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Alberta Rocca ricorda Adelaide Aglietta

1.12.2001, UNA CITTÀ n. 91 / Dicembre/Gennaio 2001
La scelta, e la grande passione, per l’impegno civile e politico, un rapporto con le figlie mai venuto meno, il femminismo e la militanza radicale, una casa a Roma piena di gente, la caparbietà nelle battaglie, le delusioni, l’implacabile malattia.

Alberta Rocca ricorda la madre Adelaide Aglietta.Alberta Rocca oggi vive a Venezia.

Allora abitavamo in una bella casa in collina e vicino a noi c’erano i nonni, i genitori di mamma. Di quegli anni ricordo veramente una famiglia normalissima. La mamma che non lavorava, che ci preparava la colazione, ci portava a scuola, il papà che era sempre al lavoro e poi il tanto tempo trascorso coi nonni… Tutto molto normale, eravamo una famiglia borghese torinese che viveva in una di queste case in mezzo al verde, senza contatto con la città ma fra tanti bambini. E’ stata una bella adolescenza.Poi la mamma e il papà si separarono, più o meno quando lei cominciò a far politica. Io allora ero piccola, ma ero molto arrabbiata che se ne fosse andata. Anche perché dopo papà dovette badare a noi in anni veramente difficili. Io avevo 8 anni, mia sorella 11 e quindi sono stati degli anni abbastanza bui. Però lei veniva sempre, ogni weekend veniva a trovarci; è sempre stata molto presente.Quegli anni hanno coinciso con il processo alle Brigate Rosse (quando Adelaide Aglietta fu giudice popolare al processo di Torino alle Brigate Rosse. Ndr), quella è stata una cosa tremenda, perché anche se ero piccola per cui non mi ricordo tante cose però… Ricordo una volta che lei aveva rifiutato la scorta, perché non voleva vivere in una situazione di polizia; era venuta a prendermi nella piccola scuola di Cavoretto, un centro nelle colline di Torino, e c’era una macchina di poliziotti in borghese lì all’uscita. Forse avevano seguito lei, forse stavano lì per noi, fatto sta che lei fece una scenata! Davanti a tutti i bambini della scuola e io mi vergognai come un cane, ne disse di tutti i colori. Ma questo era abbastanza tipico per lei. Non tollerava le imposizioni, giustamente poi.Ecco, quelli sono stati gli anni bui di Torino, coi miei nonni anche loro terrorizzati. Ricordo che avevamo sentito dal telegiornale che la mamma aveva ricevuto una lettera di minacce... In quel periodo una volta eravamo andate una settimana a Sestriere con mio padre, al club Méditerrané, uno di quei posti che la mamma proprio non tollerava e, però, quando sei piccola un posto così lo adori e poi per un padre che magari già doveva allevare due bambine, poter mettere i figli lì con tutti gli altri bambini, senza doversi preoccupare, probabilmente era la scelta migliore. Mia madre aveva tentato in tutti i modi di telefonarci e non c’era riuscita, anche perché lì non c’erano i telefoni in camera: beh, s’era incazzata come una belva!Io avevo tredici anni e mia sorella sedici quando andammo a stare con mamma a Roma. Mio padre aveva cambiato lavoro, era cambiata la società per cui lavorava e si doveva trasferire a Milano. E quindi decidemmo di venire a Roma a stare con la mamma, che allora abitava con Emma, Giovanni Negri, in una di quelle case con centinaia di persone che andavano e venivano. Era uno stile di vita completamente diverso da quello che avevamo avuto fino allora, ma devo dire che siamo state benissimo anche a Roma. Lei, però, si rendeva conto che quella situazione non poteva durare e quindi ci trasferimmo in una casa nel centro storico, molto carina, tutta mansardata con il legno. Poi, finalmente comprò una casa a Roma: quello è stato una specie di passo storico e ci siamo trasferite dove adesso vive mia sorella Francesca.La mamma rientrava sempre tardi, ma ci trovavamo la sera e chiacchieravamo sul letto. Era un’abitudine che avevamo fin da piccole, e via via che crescevamo quelle chiacchierate duravano sempre di più. Stavamo