Premio Internazionale Premio Internazionale Premio 1997 Algeria

Premio regolamento Libro Premi Langer alla CAmera Excursus Premi Langer dal 1997 al 2023 Anna Bravo: il filo rosso dei Premi I premi 1997-2018 Premio 1997 Algeria
motivazione
Premio 1998 Ruanda Premio 1999 Cina Premio 2000 Kosovo-Serbia Premio 2003 Italia Premio 2004 Polonia Premio 2001 Israel-Palest. Premio 2002 Ecuador Premio 2005 Bosnia Erzegovina Premio 2007 Sudafrica Premio 2006 Indonesia Premio 2008: Somalia premio 2009: Iran premio 2010 Fondazione Stava premio 2011 Haiti premio 2012 Tunisia premio 2013 - Donatori di musica Premio 2014 Borderline Sicilia Premio 2015 - Adopt, Srebrenica premio 2017 - Angalià - Asgi premio 2018 - Istituto Arava
premi Langer 1997- 2011 (18) Premio 2004 (2) Premio 2005 (13) Premio 2006 (8) Premio 2007 (15) premio 2008 (18) premio 2008 -II (18) premio 2009 (36) premio 2010 (6) premio 2011 - haiti (36) premio 2012 - Tunisia (26) premio 2013 - Donatori di musica (15)

Khalida Messaoudi: L'Algeria forse ha salvato il mondo...

1.10.2001, UNA CITTÀ n. 99 / ottobre 2001
Un’ideologia totalitaria che usa la religione per imporre un dominio orribile innanzitutto e soprattutto sulle donne. Una guerra iniziata da anni in cui il popolo algerino ha combattuto una battaglia decisiva. Le colpe dell’America che appoggiò i talebani e dell’Europa che simpatizzò per il Fis algerino. Il sostegno alla lotta dei democratici in tutto il mondo. La difficile e contestata transizione algerina. Intervista a Khalida Messaoudi.

Khalida Messaoudi, algerina, femminista e militante democratica, da sempre in prima fila nella lotta contro l’islamismo (il che le costò due fatwe, le condanne a morte degli islamisti), oggi deputata del parlamento ma non più dirigente dell’Rcd (Raggruppamento per la cultura e la democrazia) dal quale è stata espulsa per non aver condiviso la scelta di uscire dal governo di Bouteflika, alla vigilia di quella che per Khalida era, ed è, la prova decisiva di una transizione democratica: il varo della riforma in senso laico dell’istruzione, alla quale Khalida aveva lavorato negli ultimi due anni.

Cosa hai pensato e che riflessioni hai fatto sull’attentato delle Twin Towers soprattutto vedendo che l’Occidente scopriva per la prima volta il fondamentalismo islamico, conosciuto da tempo in Algeria?
L’11 settembre stavo preparando un viaggio a New York, per andare a rappresentare il Parlamento algerino in un’assemblea generale dei parlamenti del mondo sui diritti dei bambini. Così quel giorno ero alla Camera e stavo girando fra i vari uffici per preparare il visto, quando ho visto che nei corridoi la gente correva da tutte le parti, si diceva che c’era stato un attentato negli Stati Uniti. Poi ricordo le immagini in televisione: quegli aerei kamikaze che si schiantano così su edifici immensi, che colpiscono i simboli stessi degli Stati Uniti; è stato qualcosa di spaventoso. Ma subito ho anche pensato: adesso le capitali occidentali, gli Stati Uniti per primi, capiranno che hanno a che fare con un nemico molto particolare, perché non ha un volto, non ha un indirizzo, le cui basi non sono in un paese preciso e che può trovarsi da qualunque parte, che è capace di usare le ultime tecnologie; capiranno che è di questo che si tratta? Capiranno che le strategie di lotta non possono essere quelle classiche? Gli Stati Uniti capiranno che il principio motore di questo nemico è un’ideologia totalitaria? I primi pensieri sono state queste domande, e continuo a pormele, purtroppo non sono sicura che gli Stati Uniti abbiano capito. Di certo l’Europa non capisce e non vuol capire.
Perché pensi che non abbiano capito?
