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Khalida Messaoudi, Soheib Beincheikh, Omar Belhouchet, Amdré: Con i patrioti algerini

1.2.1988, UNA CITTÀ n. 65 / Febbraio 1998
L’incredibile atteggiamento di chi, di fronte ai terroristi che rivendicano le stragi, afferma: "non siete stati voi". L’ipocrisia europea che grida, in casa propria, che "con i terroristi non si tratta" e propone in Algeria che si tratti con chi sgozza donne e bambini. Una teologia aberrante, nata in ambienti medievali, dominati da clan e tribù, che tradisce la stessa lettera dell’islam. L’agghiacciante racconto di una sopravvissuta. La serata della Mutualité.

In queste pagine presentiamo brani tratti dagli interventi di alcuni partecipanti alla serata "Algérie: le silence tue" (Algeria: il silenzio uccide, ndt), svoltasi nella sala parigina della Mutualité, mercoledì 21 gennaio. Di fronte a una platea di circa 4 mila persone hanno parlato personalità algerine, come Khalida Messaoudi, Soheib Bencheikh, muftì di Marsiglia, e Omar Belhouchet, direttore del quotidiano indipendente El Watan, e francesi, intellettuali come André Glucksmann, Bernard Henri-Lévy, Pascal Bruckner, e politici come Jack Lang, per i socialisti, Alain Madelin e Robert Bayrou, per la destra.

Brice Lalonde
Questa serata nasce da un triplice sentimento di rivolta.
Una rivolta di fronte ai massacri. Una rivolta di fronte all’inazione delle forze politiche europee. E, infine, una rivolta di fronte al conformismo benpensante che tende a mettere sullo stesso piano tutti i protagonisti della crisi algerina: coloro, i detentori del potere, che non sono certamente democratici e coloro che, prendendo a pretesto il carattere non democratico di quelli, si arrogano il diritto di uccidere donne e bambini. Ebbene, bisogna affermare chiaramente che nessuno possiede un diritto del genere!

Omar Belhouchet,
direttore del quotidiano El Watan
Gli islamisti hanno, nel mio paese, una strategia basata sui massacri. L’opinione pubblica francese, gli uomini politici e gli intellettuali francesi sanno oggi che non si possono voltare indefinitamente le spalle alla verità. Certo, la mancanza di trasparenza del potere algerino, le gravi violazioni dei diritti dell’uomo, le pressioni che il potere esercita sulla stampa indipendente, rendono difficile la comprensione di quel che effettivamente succede nel mio paese. Ma il dubbio sentenzioso "chi uccide chi?" non ha alcun senso. L’islamismo armato in Algeria non è una finzione, è una realtà che provoca molti lutti al mio popolo.

Robert Badinter
In Algeria, oggi, alcune cose sono evidenti. La prima è che i massacri, gli omicidi collettivi, gli stupri di massa, gli sgozzamenti di bambini e neonati hanno un nome ben preciso: sono crimini contro l’umanità. Si tratta dei crimini più gravi che si possano commettere, perché nella persona delle vittime colpiscono l’umanità intera. Questo vuol dire che attraverso ogni persona che viene assassinata, torturata o violentata oggi in Algeria siamo noi tutti ad essere direttamente colpiti. Tutto ciò implica che nessuno stato, alla fine di questo secolo così segnato da crimini contro l’umanità, può rifiutarsi di aprire le porte a chi vuol fare conoscere la verità su crimini di tale portata. Al di là della sovranità degli stati c’è l’umanità.

