Premio Internazionale Premio Internazionale Premio 2006 Indonesia

Premio regolamento Libro Premi Langer alla CAmera Excursus Premi Langer dal 1997 al 2023 Anna Bravo: il filo rosso dei Premi I premi 1997-2018 Premio 1997 Algeria Premio 1998 Ruanda Premio 1999 Cina Premio 2000 Kosovo-Serbia Premio 2003 Italia Premio 2004 Polonia Premio 2001 Israel-Palest. Premio 2002 Ecuador Premio 2005 Bosnia Erzegovina Premio 2007 Sudafrica Premio 2006 Indonesia
link Progetto "Primo soccorso" motivazione
Premio 2008: Somalia premio 2009: Iran premio 2010 Fondazione Stava premio 2011 Haiti premio 2012 Tunisia premio 2013 - Donatori di musica Premio 2014 Borderline Sicilia Premio 2015 - Adopt, Srebrenica premio 2017 - Angalià - Asgi premio 2018 - Istituto Arava
premi Langer 1997- 2011 (18) Premio 2004 (2) Premio 2005 (13) Premio 2006 (8) Premio 2007 (15) premio 2008 (18) premio 2008 -II (18) premio 2009 (36) premio 2010 (6) premio 2011 - haiti (36) premio 2012 - Tunisia (26) premio 2013 - Donatori di musica (15)