Penso che non abbiano capito perché vedo il loro atteggiamento nei confronti dell’Algeria. Ora, gli americani, la cui responsabilità è comunque enorme, sono quelli che hanno capito di più, ma i paesi europei restano i più drammaticamente ciechi, sono accecati dal loro rapporto con l’islam che è basato sull’ignoranza totale, su dei fantasmi più che su una conoscenza; nonché, poi, da un antiamericanismo che viene prima di ogni altra cosa. Faccio un esempio semplicissimo: gli americani hanno fatto una lista di organizzazioni e di persone da ricercare, da trovare, da combattere; in questa lista ci sono due organizzazioni algerine, il Gia e il Gspc, che fa parte di Al Qaeda. Ebbene, allora intanto mi aspetterei che l’Europa facesse un bilancio degli ultimi 10 anni e riconoscesse la propria cecità: ogni volta che c’era una strage in Algeria, l’Europa diceva che non sapeva chi fosse ad uccidere, il che si tramutava di fatto in un appoggio al Gia e al Gspc. In secondo luogo, va detto che ogni volta che l’Algeria ha chiesto all’Europa l’estradizione di mandanti e organizzatori di assassinii, di stragi, di compratori e trasportatori di armi, di addestratori di assassini, nessun paese europeo ha mai voluto estradare alcun criminale algerino in Algeria. Solo una volta i francesi hanno estradato un uomo di cui l’Algeria non aveva alcun bisogno.
Credo sinceramente che l’Europa non si sia resa conto che al di là dei suoi interessi particolari in una regione -ammesso che potesse aver interesse a che un paese come l’Algeria venisse destabilizzato- l’integralismo era una vera e propria deriva totalitaria. Non se n’è resa conto, e per troppo tempo ha continuato a dare ascolto a gente che le spiegava che l’islamismo era una specie di guerra di liberazione: era il popolo musulmano che, essendo dominato dall’occidente, voleva liberarsi. Falso: l’islamismo non libera i popoli, li opprime, li schiaccia. Poi le organizzazioni islamiche storicamente sono state create -non lo dico io, lo dicono libri occidentali ben documentati- per il bisogno di interessi occidentali e non certo di quelli dei popoli musulmani.
Uso quest’espressione -popoli musulmani- ma personalmente non so cosa significhi, come non so bene cosa significhi “popoli cristiani”.
Quindi sono pessimista.
In che senso queste organizzazioni sarebbero state create da occidentali?
Perché i talibani sono stati creati dal Pakistan con l’appoggio degli americani e dell’Arabia Saudita. Per quali necessità? Per necessità ciniche, per bisogni di controllo di ricchezze che sono nella regione del Mar Caspio e che si chiamano idrocarburi, gas, oleodotti, e finora la strategia del Pakistan, sostenuta dagli americani, era di fare di tutto per poter far passare gli oleodotti dall’Afghanistan invece che dall’Iran, che è un nemico degli americani e dei pakistani, oppure da una delle ex repubbliche sovietiche.
Quindi sono interessi puramente materiali di controllo di ricchezza. Ora, quando guardo tutto il lavoro fatto dagli americani e dai pakistani per mettere in piedi un nuovo potere afgano, tutto il lavoro che si fa perché il Pakistan abbia modo di dire la sua in Afghanistan e che abbia un potere su questo paese, sono pessimista: se il Pakistan avrà un controllo sul prossimo governo afgano sarà sempre la stessa storia, non vedo perché le stesse cause non dovrebbero avere le stesse conseguenze.
La resistenza di gran parte del popolo algerino è passata nell’indifferenza dell’Occidente, però ora le cose dovrebbero cambiare…
Credi? Ci sono molte ferite quando parlo, molto dolore perché l’Algeria, gli algerini hanno resistito nella solitudine e nelle avversità; hanno dovuto far fronte all’integralismo interno e ai suoi appoggi all’esterno, con la benedizione, talvolta la complicità, di paesi occidentali. Non mi aspettavo che dopo l’11 settembre il mondo venisse a chiedere scusa agli algerini, ma almeno che ci venissero a chiedere di aiutarli a capire quello che era successo da noi e come avevamo resistito, questo sì.