Jacques Julliard, redattore
del settimanale Le Nouvel Observateur
Vorrei dire alcune cose molto semplici, perfino banali. La prima è che il terrorismo ha sempre tratto profitto dalla stanchezza delle popolazioni, delle autorità, dell’opinione pubblica, nazionale e internazionale. E’ lo scoramento che conduce pian piano ad accettare l’inaccettabile. Se è vero che sono gli algerini ad essere massacrati, è il mondo intero che i terroristi vogliono far cedere. Noi siamo qui, questa sera, per affermare quel che tutti sanno, ma che alcuni negano, e cioè che gli assassini sono in primo luogo gli islamisti. Sono loro stessi a dirlo! Eppure, si trova sempre qualcuno pronto a discolparli. La cortina fumogena sparsa intorno all’identità degli assassini è un’arma potente nelle mani di questi ultimi. Infatti, se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. Se tutti hanno le mani lorde di sangue, tutti hanno le mani pulite. Noi conosciamo bene i crimini cui porta la repressione. Non c’è bisogno di negarli né di nasconderli. Sappiamo bene che ogni repressione comporta violenze e ingiustizie inaccettabili. Ma dire che i crimini degli islamisti e la repressione sono la stessa cosa rappresenta il primo passo verso la capitolazione di fronte al terrorismo.

Bernard Henri-Lévy
Vorrei lanciare un appello ai governanti europei per dire loro che ne abbiamo abbastanza di veder messi fianco a fianco i terroristi e coloro che li combattono. Mettere tutti sullo stesso piano, infatti, costituisce un’assoluzione per gli assassini, significa concedere loro proprio quel che rivendicano. Vorrei dire ai governanti europei che ne abbiamo abbastanza di sentir dire a Parigi: "Non si transige con i terroristi. Non si transige con chi massacra i bambini" e, poi, sentir affermare ad Algeri, quando si spacca la testa di un neonato contro la porta di una casa calcinata: "Bisogna cercare un compromesso con loro". Ciò che vale a Parigi, deve valere anche ad Algeri!
Vorrei dire ai governanti europei che non si può continuare a giustificare i terroristi con la scusa della miseria, della disoccupazione e della disperazione di cui sarebbero vittime i giovani algerini. Forse che i campi di concentramento hitleriani furono il prodotto della crisi del ’29? Nessuno oggi potrebbe sostenere una tesi simile!
Vorrei dire ai nostri rappresentanti che quando si massacra un popolo fratello, com’è il popolo algerino, non ci sono più frontiere. La realpolitik deve cedere il passo! Vorrei inoltre rivolgermi al governo algerino. Penso, come voi tutti, che la domanda "chi uccide chi?" sia una domanda oscena. Ma penso nondimeno che lo stato algerino, come ogni stato che si rispetti, debba garantire la vita dei propri cittadini. Eppure perché a Larbaa ci sono stati tre massacri? Perché gli assassini sono venuti tre volte in piena notte a prendere le donne, a sgozzare i bambini, prima che il governo decidesse di armare la popolazione di Larbaa? Perché a Bentalha, altra località della Mitidja, la popolazione civile ha chiesto armi per difendersi e il governo si è rifiutato di dargliele? Perché quel che si è fatto per le installazioni petrolifere nel Sahara, di cui ho potuto visitare i giganteschi dispositivi di sicurezza, non è stato fatto per le città e i villaggi della regione di Orano e della Mitidja? Sappiamo bene che la lotta contro il terrorismo non è facile. Governi più democratici e meglio armati del governo algerino sono stati battuti dal terrorismo. Tuttavia, non possiamo non chiedere almeno questo al governo di Algeri. Alla radio, l’altro giorno, il Ministro degli Interni algerino diceva: "Ma noi non possiamo mettere un soldato dietro ogni cittadino". Ma è proprio questo che dovrebbe fare! Di fronte all’orrore, di fronte a una situazione eccezionale, com’è quella odierna, occorrono mezzi eccezionali. La mobilitazione generale dell’Algeria popolare, la leva in massa dei soldati e dei patrioti che richiedono le armi per difendersi mi sembrano risposte più appropriate di quelle avanzate da qualche pessimista in Francia.
Vorrei concludere rivolgendomi a quei dirigenti islamisti che dall’inizio degli anni Ottanta hanno diffuso e armato l’odio che si sta abbattendo oggi sull’Algeria. Vorrei rivolgermi a chi, in esilio a Londra o in patria ad Algeri, ha armato questa macchina infernale. Vorrei rivolgermi a chi, fra di essi, prova orrore per le conseguenze di quanto ha predicato. Vorrei dirgli che quel che il mondo civile si aspetta da loro è, certo, un appello per la fine, immediata e senza condizioni, dei massacri. Ma è anche vero che ci aspettiamo da loro che dichiarino essere un sacrilegio blasfemo nei confronti dell’islam, del Profeta e del Corano la fatwa che legittima gli stupri e i matrimoni temporanei con le ragazze e le donne rapite nei villaggi della Mitidja. Noi ci aspettiamo che condannino come un sacrilegio verso Dio il ricorso al massacro, alla morte come mezzo di azione politica o come via di accesso per il credente verso non so quale santità. Noi ci aspettiamo che dichiarino solennemente che tutto ciò è contrario al nome e alla tradizione dell’islam.
Vorrei che quegli islamisti moderati che si trovano a Londra, a Bruxelles, a Parigi o ad Algeri, chiedano perdono per i crimini che hanno provocato e legittimato e di cui sono responsabili, anche se non ne sono gli autori. Vorrei chiedessero perdono sicuramente alle vittime e ai sopravvissuti, ma anche a tutti i credenti nell’islam, di cui credo insultino la fede.

