Un nuovo federalismo
Sanguinoso scontro etnico-religioso nel Caucaso. Manifestazioni popolari (in cui si mescolano rabbia spontanea con rabbia abilmente seminata) contro la minoranza turca in Bulgaria. Rivendicazioni di indipendenza in Lituania e negli altri Paesi Baltici. Qualche bomba autonomista (o separatista?) in Corsica. Deputati baschi separatisti uccisi da un attentato. Tensioni evidenti e talvolta scontri etnici in Jugoslavia (Kossovo, Slovenia), forse anche in Albania, sicuramente in Romania (anche se momentaneamente in minore evidenza) e in Moldavia.
Preoccupazioni per un possibile nuovo pangermanismo, mille segni di un nuovo razzismo anti-immigrati in tanti “civilissimi” Paesi e Regioni. Per non parlare dell’Irlanda del nord o di Cipro, e per non andare fuori dall’Europa dove subito incontreremmo la guerra tra ebrei e palestinesi in Israele e nei territori occupati, e tra fazioni confessionali in Libano, restando solo nel bacino mediterraneo.
Perché questo sommario elenco di focolai di conflitto etnico, religioso, nazionale?
Per dire innanzitutto che oggi, di fronte alla caduta di tanti regimi repressivi ma anche di fronte alla scomparsa di alcune grandi idee di “salvezza dell’umanità” (o ritenute tali), si stanno sprigionando in forma spesso violenta tremende eruzioni di auto-affermazione collettiva.
Non sempre si tratta di fertile esplicitazione di identità o di processi di liberazione, spesso si manifesta anche una pericolosa ricerca di forza, l’espressione di egoismi collettivi, la rivendicazione di esclusivismi etnici o religiosi assai difficilmente componibili in un comune disegno di cooperazione e di pace. Il valore della propria identità etnica o nazionale, confessionale o culturale – come nel Sudtirolo abbiamo faticosamente imparato ed ormai ben sappiamo - non cresce certamente per il fatto di pretendere l’esclusiva di voler far piazza pulita degli “altri”.
Più che mai, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, è richiesta nella fase storica presente una forte tensione ideale verso obiettivi di convivenza pluri-nazionale, di culture ed ordinamenti plurietnici, di nuove forme di autonomismo e di federalismo.
Se oggi – giustamente - molti popoli non si riconoscono più nei confini e negli stati nazionali loro imposti, e se quindi vacilla il tabù più solido dell’attuale diritto internazionale (la definitività e l’inviolabilità dei confini, la sovranità nazionale), la risposta teoricamente potrebbe essere di due tipi: spostare (“correggere”) i confini… o abolirli (superarli).
Proprio la nostra piccola esperienza sudtirolese ci insegna, quanto illusoria e generatrice di nuovi conflitti sarebbe la prima delle due soluzioni teoriche: riaggiustare i confini, spostandoli, e superare gli stati nazionali, moltiplicandoli, non è una soluzione di pace, ma sarebbe la premessa di molti e nuovi lutti e di sicure insoddisfazioni.
Al contrario gli stati nazionali di oggi sono al tempo stesso troppo piccoli (e ritagliati spesso male) e troppo grandi (e ritagliati spesso male) per garantire efficacemente il buongoverno dei popoli e la pace tra essi. Ecco perché occorrerà superarli verso il basso (con nuove e ricche autonomie) e verso l’alto, con ordinamenti federalisti sopranazionali, come in Europa si sta faticosamente sperimentando.
Non dobbiamo mettere sotto il moggio la piccola luce che dall’intenso lavoro di conciliazione e pacificazione plurietnica abbiamo saputo individuare ed accendere. È il momento in cui i nostri ideali e le nostre esperienze possono servire anche ad altri in Europa. Quelle e quelli come noi che sono stati recentemente a fianco dei pacifisti palestinesi ed israeliani, per rafforzare la loro preziosissima opera di superamento dei blocchi, degli odi, delle ingiustizie, ci hanno dato un bellissimo segnale.
Azione nonviolenta, agosto-settembre 1990