Invece cosa succede? Le Monde di oggi, per capire cosa succede in Afghanistan, indica tanti libri, ma non c’è un libro sull’Algeria, e non c’è una voce algerina. Il giornale che appartiene al paese occidentale all’Algeria storicamente più vicino cancella l’Algeria dalla questione. E’ normale? Non è normale. Se il mondo volesse lottare veramente contro il terrore integralista andrebbe a rafforzare coloro che resistono a questo terrore. Invece cosa succede? Che dell’Algeria e della resistenza algerina nessuno parla. E bada che due delle organizzazioni che hanno ucciso e che uccidono in Algeria appartengono alla rete di Bin Laden. Come puoi spiegare questo? Questo significa che il terrorismo è cattivo solo quando colpisce gli americani? Che purché resti laggiù, in Algeria, faccia pure…
Ragionamento quanto mai miope…
Non hanno neanche capito che l’integralismo non è un fenomeno nazionale, è un fenomeno transnazionale, non può rimanere imprigionato in un paese, non è possibile, ha bisogno dello spazio di libertà degli occidentali, ha bisogno dei soldi che circolano in occidente, ha bisogno dei mezzi tecnologici e scientifici dell’Occidente. Spero che tutti abbiano notato che i kamikaze non erano dei poveri musulmani affamati, erano bravi ingegneri, bravi piloti. Hai visto come si è mosso l’aereo, il cerchio che ha disegnato? I piloti sono sbalorditi: per poter fare così non basta essere piloti, bisogna essere bravissimi piloti e in ogni caso bravissimi tecnici. Questo mi ricorda cosa mi ha detto il mio vecchio padre, che ha ormai 80 anni, quando gli ho chiesto cosa pensasse: “Bin Laden aveva inviato a noi gli ultimi della classe e i migliori della classe negli Stati Uniti, dipende dal livello di sviluppo!”. Non sto dicendo che il problema in Algeria viene dagli stranieri, sto dicendo che siamo di fronte a una vera organizzazione transnazionale, che non riconosce le frontiere nazionali e le nazionalità. Fra i membri di Al Qaeda che sono stati arrestati ci sono dei francesi, cioè franco-algerini, nati in Francia, cresciuti, educati in Francia. Il nuovo fascismo non ha nazionalità, non ha civiltà, non ha colore, non ha indirizzo, non ha un nome particolare, interviene dappertutto e il peggio è che usa i mezzi più sofisticati che la tecnica e la scienza occidentali hanno inventato.
C’è un altro aspetto che mi fa molta paura ed è l’uso delle armi chimiche e batteriologiche. Credo sinceramente che l’Occidente non ne parli perché ha molta paura e a ragione; si pensi solo alle ex repubbliche sovietiche: dopo il crollo dell’Unione Sovietica non c’è stato nessun controllo e si è venduto di tutto, compresi gli elementi costitutivi dell’arma nucleare. Spero che Dio ci preservi da questo perché, ancora una volta, se gli algerini possono testimoniare qualcosa è che il nuovo totalitarismo non ha alcun rispetto della vita umana, né delle donne, né dei bambini, di nessuno. I primi con i quali i fondamentalisti se la sono presa sono proprio i musulmani: gli algerini sono musulmani. E’ per questo che l’idea della guerra di civiltà è molto pericolosa perché non permette di capire. Non voglio scoraggiare la gente, cerco solo di dire che se si vuole lottare contro il totalitarismo che si sta abbattendo su di noi, bisogna ascoltare gli algerini e accettare di essere modesti, anche riconoscendo che molte ingiustizie sono state fatte contro l’Algeria; bisogna ammettere che le stragi commesse in Algeria sono opera del Gia, del Gspc e che l’Europa si è sbagliata quando diceva “chi uccide chi?”, era un errore, anzi più che un errore: era criminale perché dire che non si sa chi uccide significa assolvere i veri assassini...
La spina dorsale di tutto il terrorismo islamista sono le brigate internazionali che hanno combattuto i sovietici in Afghanistan?
Sì, le brigate internazionali di Bin Laden sono state addestrate in Afghanistan, un paese ideale per questo, soprattutto da quando ci sono i talebani; ma ancor prima, nella guerra che ha opposto gli afgani all’ex Unione Sovietica, c’erano delle brigate internazionali e il dramma è che gli Stati Uniti hanno aiutato queste brigate internazionali, le hanno addestrate, aiutate materialmente, finanziariamente, militarmente e poi se ne sono andati e hanno lasciato lì un mostro. Ecco, il mostro è cresciuto ed è andato a portare la guerra altrove, in particolare in Algeria. In Algeria i primi gruppi armati erano chiamati “gli afgani”. E oggi anche l’esercito algerino dice che il loro primo obbiettivo all’epoca era proprio quello di eliminare gli “afgani” perché erano addestrati a dare la morte in modo orribile, e allora bisognava eliminarli perché non ne addestrassero altri.
Ma sono penetrati anche in altri luoghi: nella guerra dei Balcani c’erano brigate internazionali; oggi in Yemen ci sono forti brigate internazionali. Penso che se facessimo una mappa vedremmo che veramente il mondo è in pericolo.
