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Bisogno d'Europa: i verdi per il federalismo europeo
1.5.1991, Testo per "Green Leaves", il bollettino del gruppo verde al parlamento europeo
C'è un "bisogno d'Europa" tra i popoli del vecchio continente, che, se dopo la seconda guerra mondiale, si è espresso maggiormente nell'Europa occidentale, ora dopo la caduta dei muri e dei fili spinati tra est e ovest proviene in primo luogo dai paesi ex-comunisti. Ma anche una quantità di piccoli popoli, etnie senza stato, minoranze etno-linguistiche vedono nell'integrazione europea l'alternativa più convincente alla loro condizione di minorità, di dipendenza o di isolamento. Dagli ungheresi ai polacchi, dai cechi agli slovacchi, dagli albanesi ai romeni tutti chiedono a gran voce di far presto con il processo di unificazione dei popoli europei e con la costruzione di quella "casa comune europea" che viene preferita non solo alla "pax sovietica", per troppo tempo sperimentata, ma anche al "sogno americano" che a prima vista potrebbe apparire seducente per la sua potenza ed abbondanza, ma che poi appare comunque troppo improbabile e lontano per essere un obiettivo realistico.E' innegabile che oggi gran parte degli stati cosiddetti nazionali che conosciamo (pochi sono veramente stati nazionali, i più sono in realtà plurinazionali, senza ammetterlo) risultano al tempo stesso troppo grandi e troppo piccoli. Sono troppo grandi per consentire una reale democrazia partecipata, per rispettare le esigenze ed i poteri delle comunità locali, ma anche dei cittadini che non vogliano delegare a partiti, lobbies e sindacati la loro voce. E sono troppo piccoli per permettere di affrontare efficacemente alcuni grandi problemi contemporanei, da quelli ambientali a quelli del disarmo e della pace. Ecco perchè la domanda di decentramento e di potere locale, da un lato, e di aggregazione sovranazionale, dall'altro, sono in fondo due lati della stessa medaglia. Il federalismo europeo, la corrente culturale che ha fornito tanta parte delle idee che hanno fatto maturare l'aspirazione di molta gente ad un'Europa unita, deve oggi contenere entrambi questi aspetti, se vuole essere convincente: bisogna svuotare gli attuali Stati nazionali europei contemporaneamente verso il basso e verso l'alto, verso le regioni ed i comuni, da un lato, e verso istanze federali sovranazionali, dall'altro.
La Comunità europea dei 12 (che oggi non può più essere chiamata comunità semplicemente economica, ma che non é ancora una vera comunità politica federale) è oggi senza dubbio la costruzione più avanzata dell'"Europa realmente esistente". Per chi la guardi con occhi verdi e con esigenze di giustizia sociale e di equilibrio ambientale, sarà difficile riconoscervi oggi quella speranza dei popoli europei che soprattutto dopo il trionfo dei nazionalismi e delle guerre aveva fatto desiderare un'Europa unita. Troppo asservita ai potentati economici e finanziari, troppo schiacciata sulla dimensione del mercato comune (con la folle prospettiva del "grande mercato unico" come se fosse la soluzione di tutti i problemi!), troppo dominata da governi e burocrazie invece che da processi autenticamente democratici e decentrati, troppo poco "regionalista" per poter soddisfare il bisogno di identificazione e di autogoverno locale. Tutto vero, questo, ed aggravato dalla prospettiva di un ulteriore salto in avanti della crescita economica, del traffico, dei consumi energetici, del consumo di ambiente, non appena il grande mercato del 1993 comincerà a dispiegare i suoi effetti.
Ma quale è l'alternativa? La difesa degli stati nazionali esistenti, come se potessero garantire di per sè livelli più alti di democrazia, di tutela ambientale, di giustizia sociale, di pace e disarmo? La pura invocazione retorica di un'"Europa delle regioni", mentre il fascino della Comunità dei 12 seduce uno dopo l'altro i governi ed anche i popoli europei?
Credo che oggi per i verdi europei, in tutti i paesi, non esista alternativa seria all'impegno per la trasformazione della Comunità europea, ma sempre in una prospettiva di integrazione federalista del continente europeo. Ciò non vuol dire certo che chi è nella C.E. deve rassegnarsi a seguirne subalternamente gli imperativi, e che vi è fuori deve semplicemente issare bandiera bianca, pur di essere ammesso ad entrarvi. Ma non si può non riconoscere che difficilmente nei prossimi 30-50 anni vi potrà essere un altro processo di aggregazione europea, se non quello che parte dalla attuale Comunità dei 12, e che si ha solo da scegliere tra un'opposizione via via in ritirata (un po' come succede ai paesi dell'EFTA che avevano fondato la loro associazione per sottrarsi al dettato della C.E. ed oggi bussano, uno per uno, alle sue porte, accettando condizioni a volte umilianti), o tra un impegno europeista, che accetti il quadro della Comunità come dato di partenza, per inserirvi la propria battaglia: per una comunità realmente pan-europea, politica più che economica, con mercati locali differenziati, con garanzie sociali solide, con una legislazione ambientale rigorosa, protagonista di decentramento, democrazia, disarmo, pluralismo linguistico e culturale. Un'Europa capace di offrirsi come polo autonomo sulla scena internazionale, e quindi un partner utile al sud del mondo. Un'Europa intenzionata ad aprire la strada a quell'autolomitazione anche consumistica e produttiva, che oggi è la condizione perchè il pianeta possa avere un futuro. L'incontro tra le due metà finora separate dell'Europa, ed un forte ancoraggio al sud del pianeta ne possono essere le condizioni, mentre la continuazione autistica dell'integrazione della ricca Europa dei 12 finirebbe inevitabilmente a produrre effetti contrari e devastanti. Ecco perchè oggi c'è bisogno di un federalismo pan-europeo dei verdi, prima che sia troppo tardi.
Testo per "Green Leaves", il bollettino del gruppo verde al parlamento europeo
Bruxelles, maggio 1991