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Francesca Rivelli: La poetica di Ibu Robin

7.9.2006, foto Déjà Bernhard
La premiata di quest’anno si presenta in maniera sfuggente e concreta allo stesso tempo. La sua storia, i suoi studi, il suo impegno pragmatico nel costruire e nel fare, sembrano in un certo qual modo contraddire l’espressività e il linguaggio evocativo cui spesso ricorre per esprimersi.

Quando parla e quando scrive utilizza una metaforicità e una leggerezza che sembrano distanti dal nostro modo di parlare.
Alcuni temi cari a Ibu Robin, come il parto naturale e l’allattamento al seno, si caricano di un significato completamente innovativo e propositivo rispetto a una visione prettamente occidentale. Quando parla di nascita e ingresso ‘peaceful’ del bambino nel mondo, pone le basi di un Weltanschaung più ampia e olistica rispetto alla concezione della cultura occidentale. L’attività di aiuto e sostegno, soprattutto a favore delle persone più deboli che vivono a margine della società, vuole essere uno strumento attivo per donare al bambino (e ai propri genitori) un modo per riappacificarsi con la vita e con un mondo di cui spesso sperimentano solo le difficoltà e l’esclusione. Vi è una forte concezione etica alla base del suo lavoro che si sviluppa soprattutto in quei territori che sono stati maggiormente colpiti da catastrofi naturali o da disastri determinati dalla crudeltà dell’uomo. In questo senso, la scelta di impegnarsi sul tema della nascita, che è un’attività che accomuna uomini e donne di credi, religioni, paesi e clan diversi, si dimostra una scelta silenziosamente politica. Al riguardo Ibu Robin scrive “Bumi Sehat is quietly planning to prepare the people of Bali to be good and kind neighbors, it natural or unnatural disasters strike closer to home”. Il ciclo della vita è concepito come piattaforma comune e terreno di dialogo e di scambio, senza differenze e senza privilegi.
Ibu Robin ha cristallizzato le sue idee, i suoi sentimenti, i suoi progetti e disagi interiori in una vivace ed eterogenea opera poetica. Molti sono i temi affrontati e i linguaggi utilizzati. La scelta delle parole non è mai casuale e un utilizzo di uno stile familiare e colloquiale viene interrotto qua e là da immagini forti ed evocative, che ci conducono oltre la semplice descrizione di un fatto o di un paesaggio.

Nei suoi scritti la parola ‘pace’ comprende tutta la gamma dei sentimenti positivi e utili all’essere umano, diventando un grande correlativo oggettivo per la vita umana. Fin dal suo ingresso nel mondo, il bambino ha bisogno di serenità ed empatia con l’ambiente che lo circonda. Agli occhi di Ibu Robin, questa non è altro che una metafora e un rito iniziatico per mettere l’intera vita del nascituro in sintonia con il mondo che lo circonda.

La ‘nascita’ è un’altra immagine fortemente metaforica cui ricorre Ibu Robin nelle sue poesie per simboleggiare l’eterno divenire della vita e il futuro del mondo. Numerosi sono i bambini che compaiono nei suoi testi, visti ora come angeli portatori di messaggi, ora come creature che sebbene non siano nate esistono nel limbo del passaggio tra vita e morte. I bambini, figli individuali e figli della storia, servono a testimoniare un passato che non dovrebbe ripetersi e trasmettere invece il legame ancestrale e spesso difficile che l’Uomo intrattiene con la vita.

Gli ‘eventi tragici’ che colpiscono l’essere umano - siano essi di carattere naturale o provocati dall’uomo -fungono ugualmente da spunto di riflessione per ragionamenti più complessi e a volte maggiormente politici. L’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 diviene metafora universale che accomuna tutti gli esseri umani: i bambini-angelo soffrono di tutti questi massacri e diventano disillusi e stanchi della violenza dell’uomo sull’uomo. Anche lo tsunami è occasione di ispirazione poetica: il paesaggio naturale in cui la vita deve andare avanti si dimostra essere cupo e triste di fronte al numero delle vittime.

La poetica di Ibu Robin risente e trae beneficio dalla “multiculturalità” della sue educazione e dalla varietà delle sue origini genealogiche che le permette di muoversi su piani paralleli e di avere uno sguardo privilegiato sulle cose del mondo.

Francesca Rivelli

11 settembre 2001, La prospettiva di un embrione

Un bambino si culla nell’umidità
della pancia color vino.
Il suo cuore pulsa a 150 battiti al minuto.

A New York
e a Washington tutti gli angeli della nostra breve
storia si mettono in circolo e inclinano il capo piangendo.
Mio nipote che non è mai nato sente il cuore di sua madre
allontanarsi da lui. Non è il momento buono per essere nessuno.

I miei occhi sono troppo aridi, come se piangere
fosse una cosa egoista. Dopo tutto, io sono viva
e non ho dovuto scegliere tra il fuoco, il peso del cemento
e dell’acciaio, o piovere da un’alta finestra.

Mio nipote mi ha lanciato un tentacolo,
fine come una ciglia di cammello ma lungo e riccioluto.
Mi ha raggiunto attraverso il tempo,
per raccontarmi qualcosa non nella lingua del popolo di
sua madre, e nemmeno in una lingua parlata dal padre.

Io inclino la testa insieme ai delusi angeli
E ascolto e spero di decifrare le sue parole.

(Trad. di Francesca Rivelli)

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