Un errore che rischiamo di fare è quello di pensare che il solo pericolo sia Bin Laden; ormai siamo di fronte a una rete molto vasta e contro questa rete bisogna lottare, in qualsiasi posto si trovi. Mi spiace apparire pessimista, ma le persone che Bin Laden ha formato sono ancora in Algeria e continuano ad uccidere. Penso sinceramente che sia il momento di essere molto vigili, ma bisogna dire la verità, se si vuole che una vera lotta contro il terrore e contro il nuovo fascismo abbia successo.
Se l’Algeria fosse caduta sotto il Fis oggi lo scenario sarebbe stato da incubo. Questo non autorizza un certo ottimismo?
Il fatto che l’Algeria abbia tenuto, che da sola, e a prezzo di più di 100.000 morti e più di 15 miliardi di dollari di distruzioni, abbia resistito, ha salvato non solo gli algerini, ma il Maghreb intero, cioè a dire il Sud del Mediterraneo con tutto quello che questo significa. Pensiamo a come sarebbe ora il mondo se l’Algeria fosse in mano ai fondamentalisti. Ora, però, che l’Occidente capisce che quello che noi diciamo da 12 anni è vero, che quel che è successo a noi non riguardava solo il nostro paese, è venuto forse il momento di aiutare l’Algeria.
Vi faccio un esempio: il Gspc, che è un’organizzazione che appartiene a Al Qaeda, ha le sue basi nelle montagne algerine da anni, ma lo stato algerino non può bombardare a rischio di uccidere dei civili. Ebbene, sono anni che lo stato algerino chiede all’Occidente delle immagini dal satellite, che gli occidentali non vogliono dare. In secondo luogo, non so se ricordi, 3 o 4 anni fa, Le Monde e Libération scrissero che l’Algeria aveva chiesto alla Francia di venderle un’attrezzatura sofisticata per gli elicotteri: in realtà l’Algeria aveva chiesto un’attrezzatura che permettesse di vedere di notte per centrare bene il bersaglio così da non colpire la popolazione civile; di nuovo l’Occidente rifiutò di vendere questo materiale. Capisci quando ti dico che sono pessimista? L’Occidente oggi lotta contro il terrorismo a casa propria ma gli importa di quello che succede altrove? Lo ripeto: l’integralismo non conosce frontiere e ci sono paesi come l’Algeria che non ne vogliono sapere di uno stato islamico e che hanno già resistito e lottato per più di 10 anni contro un mostro che ha mezzi colossali…
L’ipocrisia europea è testimoniata anche dall’uso delle parole: l’Europa ha sempre chiamato in modo di-spregiativo “éradicateurs” i democratici algerini, ora tutti i governanti occidentali usano continuamente la parola “sradicare”…
Bush dice che sradicheranno il terrorismo, Lionel Jospin ha parlato di “éradiquer” il terrorismo e nessun giornalista francese l’ha trattato come un “éradicateur”. Ma io come “sradicatrice” algerina non posso neanche dire che Jospin è un alleato perché Jospin è “éradicateur” per l’Europa e l’Occidente ma è a favore del Fis in Algeria. Questo è ingiusto, non posso capirlo.
La questione dell’islam che sarebbe geneticamente portato al fondamentalismo, il che renderebbe inevitabile lo scontro di civiltà: c’è stata anche una bella dichiarazione di Bouteflika. Tu cosa pensi?
Per me l’integralismo è un movimento politico che usa la religione come argomento, come giustificazione dei suoi atti e delle sue prese di posizione politiche, ma non è un movimento religioso.
Se si vuole veramente lottare contro l’integralismo la prima cosa da sottrargli non è la religione, ma le sue basi: i soldi, le armi, la possibilità di addestrarsi; in secondo luogo, bisogna aiutare i paesi musulmani, che comunque restano musulmani, in cui c’è una resistenza democratica e una reale volontà di democratizzazione e di laicizzazione della vita politica e sociale. Bouteflika era esasperato dal fatto che si parlasse di una guerra di civiltà, di islam contro cristianesimo, ha ricordato che i primi a soffrire del terrorismo integralista sono i musulmani stessi, gli algerini, gli egiziani; e ha detto che l’islam come religione è “irresponsabile” dell’integralismo tanto quanto la religione cristiana è “irresponsabile” del nazismo. Bencheikh, il muftì di Marsiglia ha detto che l’integralismo musulmano è un cancro nel corpo dell’islam, e allora non bisogna confondere il corpo col tumore: per lottare contro il tumore non si deve uccidere il corpo. Trovo che sia una bella immagine, non so se ho risposto alla tua domanda.