Marzia Bisognin: Ibu Robin, una donna minuta che svolge un lavoro antico

13.10.2006, inedito foto Anna Da Sacco
Il Premio Langer 2006 è stato assegnato ad una donna minuta che svolge un lavoro antico, il quale richiede pazienza, spirito d’iniziativa e sensibilità, un lavoro che ormai viene considerato un rudere da soffitta. Ibu Robin Lim è un’ostetrica e lavora a Bali, nell’arcipelago indonesiano.
In Indonesia c’è una medicina di derivazione occidentale in prepotente crescita, privatizzata e costosissima. Per quello che riguarda la nascita, la sua principale arma è quella di insinuare nelle donne sfiducia nelle proprie capacità, nella propria forza. Il parto cesareo e la spinta verso l’allattamento artificiale sono sempre più frequenti, e quello che dovrebbe essere un processo fisiologico sta diventando sempre più simile ad una malattia. In Europa e in America è successa una cosa molto simile, qualche decennio fa. Mentre le donne acquisivano importanti diritti in ambito lavorativo, acquisivano il diritto alla contraccezione e il diritto all’aborto, la sfera della nascita veniva sempre più ospedalizzata e le donne sempre più estromesse dalla scena del parto, sia come partorienti (diventando pazienti passive anziché protagoniste attive) sia come assistenti (essendosi svuotata di senso la figura dell’ostetrica, sostituita dal medico). Nel mondo globalizzato le donne hanno progressivamente perso la fiducia nel proprio corpo, nella propria capacità di attraversare il dolore delle doglie, nella propria capacità di allattare, nella propria capacità, in definitiva, di diventare madri. Se le tecnologie mediche salvano la vita quando sono necessarie, quando non lo sono offrono solo false scorciatoie, che non fanno che aumentare la sfiducia nelle proprie capacità. Si è sfilacciata la trasmissione di questi saperi di madre in figlia, come se non fosse più quello il luogo, la relazione naturale per tale tipo di apprendimento, delegandolo piuttosto al ginecologo, all’ospedale, alle figure istituzionali.
La gravidanza, il parto e l’allattamento diventarono, negli stessi anni in cui avveniva questo processo di espropriazione, motivo di riflessione all’interno di gruppi di donne che non si rassegnavano a questo stato di cose, che sperimentarono diversi approcci e che incominciarono a lavorare per, come si disse allora, riprendersi il parto. Oggi esiste una minoranza di donne e uomini che remano contro il cattivo costume, professionisti che cercano di proteggere l’integrità della nascita e Ibu Robin è certamente, tra questi rematori, una figura di particolare pregio.
Si è diplomata negli Stati Uniti e ha vissuto in vari Paesi dei diversi continenti. Dal 1992 vive e lavora a Bali, e negli ultimi due anni ha esteso la sua attività in Aceh, l’isola maggiormente devastata dallo tsunami del 2004, dove ha svolto un efficace lavoro di pronto soccorso sanitario e ostetricia d’emergenza.
Per molto tempo ha percorso in lungo e in largo l’isola di Bali, raggiungendo l’irragiungibile, offrendo assistenza alle donne in gravidanza, alle partorienti, ai loro bambini. Poi ha fondato un centro stabile che si chiama Bumi Sehat, che possiamo tradurre Terra Madre Felice, Terra Madre Sana, il quale accoglie le persone con una scultura che raffigura una donna accovacciata, bella e forte, nell’atto di dare alla luce un figlio. Si tratta di un consultorio rivolto alle donne, che spesso diventa una clinica per i numerosi famigliari che le donne portano per i loro problemi di salute, ma che è essenzialmente un luogo rivolto alle donne in gravidanza e ai bambini piccoli, dove le donne possono partorire in un ambiente accogliente. Ci sono alcune stanze arredate in modo famigliare e semplice, quelle che noi chiameremmo Casa del Parto.
Ama dire che qui le donne povere hanno i parti più belli di tutta Bali, che neanche le cliniche più costose possono offrire, ed è certamente vero. La sua filosofia di lavoro è lavorare per una nascita culturalmente sensitive , attenta, per un inizio pieno di salute, gentile, che sia il fondamento per una vita felice. “La pace nel mondo può essere costruita cominciando oggi, un bambino alla volta”. Questo è quello che lei sente e dice, cominciamo ora, non domani, con pazienza. Un bambino alla volta, una persona alla volta.
Nel tempo ha stimolato la crescita di un gruppo di volontari e soprattutto volontarie che vengono da diversi paesi, e dà anche lavoro ad alcune delle madri che frequentano il consultorio. Ha allestito una piccola fabbrica interna in cui manipolano le erbe officinali che coltivano in un Orto Botanico realizzato accanto al Bumi Sehat, e questo è un modo per dare lavoro e accoglienza a donne che magari vivono situazioni difficili, ma che stanno lì attivamente, perché ci sono delle cose da fare, c’è il talco o un medicinale omeopatico da preparare, oppure oggetti artigianali che servono a puerpere e neonati.
Hanno intervistato i guaritori tradizionali, sono andati a vedere dove le erbe crescono selvatiche, hanno imparato ad usarle, e inoltre svolgono un lavoro di educazione alimentare per combattere la malnutrizione, causa primaria di mortalità infantile, gravidanze difficili e parti con gravi complicazioni.
In una scuola vicina al Bumi Sehat ha allestito una piccola biblioteca per bambini, la prima a Bali e ora sta organizzando un centro giovanile per ragazzi adolescenti.
Come una delle tessitrici che vivono nel cuore dell’isola, le quali si tramandano un’arte a rischio di estinzione, anche Ibu Robin annoda un filo dopo l’altro con grande pazienza, perché ciò che si sta sfilacciando possa divenire un tessuto forte e bello a vedersi, capace di accogliere e reggere il peso che la trasformazione economica e sociale in atto comporta, affinché possa essere un processo di cambiamento anziché di brutale devastazione. Questi fili sono il sapere e l’alleanza femminile, la gestione solidale e comunitaria della salute, il riconoscimento del valore esistenziale e spirituale dell’esperienza della maternità. Dice: “Ogni nascita coinvolge sia il mondo visibile che quello invisibile. E’ un’opportunità per l’invisibile di intervenire brevemente ed essere servito con adeguato rispetto. Dopotutto la venuta al mondo è il momento in cui si apre la porta tra i mondi”.
Guardando le foto e i filmati che documentano il suo lavoro, si rimane colpiti dalla bellezza delle donne. A volte sono giovani che irradiano gioia, altre volte hanno volti segnati dalla sofferenza, specie le foto dell’Aceh, ma sempre hanno visi e corpi che hanno accolto la trasformazione in divenire, e questo dona loro pienezza e luce. La modernità non prevede più questo cambiamento, per diventare madri non è necessario cambiare, anzi è disdicevole farlo, e più in fretta si torna ad avere il corpo e il dinamismo di prima, meglio è. Dovremmo chiederci qual è il prezzo che le madri, e i figli, e dunque la società, pagano per questo.
Oggi il parto soffre di disattenzione, di bisogni emotivi disattesi, di estraniazione, e in fondo l’uomo moderno, che di questi parti è figlio, patisce le stesse sofferenze. Le parole di Ibu Robin “cominciamo oggi, un bambino per volta, una persona per volta” indicano che operare per un parto e una nascita sani significa operare per una società sana, con molta pazienza.

Marzia Bisognin, vive a Bologna. Collabora alla rivista Una città.
pro dialog