André Glucksmann
Vorrei leggere il messaggio che ho ricevuto qualche giorno fa, firmato da Vladimir Bukovskij, ex-prigioniero del Gulag sovietico, Leonid Pliusc, ex-internato negli ospedali psichiatrici sovietici, e Armando Valladares, che ha conosciuto le prigioni di Castro. In questa lettera scrivono: "Una volta ancora, com’è loro abitudine, i governi, le organizzazioni internazionali, i politici danno prova di un’impotenza decisamente congenita non solo ad opporsi, ma anche a chiamare per nome quanto è classificabile come un crimine contro l’umanità, prima che gli stessi assassini non li autorizzino a farlo. Il tempo degli assassini è venuto questa volta in Algeria. Noi vogliamo esprimere qui il nostro appoggio e la nostra solidarietà a tutti i democratici algerini, alla loro lotta, ai loro discorsi di resistenza, che risuonano così stranamente familiari a noi, che abbiamo resistito al Gulag. Vogliamo esprimere la nostra compassione a tutte le persone disarmate, massacrate, proprio com’è accaduto da noi, nell’assoluta impunità e nell’assoluto silenzio delle nazioni".

Khalida Messaoudi
Quando ci dicono che la sola soluzione è il dialogo fra tutte le forze politiche senza esclusioni, noi, i bougnouls, comprendiamo che così si vuole la riabilitazione dell’ex-Fis (Fronte islamico di salvezza, ndt). Quando ci dicono che il potere algerino è marcio, noi democratici siamo d’accordo. Quando ci dicono che questo regime deve andarsene, noi siamo d’accordo. Quando ci dicono che c’è una forza, i Gia (Gruppi islamici armati, ndt), che ha una notevole capacità di nuocere, siamo d’accordo. Ambienti politici che in principio non hanno niente a che vedere con il Fis pensano di utilizzare la violenza dei Gia per far pressioni sul potere algerino e forzarlo a spartire qualche briciola di potere con loro. Allora, noi bougnouls, che viviamo nel nostro paese, vi rivolgiamo una domanda molto semplice: da quando, e dove mai si sono visti dei totalitarismi spendere la loro forza a profitto di altre forze per condividere con queste il potere? I totalitari prendono tutto, non lasciano niente agli altri!
Noi democratici algerini vi diciamo che il dolore che viviamo ci basta, che c’è già abbastanza odio intorno a noi e contro di noi. Sappiamo bene che si può non essere d’accordo con noi, ma, in questo caso, è sufficiente combatterci politicamente, senza applicare il principio fascista: "Denigrate, denigrate, qualcosa resterà!". Noi lottiamo contro l’odio, affinché l’odio non abiti i nostri cuori. Non ci sarà mai odio in noi contro chi ci ingiuria e ci denigra.