Per aiutare la resistenza in paesi come l’Algeria o altri che vogliono andare verso una laicizzazione della vita politica, sociale, cosa si potrebbe fare?
Come dicevo, la resistenza degli algerini e delle algerine va a beneficio non solo del paese, ma di tutta la regione. Perché questo paese ha potuto resistere? Non penso che sia perché gli algerini hanno un gene speciale, ma perché nella società c’era, e c’è, un movimento democratico, un movimento di donne, di giornalisti, un movimento della società civile che, anche se non era antico, esisteva e ha fatto di tutto per lottare contro questa ondata che portava via tutto al suo passaggio.
Ma vanno poi sostenute anche le azioni dello stato quando sono per la democrazia. Perché? Perché in una situazione in cui la società civile è esaurita da più di 10 anni di lotta, molta gente è morta, assassinata, altri sono stati costretti a fuggire, bisogna che lo stato repubblicano non crolli. Quindi l’Europa, che si trova vicinissima a noi, parlo della Francia, dell’Italia, della Spagna, dovrebbe sostenere allo stesso tempo la società civile democratica, ma anche le azioni dello stato quando sono azioni di democratizzazione.
Vi faccio un esempio: oggi, in Algeria c’è un progetto di riforma dell’istruzione, fra una settimana il Consiglio del governo ascolterà il relatore e il presidente della commissione di riforma della scuola e il prossimo anno scolastico, 2002-2003, segnerà l’inizio dell’applicazione di questa riforma. Ora, la scuola è il luogo migliore per lottare contro l’integralismo, perché la scuola algerina è pubblica, è la scuola della Repubblica, e se si vuole che il nostro paese resti una repubblica moderna, laica (e fondamentalmente la repubblica algerina è laica, a parte “il settore”, grave, delle donne) che proceda sempre più in un cammino di laicizzazione, di democratizzazione, bisogna sostenere la riforma dell’istruzione. Cosa significa per l’Europa sostenere la riforma della scuola? Significa che bisogna contribuire alla formazione degli insegnanti, contribuire coi libri, con l’apertura dell’università; sarebbe importantissimo che i paesi europei vicini, l’Italia, la Francia, la Spagna, aprissero delle università in Algeria, per sostenere le azioni della riforma che mirano a instaurare all’interno della scuola e dell’università la cultura dell’apertura verso il mondo, la tolleranza, che sono il contrario dell’integralismo.
Le donne. Due settimane fa il ministro della giustizia algerino ha dichiarato alla televisione che non c’è alcuna ragione per cui le donne algerine continuino a essere amministrate da un testo a parte (il Codice della famiglia) e che bisogna riportare le norme sulla famiglia dentro l’unico Codice Civile. Questo significherebbe tirare fuori le donne dalla shari’a, farle entrare nella repubblica. Ecco, l’Europa dovrebbe sostenere un tentativo simile, in modo intelligente, certamente.
Tu credi che in Algeria il processo di transizione sia in atto, e che vada accompagnato. E’ per questa scelta che hai pagato un prezzo politico?
In Algeria oggi siamo a una svolta: la giustizia sta per essere riformata, la scuola sarà riformata; questo richiede tempo, sono professoressa e so che non si riforma un sistema educativo in poco tempo, ma so anche che la volontà politica esiste perché quando il presidente e il relatore di una commissione di riforma sono convocati davanti al Consiglio di governo per esporre la riforma significa che ai livelli più alti dello stato si vuole che questa riforma si faccia. Nello stesso tempo ci sono 3 miliardi e mezzo di dollari, tantissimi per un paese come l’Algeria, mobilitati per il rilancio economico. Ora, da una parte abbiamo gli islamisti, che non ne vogliono sapere della riforma della scuola, né della messa in causa del Codice della famiglia e si organizzano contro; dall’altra, ci sono forze che non ne vogliono sapere del rilancio economico e in particolare della riforma del sistema bancario: se sei qualcuno abituato ad ottenere crediti con una semplice telefonata perché hai sufficiente potere non hai alcun interesse che venga riformato il sistema bancario. Queste forze hanno molta paura che le riforme dell’attuale presidente vadano in porto, perché questo gli permetterebbe di ripresentarsi al prossimo mandato fra due anni con buone probabilità di vincere. Quindi entrambe queste forze, per ragioni diverse, hanno lo stesso obbiettivo: fermare le riforme. La transizione è in un momento molto delicato, analogo a quello che Adolfo Suarez affrontò in Spagna verso il ‘79-80.
