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Intervista di Barbara Spinelli a Khalida Toumi Messaoudi: Il mio Islam libero dal terrore

2.10.2004, La Stampa – 2.10.2004
Khalida Toumi Messaoudi è ministro della Cultura del governo algerino, dopo aver combattuto per dieci anni il terrorismo integralista: una lotta che si trasformò in scelta esistenziale il 12 giugno '93, quando la fatwa che la condannava a morte fu affissa alle porte delle moschee d'Algeria.

Tutto, di lei, era inviso agli islamisti violenti: la sua battaglia per la liberazione delle donne, per l'abrogazione del codice della famiglia, per la laicità democratica, per la sopravvivenza del berbero, la sua lingua madre. A seguito della fatwa decise di rimanere in patria e presto venne chiamata la donna coraggio dell'Algeria: cambiava dimora ogni notte, e per sfuggire agli attentatori indossava parrucche di vario colore. La conobbi prima a Parigi poi ad Algeri in quegli anni di terrore, e saperla oggi ai vertici dello Stato fa impressione: se Abdelaziz Bouteflika, presidente dal 1999 ed erede del Fnl (il partito unico che decolonizzò l'Algeria) ha scelto Khalida come ministro della Cultura, nel 2001, vuol dire che l'Algeria ce l'ha fatta, a debellare nella sostanza il terrorismo. Il nuovo codice della famiglia che Khalida reclama dagli Anni 80 e che adesso è pronto non è ancora passato in Parlamento, ma Bouteflika sembra deciso ad andare avanti sino in fondo, qualora la Camera non l'approvasse: se necessario, indirà un referendum.

Spinelli: L'Algeria ce l'ha fatta da sola, senza che l'Occidente intervenisse militarmente esportandovi democrazia. Il Paese non è alle prime armi, non scopre ora Al Qaeda e le ramificazioni del terrorismo afghano. Avendolo contrastato e vinto, è forse il Paese arabo più vaccinato contro il virus, ed è strano che oggi se ne parli tanto poco. Già nei primi Anni 90, quando ebbero inizio i massacri e le decapitazioni terroriste di uomini e donne a opera del Fis o del Gia (Fronte Islamico di Salvezza e Gruppo Islamico Armato), Khalida fu chiara: «Questa non è una guerra civile», disse più volte, criticando la stampa occidentale. «Questa è una guerra contro i civili».
Khalida conosce quindi da molto tempo il pericolo mortale che si nasconde nell'uso politico della sua religione, l'Islam. Non ha aspettato l'11 settembre 2001, o il massacro a Beslan, per accorgersi, come è accaduto recentemente a Abdulrahman Al-Rashed, editorialista del quotidiano arabo Asharq Al-Awsat, che «La maggior parte degli autori di attentati suicidi nel mondo, da dieci anni a questa parte, sono musulmani». «Dobbiamo ammettere questa realtà scandalosa», scrive il giornalista arabo, che è anche dirigente della rete televisiva Al-Arabiya, «dobbiamo ammettere che i nostri terroristi sono il prodotto finale della nostra cultura corrotta». Tutte queste cose Khalida le sa per averle vissute in prima persona, e tuttavia è convinta che sia la politica ad aver sequestrato l'Islam, e non viceversa. Tanto più importante è sapere, oggi, quel che pensa della lotta algerina al terrorismo, e della politica di Bush.


Khalida: «In Algeria sono stati i civili stessi - ai quali Fis e Gia avevano dichiarato guerra, già prima delle elezioni del '91 - a resistere e a vincere. Hanno resistito con il loro comportamento, rifiutando di piegarsi ai ricatti degli islamisti. Questi vietavano le televisioni paraboliche promettendo sangue a chi le utilizzava, e i tetti delle case si coprirono di paraboliche. Minacciavano d'uccidere le donne che non portavano il jihab, e le donne continuarono a girare per città e villaggi senza velo. Di questa resistenza le donne sono state protagoniste, e Bouteflika l'ha capito: altrimenti non avrebbe scelto una laica e femminista, per un ministero che gli islamisti considerano di primaria importanza, e non avrebbe promesso di andare sino in fondo, nella riforma del codice della famiglia. Un codice infame, che il partito unico concordò con gli integralisti islamici nel 1984 e che tratta la donna come una minorenne bisognosa di tutori in tutte le tappe della sua esistenza adulta: matrimonio, divorzio, tutela dei figli, eredità, trasmissione della nazionalità. Queste sono le battaglie da fare contro il terrorismo. Esse hanno la questione femminile al proprio centro, perché per gli islamisti la donna simboleggia la libertà dell'individuo in quanto tale: libertà che non è esclusa dall'Islam in sé e per sé, ma dall'uso politico che di esso fanno gli integralisti. Non a caso Bouteflika ha fatto in modo che il nuovo codice della famiglia fosse compatibile con l'Islam, e per i principali articoli della legge ha consultato esperti religiosi ottenendo risposte positive. Nell'Islam ci sono in realtà vari "riti", varie scuole d'interpretazione, e si tratta di trovare il rito più adatto alle leggi liberali che s'intendono promulgare: non è difficile trovarlo, se si ha l'intelligenza di cercare l'interpretazione giusta. Tutto questo è possibile a una condizione, però: la popolazione deve esser persuasa che la battaglia la riguarda personalmente, e non le è imposta dall'esterno».

