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Una sudtirolese di lingua italiana in Consiglio
17.11.2005, Estratto dal saggio di Grazia Barbiero. Foto: Ida Prinoth
(.....) Il mondo sudtirolese pensato e voluto da Andreina Emeri si affida, nella sua crescita, più che alle "leggi", all'effettiva capacità di creare abitudini, occasioni quotidiane d'incontro. In quest'ottica il bilinguismo è "un'attitudine fondamentale a vivere in un paese con più culture e con più lingue". Andreina, rispondendo alle obiezioni poste all'apprendimento precoce della seconda lingua dall'Assessore alla cultura di lingua tedesca Anton Zelger, si chiede se "possa rappresentare un pericolo per l'identità culturale, un pericolo di assimilazione" e conclude che "…è ben difficile affermare e far credere che un arricchimento culturale rappresenti un pericolo per qualcuno".
E’ donna di sinistra, ambientalista e femminista, dà valore alle differenze ma lavora su ciò che unisce. In tutti i suoi interventi testimonia che la storia del Novecento si intreccia con quella della sua rivoluzione più importante, la più dolce e la più profonda, quella della libertà femminile come condizione della libertà di tutti. Testimonia un concetto che le è caro e che si ritrova in molti discorsi istituzionali: il presente è ancorato alla memoria: per innovare occorre non dimenticare. Quando, nel novembre del 1984, proporrà di celebrare solennemente, nell'anno 1985, la resistenza e il rifiuto nei confronti del fascismo e del nazismo, il Consiglio le dedicherà un’attenzione davvero non formale.
Le donne, per lei, sono decisive nelle politiche di sviluppo sociale ed economico, nella lotta alla povertà, nella qualità dell'ambiente, nella ricostruzione sociale dopo i conflitti, nella tutela dei diritti umani. Crede che "la spinta propulsiva del femminismo non si sia ancora arrestata". Lo dice testualmente nell'intervento del 1984, quello di apertura. Lo conferma quando si batte contro pena di morte, ergastolo, tortura, stupri, maltrattamenti, violenze. Assume i diritti come paradigma di una nuova frontiera della democrazia.
Emeri è costruttrice infaticabile di una società solidale indipendentemente da etnie e generi. Il suo impegno nelle assemblee elettive, Consiglio provinciale e Consiglio regionale, abbraccia l'intera visione della società profondamente alternativa alle politiche conservatrici per valori, emozioni positive, per l'idea di persona come soggetto, per l'idea di ambiente come patrimonio di tutti, da non sacrificare agli interessi del guadagno e della speculazione.
Ama la valle attorno a Siusi. Quando si impegna perché non proliferino nuovi impianti di risalita in val Gardena e all'Alpe, vicino a casa, pensa alle montagne e alle valli del mondo. E' interessante quanto dice nella discussione che illustra la sua mozione sullo stato dei boschi dell'Alto Adige: "… penso che questa tutela dell'ambiente in generale e del bosco in particolare non potrà avvenire in maniera del tutto indolore, ciascuno dovrà necessariamente rinunciare a qualcuna delle sue abitudini, dei suoi piaceri o comodità. Questo è importante che venga detto in maniera unitaria, in modo che la gente senta che dietro questo discorso ci sono sia la presenza dell'autorità, sia la presenza delle forze di opposizione”. Ha una concezione della politica non settaria: per lei i contenuti sono sovrani e non devono essere sopraffatti da logiche di schieramento.
I rapporti istituzionali nelle sale delle assemblee elettive si nutrono quasi sempre di piccoli, consueti opportunismi retorici di scarso valore ma di impatto rituale. Non ricordo di aver mai sorpreso Andreina, neppure nei momenti di stanchezza, aggrapparsi a questi trucchi abusati. E’ più che facile, affrontando dai banchi del consiglio questioni generali come la disoccupazione giovanile, imputare a un governo provinciale che gode di una larghissima autonomia e di di una conseguente, ben remunerata, responsabilità, il fatto che troppi ragazzi siano a spasso senza lavoro. Invece – siamo nel 1984 – state a sentire come Andreina Emeri si rivolge alla giunta proprio su questo argomento: “Effettivamente, la soluzione pronta in tasca per lottare e sconfiggere la disoccupazione giovanile, non l’ho, …non ho nessuna intenzione di caricare sulle spalle della Südtiroler Volkspartei la responsabilità della crisi economica che attraversa la nostra provincia, che è una crisi nazionale, addirittura europea e extraeuropea, quindi chiaramente non demonizzo la Svp fino a questo punto…”. In questa situazione, Andreina Emeri fa ricorso a una lettura oggettiva della realtà: è la strada più complessa e meno avvincente sotto il profilo politico, ma non demorde, non cerca scorciatoie. Anche a costo di far apparire il suo intervento, come si dice in politichese maschile, “morbido” nei confronti del livello di potere cui si rivolge. Anche in questo stile, ragionevole, pacato ma fermo, non enfatico, Andreina rappresenta quella particolare tendenza della cultura, anche politica, delle donne che bada al sodo, alla verità dei fatti e se ne frega delle trappole retoriche usate solo per alzare la voce.
Alza la voce, semmai, per rinfacciare al partito di raccolta e di governo la fatuità dei suoi proclami “conservatori” tesi a convincere l’elettorato che è lui il vero difensore dell’integrità del territorio. Territorio, ovviamente, vuol dire “ambiente”, non c’è ambiente senza territorio e viceversa. Ma la SVP, mentre richiama i sudtirolesi di lingua tedesca ai valori della piccola patria, permette, favorisce, sponsorizza un vastissimo processo di sfruttamento di quella stessa piccola patria legandola a una politica turistica che fa a pezzi montagne e valli moltiplicando, per esempio, gli impianti sciistici di risalita. Su questo versante, Andreina Emeri è durissima ma non sta chiudendo le porte in faccia allo sviluppo; non sta sostenendo il primato di una civiltà bucolica rispetto a un’economia che non può che segnare il territorio, modificarlo. Denuncia il limite dello sviluppo, si batte per il recupero di una coscienza del territorio che sappia fare i conti con le pulsioni economiche istantanee e le ricolleghi a una visione dell’ambiente inteso come risorsa del lungo periodo. In questo quadro, non si muove come pasdaran della conservazione, ma propone un riequilibrio della locomotiva turistica, affidandola a una cultura che sappia riconoscere e promuovere la qualità rispetto alla quantità. (.....)