E’ una transizione che avviene fra molte difficoltà, e a quelle di cui vi ho parlato bisogna aggiungere il terrorismo che non si ferma, che continua. E’ vero che la realtà è in movimento, io giro ad Algeri senza camuffarmi, guido, posso garantire che è un gran cambiamento, ma il terrorismo, in certe regioni, in montagna, continua a uccidere. In secondo luogo c’è la situazione in Cabilia che è molto grave.
Ecco, cosa sta succedendo in Cabilia?
La Cabilia è insorta su una rivendicazione molto giusta, il riconoscimento della lingua e della cultura tamazigh. Ma la rivolta, quando è partita, ha rifiutato tutti i partiti politici, e cioè l’Rcd e l’Ffs, ed è stato un rifiuto totale e violento. E lì sono cominciati i miei problemi con l’Rcd, perché ho fatto una dichiarazione pubblica su questo rifiuto dicendo che se la popolazione cabila ci rifiutava significava che avevamo fallito. Se dei giovani di 20 anni, che hanno l’età dei nostri figli, vanno verso la morte aprendo la camicia e dicendo: “Sparate, non abbiamo paura di morire, noi siamo già morti” e a noi dicevano di andarcene, che non volevano vederci, vuol dire che abbiamo fallito. La questione della cultura e della lingua tamazigh l’abbiamo tirata fuori noi e oggi ci sono giovani che ci cacciano: significa che li abbiamo abbandonati. Sono giovani pronti a morire e però anche così violenti; tuttavia non sono loro a sbagliare: siamo noi che non siamo riusciti a essere con loro, a portare avanti le loro rivendicazioni come partito politico, e al limite a morire al loro posto. Non è normale morire a 20 anni, mi dispiace. L’Rcd non mi ha mai perdonato di aver detto che si trattava del nostro fallimento, ma io penso veramente che sia il fallimento dei partiti politici.
D’altra parte, un movimento completamente fuori dai partiti politici e contro di loro, contro il potere, è un movimento organizzato in cui tutte le manipolazioni sono possibili; è diventato il movimento delle tribù. I giornali dicono “il movimento cittadino delle tribù”, che è una contraddizione in termini.
Il movimento delle tribù è un modo di organizzazione tradizionale, ancestrale, molto patriarcale in cui le donne non esistono; è una vera schizofrenia, perché o si è nella cittadinanza, nella repubblica, o si è nella tribù. Che poi nelle repubbliche islamiche le donne sono velate e stanno dietro, ma nel movimento delle tribù la donna non esiste!
Allora qual è ora la sua natura, qual è il suo obiettivo? Nelle tribù, l’appartenenza si fonda sulla solidarietà di sangue. È qualcosa di molto pericoloso: l’Ffs diffida di un movimento che si rifà alla tribù e quindi è contrario, pur essendo favorevole alla rivendicazione di partenza; l’Rcd, terrorizzato dal movimento, dice di sì a tutto, ma il movimento risponde che non ne vuole sapere; il potere da un mese dice che accetta tutte le rivendicazioni salvo una, la richiesta del ritiro della gendarmeria dalla Cabilia, cosa che per qualsiasi stato sarebbe inaccettabile; e ora la popolazione in Cabilia è stanca. Sui giornali di ieri si riporta che una parte di questa gente è andata ad Algeri per dire: “Come cittadini della Cabilia, non siamo né per il potere né per il movimento delle tribù, siamo pronti a essere intermediari”.
Questo per spiegarti le nostre complicazioni; la situazione in Cabilia è veramente incredibile: il movimento delle tribù non vuole negoziare, vuole marciare, e siccome è un movimento orizzontale ci sono migliaia di delegati di villaggio, di qualsiasi cosa. E’ l’anarchia totale e quindi ci sono manipolazioni politiche, infiltrazioni mafiose; i gendarmi non possono più uscire in strada, non possono mantenere l’ordine; è una regione completamente lasciata a se stessa, non c’è più stato. Il presidente, infine, penso non voglia dare l’immagine di un regime che reprime, che preferisca aspettare che si creino le condizioni per un dialogo, ma temo abbia torto. Anche se spero con tutto il cuore che la popolazione arrivi ad un accordo col potere, soprattutto per il riconoscimento del tamazigh. Il potere ha detto che nella prossima costituzione il tamazigh sarà lingua nazionale, ma vedi in che situazione si svolge la transizione? Con tutto ciò, contrariamente a quanto detto prima in relazione all’integralismo nel mondo, sono ottimista per l’Algeria perché mi dico che se si arriva a far partire almeno le 3 riforme, a far partire il treno, ebbene la svolta ci sarà e questa è la cosa più importante, il resto verrà.