anche delle ore sul letto, io, lei e mia sorella. In realtà lei non aveva mai tempo libero, lavorando per i Radicali, era sempre impegnata. Ricordo le estati, perché di solito loro affittavano delle case vicino a Roma, in cui noi andavamo, stavamo un periodo con la mamma e poi loro arrivavano, scaglionati, e tutta la comitiva radicale si ritrovava assieme. Quindi anche lì un sacco di gente, in queste case galattiche, enormi, dove arrivava di tutto. In realtà si è mai goduta tante vacanze. Solo quando è diventata parlamentare europeo forse ha un po’ rallentato i ritmi. Comunque è sempre stata una che non si risparmiava.Cosa pensammo della sua scelta? Quando sei piccolo capisci solo che la mamma non c’è più perché non c’è più. Io ricordo che ero abbastanza incazzata che lei non ci fosse, che avesse lasciato il papà, che non fosse lì come le altre madri ad accompagnarti alla cresima, a venire a parlare coi professori. Poi man mano che cresci… A noi le sue battaglie per il femminismo arrivavano soprattutto attraverso i giornali, all’inizio. Nel periodi dei referendum, pur essendo molto piccole, andavamo spesso giù a Torino, alla sezione di via Garibaldi, a dare una mano. Ricordo la sede, un posto piccolissimo con un casino di gente che fumava e noi che andavamo per dare una mano, ma soprattutto per stare un po’ con la mamma. Ricordo che mia sorella, che è una molto precisa, a dieci anni voleva insegnare come si scrutinava, e una volta aveva litigato con Roberto Cicciomessere: avevano due metodi diversi, così andarono da mia madre entrambi incazzati. Ti immagini? Un uomo di trent’anni con una bambina di dieci, e lui che diceva: “Tua figlia…”, ma mia madre rispose che si dovevano arrangiare. Andammo anche a un paio di assemblee o congressi radicali, una volta a Bologna e poi in un altro posto, dove c’era una piscina e mia madre batteva sempre tutti a nuoto, perché nuotava molto bene. Poi loro lavoravano e io e mia sorella stavamo lì, ci guardavamo un po’ in giro.Lei non parlava tanto di politica con noi, ma siccome siamo sempre andate a cena coi “grandi”, soprattutto quando vivevamo con lei, sentivamo i discorsi. Casomai all’inizio non ti interessavano, poi però cominci anche a recepire le idee e alla fine ti trovi anche a condividerle. Delle sue battaglie politiche, lei comunque non ci ha mai imposto niente, non ci ha mai indottrinato, era molto più una specie di assimilazione fisiologica di quello che lei pensava e che passava per la casa. D’altra parte anche mio padre, pur essendo una persona molto diversa, dal punto di vista politico ha sempre condiviso le idee della mamma. Di fatto anch’io mi occupo dei diritti umani, mia sorella s’è presa tutta la parte ecologica perché lei è molto attenta.Certo, mi sentivo trascurata. Ricordo una grande litigata in cui ce ne siamo dette di tutti i colori e poi da lì è come se fosse stata una specie di cosa liberatoria; dopo quell’episodio è tornato tutto normale, ma ero già grande, avrò avuto sedici anni. Lei ci diceva che aveva bisogno della libertà, che aveva bisogno di fare altre cose nella vita, che sentiva di dover coltivare questa passione e che comunque in nessun caso questo l’avrebbe portata via da noi, che poi è vero perché è sempre venuta a trovarci tutti i weekend, anche quando era a Roma, anche quando era segretario del partito quindi con tante cose in più da fare.Sicuramente ha sempre avuto il complesso di non essere stata una buona madre, di non esserci stata quando doveva, di non averci dedicato abbastanza tempo e attenzioni. Per noi però non era così, avere una madre migliore sarebbe stato difficile. E comunque abbiamo sempre fatto i Natali tutti assieme, la nostra è sempre stata una famiglia quasi “normale”, se non fosse che loro non vivevano assieme. Loro poi non hanno mai divorziato, erano separati, ma devo dire che sono stati dei genitori inusualmente civili. Sia prima che si separassero sia dopo, non ricordo di averli