Alexander Langer Alexander Langer Scritti di Alex Langer Ex Jugoslavia

Scritti di Alex Langer
Albania Alto Adige Südtirol Bioetica Conflitti etnico-religiosi Convivenza Est/Ovest Europa Ex Jugoslavia
Verona Forum Parlamento europeo Langer - video PE
Incontri Israele/Palestina Mediterraneo Nord/Sud Politica Italia Politiche ambientali Politiche di pace Religiosità Semina verde Stili di vita Bibliografie Biografie
Racconti e ricordi Dediche bibliografie - recensioni Tesi e ricerche Riviste Video - Audio L’archivio di Alex Eventi
alexander langer (22) Cassar-Simma: Abbi cura - Trag Sorge - Take Care (11)

Pacifismo tifoso, pacifismo dogmatico, pacifismo concreto

6.4.1993, AAM Terra Nuova


C’è chi si scandalizza perché sulla Jugoslavia il pacifismo non ci sarebbe più. Da due parti opposte si denuncia lo scandalo: la grande opinione liberal-borghese (Pannella compreso) domanda provocatoriamente, perché quelli che avevano manifestato contro la guerra nel Golfo non scendono in piazza con altrettanta forza ed indignazione contro i massacri nella ex-Jugoslavia. Dal lato opposto, per esempio da parte di non poche “donne in nero”, di “beati costruttori di pace” ed altri gruppi simili, si constata con dolore che una parte crescente del campo pacifista (dall’associazione per la pace sino all’autore di queste righe) vorrebbe vedere un intervento internazionale (politico, certo, ma con l’uso giudizioso e mirato anche della forza armata) per fermare la guerra in Bosnia.

Cerco di rispondere ad entrambi. I pacifisti sulla Jugoslavia sarebbero ammutoliti, perché – si insinua – manca loro il comodo bersaglio americano, o perché dovrebbero ammettere che il comunismo ha lasciato irrisolti i nodi di fondo delle contraddizioni etno-nazionali, pur sepolte a lungo sotto una grossa patina internazionalista. O forse semplicemente perché‚ sono allenati ad essere solidali col sud del mondo, mentre ad est mancano totalmente di parametri e di sensibilità. Può darsi che tutto ciò si verifichi in qualche misura – ma al fondo l’accusa è gravemente ingiusta. I pacifisti, anzi, sono più presenti che mai nel conflitto jugoslavo. Con meno tifo e meno bandiere, meno slogan e meno manifestazioni, ma con un’infinita quantità di visite, scambi, aiuti, gemellaggi, carovane di pace e quant’altro. Un pacifismo (finalmente!) meno gridato, ma assai più solido e più concreto. Il che vuol dire anche più complicato, perché la vita è complicata, e la pace non si ottiene per vie semplicistiche: né con il sostegno unilaterale alle parti ritenute “buone” e “vittime”, e neanche con l’idea che un massiccio intervento armato esterno potrebbe davvero pacificare la regione. Un conflitto che è anche (non solo) una guerra etnica, ha un potere di coinvolgimento e di estensione enorme, non è la stessa situazione che si può verificare in un paese occupato come nel Kuwait o nei paesi occupati dai nazisti. Lo si è visto, del resto, già una volta proprio in Jugoslavia, durante la seconda guerra mondiale. E quindi si tratta di un conflitto nel quale occorre conciliazione, non incitamento, mediazione piuttosto che sostegno armato.

Ma altrettanto semplicistica mi appare la posizione opposta, quella che chiamerei di “pacifismo dogmatico”. Mi sono molto meravigliato come alcune delle persone che sono andate a Sarajevo con i “beati costruttori di pace”, nel dicembre scorso, siano tornate da quella esperienza estrema e singolare, di grandissimo significato umano, con lo stesso discorso aprioristico che facevano prima, e con lo stesso atteggiamento solo declamatorio sul valore universale della pace e dei diritti umani. A differenza delle testimonianze assai veraci e problematiche di alcuni partecipanti (come quelle dei vescovi don Tonino Bello e mons. Bettazzi), altri reduci da Sarajevo non apparivano intaccati più di tanto dal fatto che i bosniaci assediati chiedano disperatamente un aiuto contro gli aggressori assedianti (ed armi per difendersi da sé se l’aiuto esterno non viene). Una sanguinosa epurazione etnica a suon di massacri, stupri, deportazioni e devastazioni va avanti a tappeto, la popolazione di per sé largamente inter-etnica viene costretta a schierarsi con una parte contro l’altra, un baratro profondo rischia di riaprirsi tra est e ovest, tra cristiani e musulmani, tra europei da difendere ed europei che possono essere macellati tranquillamente. Tutto questo non può trovare come unica risposta l’invocazione astratta della non-violenza. Chi si rifugia in una posizione solo di principio non dovrebbe poi avere da ridire sull’invito del Papa alle donne violentate di partorire i bambini concepiti a seguito degli stupri: in entrambi i casi si tratta di una proclamazione unilaterale, che proviene dai guardiani del dogma, ma non tiene conto degli interessati. Preferisco il pacifismo concreto, con dei partner concreti. Credo che serva di più delle opzioni semplicistiche, buone per accontentare i tifosi, ma sterili rispetto alla realtà.

Per AAM Terra Nuova - 6.4.1993

 

pro dialog