Zoubida, 23 anni, della regione di Blida
Mio fratello si era unito a un gruppo dei Gia e si era nascosto sulle montagne della regione di Blida. Restò con loro fino al giorno in cui il suo gruppo rapì una ragazza per violentarla. Era l’estate scorsa. Mio fratello restò sconvolto da questo rapimento e disse ai suoi compagni che quanto stavano facendo era contrario alla religione musulmana. Decise quindi di scappare con la ragazza per riconsegnarla ai suoi. Una volta fuggito, mio fratello raggiunse con la ragazza i miei genitori. Però, il gruppo dei Gia ben presto lo raggiunse e gli tagliò la testa, mentre la ragazza venne ferita. Il giorno successivo ridiscesero dalla montagna per attaccare il mio villaggio. Com’è noto, in Algeria la popolazione di un villaggio appartiene tutta allo stesso clan famigliare. Così gli uomini dei Gia massacrarono tutta la mia famiglia e rapirono me, insieme a sette mie cugine. Dopo aver bruciato le case, ci costrinsero a portare le provviste come fossimo bestie da soma. Io ho dovuto portare un sacco di 25 chili di farina per tre ore finché non siamo arrivati al loro nascondiglio sulla montagna. Lì ci condussero ai piedi del loro emiro. Questi era Antar Zouabri, l’emiro nazionale dei Gia. Lì vidi alcune donne rapite in precedenza. In genere, quando arrivano nuove ragazze, quelle rapite in precedenza vengono immediatamente ammazzate. Quando arrivai, venni subito violentata dall’emiro. Poi, altri trentasette uomini del suo gruppo mi hanno violentata. Pensavo che l’islam non permettesse questo tipo di azioni. Rimasi sconvolta dal fatto che Antar Zouabri, che parla in nome dell’islam, potesse far questo.
La nostra vita sulla montagna consisteva nel molare la farina, far da mangiare, lavare i panni, essere violentate. Ogni notte dovevo passarla con un uomo diverso. Durante il giorno ero usata come bestia da soma, non potevo permettermi di dire che ero stanca. Alcuni uomini del gruppo di Zouabri vivevano con le loro mogli. Queste donne erano chiamate "libere", mentre noi eravamo chiamate "schiave" o "puttane". Così noi dovevamo lavorare sia per i terroristi che per le loro mogli.
Sono rimasta loro prigioniera per due mesi e mezzo. A metà del secondo mese cominciarono a picchiarmi e a torturarmi. Capii che ben presto mi avrebbero uccisa, perché nel frattempo erano arrivate altre ragazze rapite. Una ragazza, che era stata rapita insieme a me, venne infatti uccisa. Una notte, mi mandarono a cercare dell’acqua. Decisi allora di scappare, anche a costo di morire. Invece di scendere dalla montagna verso la pianura, la cosa più semplice da fare, decisi di risalire la montagna. In mezz’ora giunsi alla vetta. Sentii che mi stavano cercando. Una volta in cima, vidi di lontano la caserma dell’esercito: stimai che fosse ad almeno cinque giorni di marcia dal luogo in cui mi trovavo. Corsi tutta la notte, finché non scoprii un sentiero che portava dritto alla caserma. Una volta arrivata, raccontai di essere stata rapita insieme ad altre ragazze dagli uomini dei Gia. Adesso vivo con una nuova famiglia che mi protegge.