La tua situazione politica, ora?
Per quel che riguarda i miei problemi personali, fino al 25 aprile 2001 ero nella commissione di riforma della scuola, ero vice-presidente e abbiamo lavorato tantissimo; il 25 aprile 2001 abbiamo consegnato la relazione ufficialmente al presidente; per nostra disgrazia la situazione in Cabilia è esplosa il 24 aprile, il giorno prima. Ho fatto la dichiarazione sul mio fallimento a El Watan il 27-28 aprile. Molti giovani erano stati uccisi; mi è stato chiesto quello che pensavo e ho detto che era il fallimento mio personale e di tutta la mia generazione perché non ci eravamo accorti di quello che stava per succedere in Cabilia, e questo non è normale, perché l’Rcd ha 12 deputati della regione. Ho tentato di mettermi in contatto con questi giovani (io non sono deputato della Cabilia, sono deputato di Algeri ma sono cabila), ma mi hanno detto che non volevano più sentir parlare di noi, di nessun partito, perché “eravamo diventati come le persone del potere”: “Abitate al Club des Pins e viaggiate nelle vostre auto blindate”. Io veramente no, anche se per altri è vero, ma non importava; mi hanno detto che eravamo diventati dei burocrati della politica e che non volevano più sentire parlare di noi. Immagina la mia sensazione alla mia età: ho sempre fatto politica al di fuori del partito unico e contro il partito unico, e a 43 anni scopro che dei giovani che hanno l’età dei nostri figli mi vedono esattamente come io vedevo i deputati del partito unico! Per questo quando la stampa mi ha chiesto cosa ne pensavo, ho detto che era il mio fallimento, il fallimento di tutta la mia generazione.
Poi sono andata dal presidente del partito, che allora era ancora al governo, e gli ho proposto di chiedere una riunione urgente col Presidente della Repubblica, con il capo di Stato Maggiore ed esigere immediatamente che il capo della gendarmeria a livello nazionale se ne andasse. Inoltre gli ho chiesto di riunire subito tutti i partiti repubblicani, non importa se di destra o di sinistra, per utilizzare il fatto di essere al governo per ottenere delle cose, e tentare, così, di riprendere contatto con questi giovani. Il presidente mi ha detto che avrebbe riflettuto e poi, qualche giorno dopo, ho saputo che l’Rcd lasciava il governo, senza neanche mettermi al corrente. Allora ho scritto una lettera per dire che non era normale che non fossi informata di una decisione così importante, per cui chiedevo di essere esonerata dalle mie responsabilità nel partito: tornavo militante di base per riflettere, per capire come era possibile che il membro di una direzione non venisse informato di decisioni così importanti. In risposta alla mia lettera sono stata convocata a una commissione di disciplina.
Ora, con un po’ di distacco, penso sinceramente che siano state misure prese da un partito che non vede più molto chiaro; ma temo ci sia un altro motivo: ci sono militari in pensione che hanno molta paura che le riforme vadano a buon fine, e penso che l’Rcd li sostenga, che sia legato a una cerchia di militari che non vogliono riforme e che hanno paura che il presidente si ripresenti. Un amico spagnolo mi ha detto che in Spagna durante la transizione c’è stato un movimento simile; io non lo sapevo: fra il ‘76 e l’80, c’è stato un movimento diretto da ex militari che dicevano che la transizione era fallita e che bisognava fermare tutto. Perché la situazione mi sembra simile? Perché quando si legge la proposta di uscita dalla crisi dell’Rcd, pubblicata 2 mesi e mezzo fa, che consta di una pagina, per me la cosa più impressionante è un paragrafo che dice: “La transizione di Bouteflika è fallita, proponiamo di sciogliere tutte le assemblee elette, i comuni, le assemblee locali regionali e nazionali; di sciogliere il governo, e che il presidente si dimetta”. E tutto questo da cosa verrebbe sostituito? “Da 5 consigli in cui le persone sono designate e che lavoreranno per un anno e mezzo per preparare le condizioni della democrazia”. Ci sono due piccoli problemi cui non rispondono: non dicono chi deve sciogliere le assemblee, e chi deve designare i consiglieri. Secondo voi chi deve sciogliere e chi deve nominare?
L’esercito. Assomiglia a un colpo di stato...