mai visti litigare, magari ogni tanto mia madre alzar la voce sì, ma niente di traumatico.Da questo punto di vista non abbiamo sofferto la separazione, se non per il fatto di non aver tutti e due i genitori lì assieme. E d’altra parte meglio così che assieme a litigare.E’ stato nel ’92 che ha scoperto di avere un tumore al seno. Stava già a Bruxelles, dove viveva con il suo compagno. E’ stata operata, poi ha fatto una serie di chemioterapie e devo dire questo molto da sola, perché noi non eravamo lì. Come le altre sue battaglie, anche questa l’ha portata avanti da sola. Quando ha finito l’ultima chemioterapia è stata sei mesi bene e poi al primo controllo le hanno scoperto delle metastasi al fegato. E lì è cominciata la via crucis.E’ stata subito sottoposta a delle terapie piuttosto potenti, soprattutto all’inizio perché tentano di fare il più possibile quando il tuo corpo riesce ancora a sopportarlo. Poi lei ha deciso di andarsi a curare a Parigi, anche perché conosceva questo medico, che allora era parlamentare europeo, Swarzenberg, una persona strana, ma molto simpatica, con cui lei aveva legato durante gli anni del Parlamento Europeo. Credo fosse stato anche ministro della Sanità in Francia per due giorni, il tempo di dire che voleva legalizzare la droga. Era stato dimissionato subito… e quindi era diventato molto amico di mamma! Fu lui a consigliarla di andare a Parigi nell’ospedale dove anche lui lavorava. Mia madre ha fatto tutte le cure lì. Tra Parigi e Bruxelles e poi tra Parigi e Roma. Aggravatasi la situazione, ha subito detto che non ce l’avrebbe fatta da sola. E quindi all’inizio sono stata molto con lei. Stavo finendo l’università, mi restavano pochi esami, avevo solo la tesi da scrivere, quindi potevo andare a trovarla spesso. Abbiamo cercato di andare a Parigi il più possibile. Per il resto ci andava da sola, che è terribile perché quando vai da sola rischi di buttarti giù. Lei, comunque, è stata sempre molto tenace. La malattia ha tentato di combatterla in ogni maniera. E se senti i medici, in effetti già ti dicono che è un miracolo che sia vissuta cinque anni così, tutto sommato abbastanza bene, tenuto conto della potenza delle cure. Ci sono stati dei momenti in cui è stata veramente male, però lei si curava anche con l’omeopatia, per contenere gli effetti secondari, insomma è riuscita a vivere abbastanza bene…Continuava a lavorare, sempre dicendo: “Forse dovrei smettere perché non sono qua al 100%, non è giusto”. Le sembrava quasi di prendere soldi a tradimento, mentre comunque la sua quota di ore di lavoro a Bruxelles rimaneva sicuramente maggiore di quella del 90% dei parlamentari europei. Non andava più a Strasburgo, anche perché a Strasburgo devi stare in albergo, e quindi andare a cena fuori. Per lei invece era importante stare a casa, mangiare in modo regolare, e poi a Bruxelles aveva una bella casa, per cui si poteva andare e trascorrere delle settimane con lei.Io poi nel ‘95 ho fatto uno stage alla Commissione Europea, quindi sono stata a Bruxelles per cinque mesi; lei stava veramente male in quel periodo. La chemioterapia le faceva salire la febbre costringendola a stare in casa per una settimana, sempre a letto: una cosa che lei proprio non sopportava.Però quando stava bene, se ne andava al parlamento, faceva le sue cose, c’erano alcune battaglie, come il Tibet, che ha seguito fino all’ultimo. Però voleva tornare a Roma, quella situazione era diventata veramente pesante.Come ha vissuto la malattia? Credo l’abbia vissuta imparando a conoscere il suo corpo e quindi di ogni piccola cosa sapeva cos’era. Leggeva tutti gli articoli che uscivano sulle nuove terapie, sulle nuove scoperte, tormentava i suoi medici in una maniera incredibile facendo migliaia di domande, pretendendo risposte precise; non era una paziente che s’affidava. Aveva completa fiducia nel suo medico, che però doveva spiegarle tutto; per ogni terapia a cui la sottoponevano stava attenta… Poi con le infermiere era sempre lì a dire: “Ma è sicura che mi ha messo la cosa che mi doveva mettere, che c’è scritta qua?”