Soheib Bencheikh, muftì di Marsiglia
Il popolo algerino è un popolo di credenti, vittima di questa barbarie, di cui non è colpevole. Non dimentichiamo che nel nome di Cristo, che ha ridato la vista ai ciechi, che ha risuscitato i morti, si è ucciso, si sono accecati uomini, si sono compiuti massacri. Forse che Cristo è responsabile di quelle atrocità? Noi musulmani di Francia siamo presi tra due fuochi. Siamo doppiamente colpiti e feriti dalla testimonianza che abbiamo appena ascoltato. Se veramente è la fede musulmana ad essere colpevole di quanto avviene in Algeria, non c’è alcuna speranza. Ma non accusate una civiltà vecchia di quattordici secoli!
Quanto avviene in Algeria non riguarda solo gli algerini. Algerini o meno, credenti o meno, musulmani o meno, tutti hanno il diritto di interrogarsi. Sapete da dove nasce quel che sta accadendo in Algeria? Sono parecchi anni che i Gia affermano di agire come un esercito di chierici. In verità, sono dei ladri, convertiti a un islamismo miserabile. Da molti anni vediamo persone uccise o violentate in massa. Da molti anni ascoltiamo solo analisi politiche. Da molti anni ascoltiamo analisi psichiatriche che ci dicono che i terroristi sono degli psicopatici o dei folli, mentre il popolo algerino muore giorno dopo giorno. Sapete cos’hanno fatto gli uomini dei Gia? Hanno decretato che il governo algerino è un governo empio, seguendo il detto del Corano: "Coloro che non giudicano secondo i comandamenti di Dio sono degli empi". Questo versetto, però, è stato estrapolato dal suo contesto: in realtà è un bel versetto, perché è un invito fatto ai cristiani e agli ebrei a vivere secondo la propria rivelazione. Chi conosce il Corano può facilmente rintracciarlo. Ecco la spiegazione letterale di quel versetto. Inoltre, hanno decretato che il popolo che non si ribella a un governo empio è un popolo di rinnegati. Essere dei rinnegati è molto più grave che essere degli empi, perché al rinnegato viene applicata la sentenza: "Se uno cambia la sua religione, uccidilo". Ecco perché i Gia non cercano di convincere o indottrinare il popolo algerino: stanno semplicemente applicando una condanna a morte.
La teologia musulmana, come ogni teologia, si situa tra due poli estremi: la razionalità totale e il letteralismo totale. Gli islamisti, in particolare i terroristi, si rifanno a scritti della giurisprudenza musulmana, che purtroppo esistono. Ecco perché io condanno l’ipocrisia dei teologi, anche quelli che adesso condannano i crimini, perché non fanno nulla per rinnovare la teologia musulmana. La massima: "Se uno cambia la sua religione, uccidilo" è stata attribuita al Profeta due secoli dopo la sua morte. Allora, io che sono teologo mi chiedo: come mai un solo hadith (detto del Profeta tramandato dalla tradizione, ndt) può abrogare le decine, le centinaia di versetti che invitano esplicitamente alla libertà religiosa e alla libera scelta di credere o di non credere? Lasciatemi spiegare l’orrore. Che cosa troviamo nel diritto non sacralizzato di una certa giurisprudenza musulmana? I gruppi armati che uccidono rispettano un formalismo e un "giuridismo" estremisti: uccidono adulti e bambini, rapiscono le donne come bottino di guerra, le riducono in schiavitù e l’emiro le distribuisce fra i suoi uomini.
Purtroppo alla fine del XX secolo tutto ciò avviene in Algeria, nel mio amato paese. Un paese di pudore, di moralità, di dignità, di donne fiere e coraggiose!
Ci è stato appena raccontato che le donne rapite non devono nascondere il petto. Sapete perché? Sempre secondo le stesse interpretazioni estremiste del diritto musulmano, le donne libere devono velarsi, mentre le schiave non devono velarsi il petto. Negli anni Sessanta i paesi musulmani hanno optato, quasi tutti, per la modernità politica, diventando monarchie costituzionali o repubbliche. Eppure, nonostante questa modernizzazione politica, non è stata intrapresa alcuna riforma della teologia musulmana, per metterla al passo con questo secolo. Quella che oggi passa per tradizione, delle donne velate o meno, non fa parte del Corano, ma è un’interpretazione del Corano elaborata fra il IX e il XII secolo in una società tribale e strutturata su clan familiari.
In questa interpretazione non troviamo la modernità, ma un mondo di principi, emiri e dinastie... In breve, un mondo medioevale. Finché i musulmani non rinnoveranno la loro teologia, vivranno sempre uno scollamento pericoloso fra il loro status di cittadini e il loro status di credenti.

