura, nel centro città, lavora l’associazione femminile «Sara», che si occupa di dialogo interetnico per la prevenzione dei conflitti e di progetti per il recupero ambientale. Nell’edificio dove ha avuto quest’anno il via la sede staccata della facoltà di Giurisprudenza di Sarajevo, si trova la sede dell’ufficio per lo sviluppo agricolo dell’Undp, braccio dell’Onu, e del giornale cittadino, un mensile gratuito stampato con i fondi internazionali in 2 mila copie.
«A Srebrenica solo la metà delle 30-40 ong registrate sono davvero attive per la gente», afferma Valentina Gagic, operatrice di «Sara». «Le relazioni tra le persone sono normali, i bambini vanno a scuola insieme, si celebrano insieme le feste. La politica è però influenzata dai gruppi più piccoli nazionalisti e la gente si sente più sicura dando loro il voto, perché promettono la protezione dei diritti etnici. Ma nessuno fa qualcosa per il lavoro, l’economia». Lontano il tempo in cui Srebrenica era tra le cinque città più sviluppate per le miniere di argento e le acque curative, conosciute già dai romani. Ma quanto influisce passato recente sulle nuove generazioni?
«Una commissione composta da membri della Federazione bosniaca musulmana e della Repubblica Srpska ha stilato un programma scolastico abbastanza uniforme», spiega Mirsa, laureato in Storia e attivo insieme ad altri giovani nel progetto «Adopt Srebrenica », un centro interculturale sostenuto dalla fondazione Langer di Bolzano, «però non si studiano i fatti degli anni Novanta». Anche per chi è più grande il rapporto con il passato non è cosa facile. Lo sa Diana, 19 anni, padre musulmano e mamma serba, neo iscritta a legge, il desiderio il di incontrare tanta gente diversa, conoscere il mondo, studiaree diventare un giorno poliziotta. Lì, nella sua città, dove non è ancora tornato il corpo di papà. «Domani non andrò a Potocari per la commemorazione. Vengono a trovarci i parenti», dice con uno sguardo improvvisamente ingrigito. «Per fortuna viene anche mio cugino, così andremo abere. Non ce la faccio a stare in casa con loro: tutti piangono, mia nonna continua a ricordare suo figlio. Io vorrei guardare avanti, continuare a lavorare con i bambini come faccio ora, portarli a fare qualche gita al lago. Il passato è troppo pesante“.