. Insopportabile.Parlava sempre con tutti, anche all’ospedale quando andava a farsi le cure. Casomai aveva passato una giornata assieme alla signora che veniva dal sud della Francia, all’altra che veniva da Napoli, e allora poi si informava dalle infermiere su come stavano. Cercava di fare una vita normale anche nella malattia, senza nascondersi, però, il fatto che era malata, anzi. Si arrabbiava molto quando la gente la vedeva e diceva: “Come stai bene…”, “No, non sto niente bene, sto malissimo!”. Sì il fatto che avesse casomai un aspetto relativamente buono e che le persone che arrivavano se ne uscissero con: “Adelaide, come ti vedo bene”, non poteva sopportarlo!Sono stati anni faticosissimi. Anche perché doveva prendere il treno da Bruxelles, arrivare a Parigi, tornare… anche se c’eravamo noi restava molto faticoso. E poi ogni volta una nuova terapia, ogni volta cominciare daccapo, psicologicamente era molto snervante. Perché poi lei si rendeva benissimo conto che bisogna sempre sperare, ma anche che i medici stavano un po’ tutti brancolando nel buio, che facevano delle prove, che a volte poteva andar bene per un po’, però poi ricominciava daccapo.A un certo punto ha fatto una terapia in cui l’hanno messa in una camera sterile. Lei non era molto convinta perché il medico le aveva spiegato cosa sarebbe successo e non era il massimo dell’allegria. E di fatto lei è quasi andata all’altro mondo. Ti bombardano di chemioterapici, una dose altissima. Praticamente ti prendono del midollo spinale per reinserirlo nel momento in cui il tuo sangue comincia a rigenerarsi, in modo che tu abbia un recupero accelerato. Nel frattempo sei in un reparto sterile perché anche solo un raffreddore può ucciderti e assumi una dose di antibiotici che copre circa il 90% di tutte le infezioni esistenti… Ecco, lei ha avuto un’infezione allergica a qualcosa, e non ne veniva fuori, e non recuperava, le piastrine erano sempre basse, i globuli rossi anche, la febbre sempre alta. E lì a Parigi sono andati tutti in panico così l’hanno mandata in un altro ospedale di Parigi, al reparto malattie infettive, per quattro-cinque giorni. Alla fine lentamente ha cominciato a riprendersi.Aveva questa vitalità enorme che l’ha aiutata a non abbattersi mai. Passava dei momenti di depressione, ma superati quelli si ricominciava. Per sette anni è riuscita ad andare avanti così.Durante la malattia, dei vecchi amici, pochissimi si sono fatti vedere. Dei radicali quasi nessuno e lei ne ha sofferto tantissimo. Non si dava spiegazioni, se non che coi radicali, quando non sei più con loro, si chiudono tutti i ponti. E però al parlamento europeo c’erano anche loro, ci sono stati tutti gli anni di gloria di Emma… insomma, lei c’è rimasta molto male.Negli ultimi anni, a parte noi, vedeva Gianfranco Spadaccia, che veniva sempre, e così pure Giovanni Negri.Venivano e passavano i pomeriggi a chiacchierare. Poi vedeva sempre Roberta Colombo, che avevamo conosciuto anche noi e che era molto legata a tutti… con lei mamma aveva preso una casa a Capalbio, vicino a Orbetello, in Toscana, perché il sogno di mamma era stato sempre quello di avere una casa in Toscana, in campagna, dove poter riunire la famiglia e gli amici. Dal ’92 in poi infatti siamo sempre andate lì. Era la sua gioia: arrivava lì e cambiava faccia, veramente, stava subito bene.Badava al giardino, aveva il pollice verde, le piaceva molto; anche a Roma aveva un terrazzino con un sacco di piante, era una delle cose che faceva più volentieri. Poi si andava un po’ al mare, ma negli ultimi anni non tantissimo. E le piaceva cucinare, era anche una brava cuoca. Ricordo che quando eravamo piccole si mangiava bene a casa. Soprattutto a Natale, quando si cucina molto. Poi si godeva la casa, stava lì a prendere il sole.Come fu la rottura coi