Spinelli: I neoconservatori in America sembrano convinti che questi risultati siano a volte ottenibili esportando militarmente democrazia.

«Washington non è intervenuta per liberare l'Iraq, ma per mettere le mani sul suo petrolio e controllare il Golfo. Inoltre non c'era violenza islamista, prima che invadessero il Paese. La violenza che c'è oggi è scoppiata dopo, e non so davvero come si possa fronteggiarla nel caos che hanno creato. In Algeria, poi, le amministrazioni Usa non hanno fatto nulla, ma proprio nulla, per aiutarci nel decennio del terrorismo acuto. Anzi, per sette anni hanno di fatto appoggiato il Fis. Come dimenticare che uno dei principali firmatari islamisti dell'accordo di Sant'Egidio, l'intesa che nel 1995 volle scendere a patti coi terroristi, viveva ben protetto negli Stati Uniti? Come dimenticare che per anni gli Stati Uniti hanno aiutato, finanziato e addestrato Bin Laden, e vari terroristi in Afghanistan, Sudan, Libano? L'Algeria è stata completamente sola, nella sua resistenza. Abbandonata dall'intero mondo civile, che oggi si risveglia e scopre quant'è minaccioso il terrorismo per la civiltà».

L'amministrazione Usa non nega di essersi sbagliata, in passato. Adesso dice di voler correggere gli errori con la guerra in Iraq.

«Il terrorismo s'è aggravato drammaticamente, a seguito della guerra in Iraq. Noi in Algeria siamo in realtà un caso a parte, perché con tutto quel che abbiamo sofferto siamo vaccinati. Anche se volessero risorgere, gli islamisti non avrebbero più alcun successo, da noi. Il nostro è l'unico Paese dove le riforme democratiche si stanno facendo senza pressioni. Così alto è il prezzo che le algerine e gli algerini hanno pagato per ottenere la libertà e la laicità, che non le sacrificheranno. Dieci anni di terrore, 200.000 morti, 20 miliardi di dollari di distruzione a causa degli attentati - distruzione di case, fabbriche, ponti, villaggi: tutto ciò rende irreversibili certe conquiste di libertà. In Algeria gli islamisti non possono più promettere il paradiso, perché s'è visto di che stoffa è fatto il loro paradiso. Forse si rifaranno vivi fra trent'anni, chissà. Per il momento non possono più dire che le donne sono dei mostri, perché la gente ha visto come le donne hanno saputo resistere».


E nel resto del mondo musulmano, che effetto ha la guerra di Bush?

«Nel resto del mondo musulmano la guerra ha acceso le speranze degli integralisti terroristi, ovunque. L'Iraq è divenuto una base strategica, per le loro operazioni. In Marocco il radicalismo islamista sta crescendo enormemente, anche se il Maghreb nel suo complesso è più liberale. Il fatto è che la guerra in Iraq ha creato in una grande nazione quel che già è successo nei territori palestinesi: l'intreccio mortifero tra movimenti di liberazione nazionale e terrorismo. Ci sono infatti Paesi - e l'Iraq è uno di essi - che non sopportano di essere occupati, anche se si promette loro la più bella delle democrazie. Neppure gli algerini lo sopporterebbero, avendo alle spalle una guerra di liberazione anticoloniale. La politica americana è una catastrofe, e mi chiedo se l'amministrazione abbia preso le misure di quel che sta facendo e di quel che significa il suo modo di far politica nel mondo».

