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Krzysztof Kieslowski e i maestri del cinema polacco
Il regista che meglio ha saputo raccogliere l’eredità (documentaristica) del suo capostipite, Munk, è sicuramente Krzysztof Kieślowski, morto a Varsavia nel marzo 1996, che non abbandonò mai l’ispirazione della scuola documentaristica, neppure nei film dell’ultimo periodo ([La doppia vita di Veronica, 1991, e Tre colori – Film blu, film bianco, film rosso, 1993-4). Kieślowski iniziò a lavorare circa vent’anni dopo Munk, e la sua produzione documentaristica è molto ricca e variegata, ma di questo autore resta il ricordo soprattutto dei film a episodi, cui iniziò ad approdare all’inizio degli anni ’80, fino ad arrivare alla grande profondità psicologica dei dieci film del Decalogo (Dekalog, 1988-89)..
Riferito a ciascuno dei dieci comandamenti, questi film hanno in comune prima l’osservazione dei fatti, poi l’analisi di come la percezione di essi sia influenzata dalla soggettività. In ogni episodio, Kieślowski porta lo spettatore verso una profonda introspezione, analizzando come i singoli individui vivono la loro quotidianità e la realtà che li circonda. In Kieślowski la principale teoria è che la realtà esercita un ruolo predominante sulle scelte dell’individuo che, non libero di agire, può solo reagire a quanto accade attorno a lui. Così, l’interesse è spostato all’interno dell’individuo e il regista si trasforma nell’occhio interiore che osserva l’esterno e aiuta lo spettatore a mettere in relazione casi ed eventualità apparentemente fortuiti, ma che serviranno a cogliere la vera essenza delle cose. Inquadrature fisse, lunghi piani-sequenza, primi e primissimi piani, il potere evocativo della musica (con le colonne sonore composte da Zbygniew Preisner) sono, in Kieślowski, le scelte stilistiche che servono a osservare l’individuo, ognuno di noi, con quella particolare sensibilità, espressività e poesia che hanno reso unico questo grande regista placco.
Antonella Arseni