Radicali? Fu dura. A un certo punto non si riconobbe proprio più nelle loro scelte politiche. Quando poi andarono alle elezioni con Berlusconi… mi ricordo che a lei arrivò una telefonata da uno di Forza Italia che chiedeva: “Beh, allora onorevole Aglietta, pensavamo di candidarla nel Nord-Ovest…”, “Scusi, ma lei chi è e cosa le fa credere che io voglia presentarmi con Forza Italia?”, “No, ma lei è Radicale…”, “Sì, va bene, però ciò non toglie che se mi candido non sarà sicuramente con voi”. E infatti si ricandidò coi Verdi.A livello politico tutto quel periodo, Lista Pannella, Lista Bonino, non le era piaciuto. Anche i referendum… che poi, come tutti noi, li si va a votare comunque. Certo, a livello politico, era un po’ senza terra, perché poi, anche i Verdi italiani non è che li sopportasse tanto. L’unica cosa che probabilmente la teneva politicamente ancora viva era stare a Bruxelles, dove comunque non hai il senso opprimente della partitocrazia italiana. Hai la tua agenda, ma sei anche più libera di muoverti. Tra l’altro, al parlamento europeo i Verdi erano tutti diversi, una serie di pazzi furiosi, i nordici con cui lei litigava spesso, i tedeschi… Loro, appena eletta, l’avevano vista come una radicale e quindi un po’ come una serpe in seno. In realtà invece è stata molto amata e apprezzata al Parlamento Europeo. Appena eletta, si era trasferita a Bruxelles in maniera permanente e si era messa a lavorare sodo, facendo un sacco di cose importanti. Tant’è che divenne anche presidente del gruppo. In Italia invece fu un po’ dimenticata, ma quando uno fa politica internazionale è abbastanza normale. Credo che siano comunque stati degli anni belli dal punto di vista professionale. Lei era un’europeista da padre fondatore, era per un’Europa politicamente unita, per cui anche questo ruolo del parlamento praticamente nullo le dispiaceva…Due cose sicuramente l’avevano molto appassionata. Intanto, essendo nella delegazione della Cina, era andata in viaggio in Cina e in Tibet. E poi aveva fatto un viaggio in Romania, quando ancora c’era Ceausescu. Mi ricordo che era tornata sconvolta da quello che aveva visto, in particolare dalla visita agli orfanotrofi. Come delegazione avevano fatto un po’ un giro dei soliti, però aveva visto anche questi orfanotrofi, i bambini, un’esperienza allucinante. Anche il Tibet l’aveva colpita, un posto splendido. Ma quella era una battaglia cominciata prima, insieme ai Radicali, che però, quando lei ha continuato a portarla avanti anche separatamente, si sono arrabbiati al Parlamento Europeo. Ricordo in particolare quando lei, come presidente del gruppo Inter-Tibet organizzò la visita di Richard Gere al Parlamento Europeo, con conferenza stampa sul Tibet. Fu la donna più invidiata di tutto il Parlamento Europeo. I radicali lì si arrabbiarono perché consideravano quella una loro battaglia; questo la amareggiò molto. Comunque, in quell’occasione, dovettero fare un mini servizio d’ordine per tenere fuori la gente dalla saletta della conferenza stampa, mentre quando era venuto il Dalai Lama nessuno se l’era filato…Tutti gli anni della malattia sono stati molto altalenanti, alcuni momenti buoni, altri meno. Durante la malattia il nostro rapporto è cambiato tantissimo. Conoscevamo una persona capace di affrontare il mondo, che si era sempre presa cura di noi, e improvvisamente eravamo noi a doverci prendere cura di lei. Con lei si parlava apertamente della sua malattia, però restava sempre quella sensazione che tu dovessi essere più forte, più forte anche di lei, così quando aveva quei momenti di tristezza e di depressione noi non potevamo piangere. L’ho cominciata a vedere come una persona che avrebbe potuto non esserci più…Le ultime due volte a Parigi non era stata bene. Il fatto è che l’avevamo sempre vista recuperare… Aveva mostrato ancora voglia di combattere. L’ultimo periodo era stata costretta a trascorrere la maggior parte del tempo a casa, a letto, ma