Pascal Bruckner
In Francia c’è una corrente di simpatia per l’islamismo del Fis, a destra come a sinistra, fra gli intellettuali come fra gli uomini politici. Molti fra coloro che un tempo sostenevano l’Fln (Fronte di liberazione nazionale, partito unico dal 1962 al 1989, ndt) in nome dell’anticolonialismo, chiudendo gli occhi sulla confisca del potere da questi operata e su quella miscela così funesta per l’Algeria di bigottismo e sovietismo, ripongono oggi le proprie speranze sul Fis, considerato il solo e unico rappresentante del popolo algerino a fronte di un governo spregevole e corrotto. Questa simpatia viene giustificata in nome della cultura e della giustizia sociale. Dopo tutto, si dice, gli algerini sono musulmani, l’islam è il loro destino, un po’ di shari’a non farà loro del male. In breve, si accetta per gli algerini ciò che non si vorrebbe per sé, qui a Parigi: la dittatura teocratica. A noi i diritti dell’uomo, a loro la barbarie. Questa atteggiamento ha un nome molto semplice: neo-colonialismo. Esso consiste nel rifiutare ai popoli del sud del Mediterraneo le libertà di cui noi godiamo in Europa.
Vorrei sottolineare che l’opposizione fra dialoghisti e sradicatori è ormai caduca. Prendiamo un attimo in considerazione il punto di vista dei dialoghisti. Immaginiamo che per miracolo un Fis convertito ai valori laici e al pluralismo condivida il potere con altri partiti democratici. Ma le divisioni e i dissensi fra il Fis, l’Ais (Esercito islamico di salvezza, braccio armato del Fis, ndt) e i Gia sono ormai tali che, se anche il Fis arrivasse al potere, la guerra totale continuerebbe.
Il governo algerino gode di una impopolarità rara nel mondo di oggi. Condivide con i suoi avversari molti valori comuni, a cominciare dal disprezzo per il popolo e l’opinione pubblica, tanto che spesso li si confonde in una identica condanna. E tuttavia non si tratta della stessa cosa, perché il governo algerino, quali che siano le sue colpe, deve rendere conto al resto del mondo, è sensibile alle pressioni internazionali. Per questo sono d’accordo che la Francia e i governi europei aiutino il governo algerino nella lotta al terrorismo. Ma questo aiuto deve essere subordinato all’allargamento delle libertà fondamentali e all’impegno a difendere le popolazioni in pericolo. Certo, la guerra che sconvolge oggi l’Algeria è una guerra totale. Domani, forse, bisognerà dialogare, ma per far questo bisogna prima di tutto che gli islamisti siano sconfitti militarmente.

Jean-François Kahn,
direttore della rivista Marianne
In Francia e in Europa siamo tutti d’accordo su alcuni punti. Certo, siamo tutti contro l’orrore. Certo, siamo tutti perché in Algeria ci sia molta più democrazia. Non una neo-democrazia, non una semi-democrazia, ma una vera democrazia. Certo, siamo tutti d’accordo che finché in Algeria persiste questo stato di miseria il terrorismo potrà reclutare sempre nuovi assassini.
Siamo d’accordo nel dire che bisogna difendere la popolazione e non i gruppi petroliferi.
Detto questo, però, bisogna riconoscere che ci sono alcune divergenze. Qualcuno, infatti, dice: "Non si sa chi uccide". Ma è perché noi sappiamo chi è a uccidere che siamo qui! E noi lo sappiamo perché sono gli stessi assassini a dirlo. Questa è sicuramente la prima volta nella storia in cui, sebbene gli assassini dicano: "Siamo noi a uccidere", gli si risponde: "Non è vero!". Qualcun altro mette nello stesso sacco il potere, l’esercito, i Gia, gli sradicatori, eccetera. E noi siamo qui a dire: "Non possiamo mettere gli uni e gli altri sullo stesso piano". Forse che prima della guerra c’è stato un solo democratico che abbia pensato che il cancelliere austriaco Dollfuss, così conservatore, così poco democratico, che aveva fatto sparare sui socialisti nei sobborghi di Vienna, era da mettere sullo stesso piano di Hitler? Nessun democratico ha mai pensato ciò!
Qualcun altro ancora dice che i democratici, e il popolo che chiede armi per difendersi, sono degli sradicatori, in tutto simili ai terroristi, perché responsabili della guerra civile. Noi siamo qui a dire che i democratici che si difendono e lottano non sono sullo stesso piano di chi viene la notte ad assassinarli e sterminarli.

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