Voglio essere molto onesta con voi di Una città: nel gennaio 1992, quando il FIS aveva vinto, ero fra le più accanite militanti per fermare le elezioni perché sapevo che il Fis al potere avrebbe significato i talebani al potere; il Fis aveva detto tutto in una conferenza stampa internazionale e ci sono gli scritti. Quindi nel gennaio ‘92 ho lavorato per fermare le elezioni perché il partito che aveva vinto era peggio di Hitler. Ma nel 2001? Fermare le elezioni significa fare un nuovo colpo di stato. Due giorni fa ho discusso con qualcuno che vuole convincermi che Bouteflika deve andarsene, gli ho risposto che le elezioni sono fra due anni; le persone serie si preparano, preparano un altro candidato per vincere le elezioni. La mia impressione è che queste persone vivano in una cultura da colpo di stato, che non possano immaginare una trasformazione attraverso le elezioni, e questo tradisce un profondo disprezzo del popolo algerino, perché indire delle elezioni significa consultare la popolazione, significa mettersi nell’ottica di un lavoro di convinzione. Hanno avuto ragione ad escludermi: se fossi stata nel partito al momento di quella proposta me ne sarei andata io.
In Algeria che reazioni ci sono state agli attentati e ora alla guerra contro l’Afghanistan?
In Algeria la società è traumatizzata, ferita, ci sono ancora persone che muoiono in certe regioni, c’è un popolo che ha conosciuto il terrorismo integralista nella sua carne; gli algerini stanno ancora curando le proprie ferite; è chiaro che gli islamisti sono favorevoli a Bin Laden ma non lo dicono; alla Camera il partito legale ha fatto cartelli per denunciare i bombardamenti americani, ma non ci sono movimenti di strada; la maggioranza degli algerini è rimasta stupefatta da quello che è successo ma allo stesso tempo si sono detti che forse ora l’Occidente capirà quello che abbiamo vissuto finora. Le associazioni che hanno dichiarato la loro solidarietà agli americani sono quelle delle vittime del terrorismo; le vittime del terrorismo si sono espresse per gli Stati Uniti.
Rachda non prende mai posizione su cose che non riguardano strettamente le donne. Ora, per le donne afgane, la nostra posizione è molto chiara. L’anno scorso sono andata al Parlamento Europeo ad un incontro in appoggio alle donne afgane. Ho fatto un lungo discorso, ho denunciato il silenzio, ho detto fra l’altro: “Se si vuole sostenere le donne afgane bisogna forse avere l’onestà di dire qual è il loro nemico, cioè i talebani, e se si vuole lottare contro i talebani bisogna dire la verità su chi ha creato i talebani per interesse, e cioè americani, pakistani e sauditi; non si può creare un mostro che fa queste mostruosità alle donne afgane, e non assumersi poi le responsabilità nei confronti delle vittime del mostro”. Non è stato molto apprezzato.
Dobbiamo metterci in testa che il fondamentalismo ha come nemico numero uno le donne proprio come gli ebrei erano il nemico numero uno di Hitler. Le donne per il fondamentalismo sono come gli ebrei per Hitler.
Sul tema dei diritti e della condizione delle donne forse potrebbero esserci dei punti di contatto col movimento no-global...
Mah, sono movimenti tipicamente occidentali, mi spiace dirlo così, ma non hanno alcun rapporto coi movimenti reali delle nostre società. Non è un giudizio di valori, è una descrizione: è un movimento occidentale, nato in società occidentali, in realtà occidentali.
Non potrai mai dire a un abitante del Mali o a un algerino povero: “Non mangiare questa carne perché ha gli ormoni” perché lui la carne la vede una volta ogni due anni. Anche tutte queste lotte contro gli Ogm -che rispetto- sono molto lontane dai problemi di un povero che in Africa cerca qualcosa da mettere nello stomaco o che ha il figlio che sta morendo di fame. Le lotte sono a livelli talmente diversi.
Poi, senza voler dare alcun giudizio su questi movimenti che sono contro la globalizzazione e che intervengono a livello globale, mi chiedo cosa facciano nei loro paesi, come sia possibile che poi nel loro paese vada al potere un individuo come Berlusconi. Cosa è stato fatto perché Berlusconi non andasse al potere in Italia? Cosa si fa perché Haider non sia al potere in Austria? Io come algerina soffro del fatto che Berlusconi sia al potere; posso dirlo: il Ministero responsabile della cooperazione italiana, da quando Berlusconi è al potere, ha tagliato il budget destinato alla cooperazione con la società civile algerina. Evidentemente non fa parte della filosofia di Berlusconi cooperare con la società civile algerina.

pro dialog