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È giusto intervenire militarmente?

1.4.1993, Agenzia Aspe

C'è una giusta esigenza di non rassegnarsi alla passiva acquiescenza verso la più grande tragedia europea, dopo la seconda guerra mondiale, e qualche tentazione semplicistica dietro la domanda.

Oltre alla fondata consapevolezza che l'Europa ha fatto poco, ha agito spesso in modo sbagliato ed ha omesso molte cose giuste.Oggi penso che davvero occorra un uso misurato e mirato della forza internazionale, e quindi nel quadro dell'ONU (bisogna che qualcuno nel Consiglio di Sicurezza se ne faccia promotore: perché non la Comunità europea attraverso la Francia e la Gran Bretagna?). Per fare cosa? Non certo per appoggiare alcuni dei contendenti contro altri, ma per fermare alcune azioni particolarmente intollerabili e far capire che c'é un limite, che la logica della forza non paga: impedire ogni bombardamento dal cielo attraverso l'imposizione, anche armata, dell'interdizione aerea sopra la Bosnia Herzegovina; neutralizzare e distruggere gli armamenti pesanti che assediano città e villaggi; aprire la strada all'arrivo degli aiuti umanitari. Se poi non bastasse, si dovrebbe valutare ulteriormente la situazione.Non credo che sin dall'inizio un intervento militare sarebbe stato giusto - oltre che difficilmente possibile. Non si tratta, infatti, di una situazione netta, dove una potenza aggredisce e gli altri subiscono; pur nella prevalente responsabilità del regime serbo, bisogna tener conto anche dell'azione soprattutto croata: una volta che si afferma l'impossibilità che etnie diverse convivano all'interno di una stessa cornice statale e che si punta alla costruzione di stati etnici, non ci si deve meravigliare troppo se tutti tentano di modificare i confini a proprio vantaggio e puntano alla bonifica etnica del loro territorio.E poi non si deve dimenticare quante cose incruente -possibili e forse efficaci- sono state omesse: si doveva fin dall'inizio indicare una linea chiara: 1) nessuna indulgenza su gravi violazioni dei diritti umani (come p.es. nel caso del Kosovo); 2) nessuna accondiscendenza verso secessioni unilaterali, non negoziate nel quadro di una soluzione accettabile per tutti, con garanzie chiare per tutte le minoranze che sarebbero risultate tali da una disintegrazione dello Stato precedente; 3) nessuna comprensione per i diversi signori della guerra (serbi, croati ed infine anche musulmani), ma incoraggiamento e sostegno a tutte le forze meno nazionaliste e più democratiche: nella stampa, nelle radio e televisioni, tra i partiti, tra le amministrazioni (p.es. un chiaro sostegno alla Bosnia ed alla Macedonia, piuttosto che alla Croazia ed alla Serbia); 4) apertura di una corsia preferenziale per tutta la Jugoslavia e le sue entità subentranti verso la Comunità europea; 5) intervento di corpi civili (osservatori, mediatori, volontariato, ecc.) soprattutto nelle fasi pre-conflitto, anche dispiegamento preventivo di truppe ONU di interposizione e di dissuasione (cosa che dovrà essere fatta ora urgentemente nel Kosovo, in Macedonia, in Voivodina, forse anche nel Montenegro). Cosa possono fare le persone comuni? Non poco. Possono sostenere chi aiuta i profughi, e chiedere al Governo, ai Comuni, alle Regioni, di aprire le nostre porte a loro, alle donne violentate, ai prigionieri rilasciati dai campi di detenzione etnica. Possono sostenere, anche con denaro, coloro che promuovono soccorsi e coloro che continuano a lavorare per la riconciliazione e per una pace democratica: per esempio il Comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nella ex-Jugoslavia"(c/o Casa della nonviolenza, Via di Spagna, 8, 37123 VERONA, 045-8009803, fax 8009212), o il Consorzio dei progetti per la ex-Jugoslavia (c/o ARCI, v. Francesco Carrara 24, 00196 ROMA, Raffaella Bolini, 06-3201541, fax 3610858), o il gruppo che cura un quotidiano ponte telefonico tra croati e serbi (Comitato dei cittadini per la solidarietà con la Bosnia Herzegovina, c/o TELMA, p.le Duca d'Aosta 12/a, 20100 Milano, 02-66723227,9; fax 66710063; TELEFONSKI MOST, ARCI, Milano, 02-5456551, 5782575), o Beati i costruttori di pace (Via Marsilio da Padova, 35139 Padova, 049663882), o tanti altri ancora.E possono pungolare il governo e l'opinione pubblica italiana ogni giorno: scrivendo lettere ai giornali, telefonando alle diverse rubriche radiofoniche con microfoni aperti, interpellando i loro rappresentanti politici al Parlamento o anche in Consiglio regionale o comunale.Infine i più volonterosi possono anche partecipare in prima persona ad una delle innumerevoli iniziative pratiche di solidarietà e di sostegno, recandosi anche di persona in quelle parti della ex-Jugoslavia, dove ciò è possibile. Tutti i gruppi sopra menzionati organizzano in modo sistematico aiuti e sostegno; ci si può utilmente inserire.

intervento per Agenzia Aspe, aprile 1993

 

 

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