appena si sentiva bene voleva alzarsi; stare a letto per lei era insopportabile. Poi le cose sono peggiorate. Il tracollo l’ha avuto a marzo. Terribili sono state le ultime due settimane. Allora era a casa perché abbiamo sempre pensato che fosse meglio così. E’ stata quasi sempre sotto calmanti e antidolorifici, quindi dormiva sempre, e quando si svegliava era molto agitata.Se non altro il decorso finale è stato abbastanza veloce. In realtà quando era lucida parlavamo in maniera molto normale, il lavoro, la casa, Capalbio; c’erano delle cose che voleva venissero fatte, penso anche perché desiderava che, quando fosse arrivato il momento, tutto fosse in ordine. E quindi mia sorella faceva un po’ il supervisore ai lavori in casa, ai lavori a Capalbio. Ha voluto comprare un letto nuovo, un televisore nuovo…Secondo me anche perché non voleva che ci angosciassimo.Lei ha sempre detto che il giorno in cui sarebbe stato troppo… era contraria all’accanimento terapeutico. Il fatto è che uno non sa mai quando si è arrivati all’accanimento terapeutico. Credo che anche per lei sia sempre stato così. Si rendeva conto che ormai i medici brancolavano nel buio, perché ormai le dicevano: “Non sappiamo che cosa fare”. Ci sono stati dei momenti in cui ha detto: “Io mi faccio dare una pillolina, mi metto lì e dormo. E basta”. Però poi in realtà… Lei era veramente forte, veramente d’acciaio. Quindi avevi sempre l’impressione che dovesse sopravvivere a tutto.Gli ultimi giorni, lei ha aspettato che io arrivassi. Io sono arrivata il venerdì sera e lei è morta sabato mattina. Sono solo contenta di essere stata lì.Mia sorella purtroppo era fuori; l’avevamo chiamata perché non respirava bene e la bombola d’ossigeno si stava esaurendo, così lei era andata a cercarne una. La mamma è morta prima che Francesca arrivasse.Dopo io ho chiamato Roberta, questa sua amica; mio padre stava già arrivando. E tipo dopo mezz’ora Radio Radicale aveva già annunciato la sua morte, per cui siamo stati lì col terrore che qualcuno chiamasse mia sorella che non era ancora arrivata e che lo sapesse da altri.Devo dire che quando è morta vedere tutte le commemorazioni, i pianti, Adelaide di qua, Adelaide di là, beh, ti fanno anche abbastanza arrabbiare. E anche lì, col fatto che il giorno dopo si andava a votare per il referendum, m’hanno detto che Marco a Radio Radicale ha detto: “Oggi che è morta Adelaide Aglietta, ancora di più bisogna andare a votare per i referendum…”. Che proprio se lo poteva risparmiare.Invece ci sono arrivate lettere di gente che magari l’avevano vista una volta, ma delle cose veramente… libri, bigliettini; a Torino i suoi compagni di classe delle elementari hanno messo un annuncio sulla Stampa. Sono usciti degli articoli anche molto belli; Gianni Riotta ha scritto una lettera bellissima. Cioè ti rendi conto di quanta gente è rimasta colpita da lei, gente di cui non sapevi assolutamente niente. Quello è stato bello.Quando noi eravamo bambine lei ci rimaneva molto male quando io e Francesca litigavamo, non le sembrava possibile che potessimo avere degli odi l’una contro l’altra. Allora ci mandava queste lettere fiume, che lei aveva scritto la notte prima piangendo.Questo succedeva già quando vivevamo ancora assieme. Io e mia sorella ci siamo picchiate per tanti anni, abbiamo tutte e due dei caratteri un po’ irruenti e lei cercava di farci ragionare, ma ha sempre voluto capire da dove arrivava tutta quella rabbia. Lei quando ci doveva dire qualcosa ci scriveva. Anche perché, non vedendoci spesso, quella era l’unica maniera per comunicare. Lei tornava sempre a casa tardi la sera, il giorno dopo noi andavamo a scuola prima che lei si alzasse, così ci lasciava quelle lettere, dei messaggi. Nel periodo della malattia abbiamo passato tanto tempo assieme, che è l’unica cosa forse positiva di tutto ciò. E ora anche con mia sorella ci siamo legate molto.
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