La vostra strada, in fondo, è la vera speranza di chi - nei Paesi arabi - vuol evitare il trionfo del terrorismo religioso. Grazie alla resistenza popolare d'un decennio e alla battaglie che Lei sta facendo sul codice della famiglia, l'islamismo è praticamente messo a tacere in Algeria.

«Il codice della famiglia è una ipoteca islamica messa sulla società algerina. Vorrei ricordare i suoi paragrafi più vergognosi, che adesso si vogliono abolire. Nel codice dell'84 la donna non può concludere da sola un matrimonio, ma deve farlo attraverso un tutore: il padre, il fratello, un parente stretto, o altrimenti un giudice. Nel nuovo testo, l'età legale per sposarsi è 19 anni, per l'uomo come per la donna, e nessuno ha più bisogno di tutori. Poi ci sono i cambiamenti che riguardano il divorzio. Nel vecchio codice l'uomo può divorziare anche senza una ragione specifica, mentre la donna no. Nel nuovo testo, uomo e donna sono su un piede d'uguaglianza. Chi divorzia unilateralmente deve pagare danni e alimenti: un dovere che prima non c'era per l'uomo. Prima il marito conservava il diritto di restare nel domicilio coniugale anche quando la moglie aveva figli, adesso è obbligato a dare un alloggio alla moglie e ai figli, o a pagarle l'equivalente d'un affitto, o a lasciarle la casa comune. Anche la tutela dei figli è garantita. Prima la donna poteva tenere i figli ma non ne aveva la tutela, ora se ottiene la custodia ha anche la tutela giuridica. Infine, la poligamia è resa praticamente impossibile. Per poter prendere una seconda moglie è necessaria l'autorizzazione di un giudice, e tra le spose deve esserci uguaglianza di trattamento: un punto che manda in bestia gli integralisti. Riforme simili erano del tutto inimmaginabili, cinque anni fa».

In fondo l'Europa potrebbe far molto di più, per Algeria e Maghreb. Potrebbe scommettere sulla loro democratizzazione, così come forse scommetterà sulla democratizzazione dell'Islam in Turchia.

«Se l'Europa chiuderà alla Turchia, non sarà per motivi politici. Questo pensa la maggior parte degli algerini: se l'Europa chiude, è per motivi di carattere religioso-culturale, se non razziale. La verità è che l'Unione non vuol saperne, di ammettere in casa dei musulmani. L'Europa, dal nostro punto di vista, non è molto più dello spazio Schengen: per noi è come un muro di Berlino, spostato sulla riva Sud del Mediterraneo».

Quel che insegna l'Algeria è anche che la democrazia non è riducibile alle elezioni e al governo della maggioranza. Ricordo bene come voi democratici e laici, in Algeria, appoggiaste la decisione dei generali di sospendere le legislative, nel gennaio 1992, dopo un primo turno che aveva visto il trionfo del Fronte Islamico di Salvezza. In fondo, la riuscita del modello algerino presuppone anche uno Stato forte, oltre alla resistenza. È quello che l'Iraq, adesso, non ha più.

«L'intervento Usa ha totalmente sfasciato lo Stato iracheno, e dunque l'esperienza dell'Algeria non può servirgli da modello. Comunque è vero, la democrazia non si fa senza Stato e non si fa solo con le elezioni. La democrazia ha il dovere di proteggere le minoranze e di fondarsi su una costituzione che garantisca l'alternanza. Il Fronte Islamico di Salvezza prometteva una vittoria democratica alla Hitler, senza più alternanze. È una fortuna per tutti noi, che il voto sia stato sospeso e che una resistenza abbia potuto formarsi. Il suffragio universale non è l'unico ingrediente di cui è fatta la democrazia. Quanto all'Iraq, non vedo la presenza di alcun ingrediente democratico, visto lo sfacelo d'ogni struttura statale. È il motivo per cui son convinta che i governanti americani non avessero intenzione alcuna d'esportarvi democrazia. A giudicare da come si son comportati si direbbe che volessero proprio questo caos, purché i pozzi petroliferi fossero relativamente protetti».

(Per gentile concessione dell’autrice. I suoi interventi sono raccolti nel sito http://www.lastampa.it/_WEB/_P_VISTA/spinelli/
Tra i libri pubblicati da Barbara Spinelli ricordiamo “Il sonno della memoria. L’Europa dei totalitarismi” Mondadori 2001
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