Alexander Langer Alexander Langer Tesi e ricerche Tesi di Emiliano Bertoldi

Scritti di Alex Langer Racconti e ricordi Dediche bibliografie - recensioni Tesi e ricerche
Tesi di Giorgio Grimaldi Tesi di Anna Marinelli Tesi di Emiliano Bertoldi
Tesi di Giulia Galera Tesi di Marina Goisis Tesi Rizzo Marina Tesi Elena Franceschetti Tesi Leonardo Di Russo Tesi Cristina Pongiluppi Tesi Marchi Daniele Tesi Canta Andrea Tesi Luca Colombo Tesi Angelo Cosentino Tesi di Simone Lerma Tesi di Claudia Profanter Tesi di Miola Martina Tesi di Lucia Botti Tesi di Martina Alfieri Tesi di Lisa Mazzieri
Riviste Video - Audio L’archivio di Alex Eventi
alexander langer (22) Cassar-Simma: Abbi cura - Trag Sorge - Take Care (11)

Introduzione

Il clamore e l'emozione suscitati dal suicidio di Alexander Langer, come dimostrato dalla quantità e dal tono degli articoli e degli interventi apparsi in quei giorni sulla stampa nazionale, sono andati ben oltre la normale curiosità scandalo-giornalistica per le modalità della morte o la tradizionale riflessione sul "chi era" e "cosa faceva". La domanda iniziale con la quale ci siamo avvicinati all'argomento era dunque di carattere più politico che altro: per quale motivo tanto interesse per un ex-leader degli anni Settanta poi affermatosi politicamente in una formazione minore? L'impressione era che i giornali e i vari ex si fossero lanciati nel tradizionale amarcord del "come erano belli quei tempi", eppure i toni di quanto si leggeva sulla stampa differivano spesso dalla tradizionale nostalgia di maniera.
La generica curiosità si è poi trasformata in un interesse più propriamente scientifico e - coerentemente con l'impostazione storico-politica seguita negli studi universitari, che aveva però sempre trascurato l'esperienza dell'ambientalismo politico - abbiamo ritenuto utile lavorare in maniera sistematica ed analitica ad una biografia di Langer che potesse chiarire il suo contributo - qualora questo esistesse - alla storia del pensiero politico di questo ultimo quarto di secolo.

Le fonti iniziali e le prime ipotesi. Le fonti di approfondimento sono state, per una prima ricognizione, le rassegne stampa raccolte dagli amici di Langer nei giorni immediatamente successivi la sua morte - un'enorme mole di articoli apparsi su tutti i giornali nazionali e locali - alcune conversazioni con chi lo aveva conosciuto e l'unico libro - una raccolta di articoli e trascrizioni di interventi, mozioni e documenti presentati al Parlamento europeo tra il 1989 e il 1992 - pubblicato in vita da Langer. Langer sognava di poter un giorno scrivere un libro sul Sudtirolo e sul problema della convivenza tra diversi gruppi linguistici presenti nella sua regione, ma i continui impegni politici e l'insieme delle altre attività che lo occupavano, glielo hanno sempre impedito. Come vedremo, la mancanza di un ragionamento organico e sistematico quale sarebbe potuto essere un libro, se pur limitato alla questione sudtirolese, ha rappresentato un primo problema di ordine metodologico. Presentandosi infatti il pensiero di Langer in modo frammentario, riassunto in decine di articoli ed interventi preparati per le più diverse finalità (dalla divulgazione politica all'analisi di una particolare situazione, dalla recensione di un libro alla biografia di qualche illustre sudtirolese), in mozioni e risoluzioni parlamentari, lettere ad amici, conversazioni informali e note interne al movimento, uno dei compiti principali che ci si presentava era proprio quello di sistematizzare tale mole di scritti.
Una prima superficiale analisi del materiale inizialmente a nostra disposizione, suggeriva di dividere la ricerca in due parti: una più prettamente storico-biografica, l'altra più analitica e focalizzata sull'aspetto delle minoranze e della convivenza etnica.
Per quanto riguarda la prima parte, quella biografica, si sarebbe dovuto andare molto oltre una semplice ricostruzione, più o meno cronologica, della vita di Langer. L'idea era quella di contestualizzare fortemente ogni aspetto della sua storia personale, calandolo - per così dire - nelle vicende storiche, sociali e politiche di questi ultimi cinquant'anni, in modo da poter vedere in relazione ad esse la sua evoluzione individuale e politica.
L'ipotesi da sviluppare, in questa prima parte, era che i processi di socializzazione primaria e secondaria in una situazione così pesantemente divisa come si presentava il Sudtirolo negli anni Cinquanta e Sessanta (conteso tra la minoranza tedesca e lo Stato, con un clivage - non di classe ma a sfondo etnico - apparentemente atipico per le categorie analitico-ideologiche dell'epoca) avessero influenzato in modo determinate l'approccio che Langer avrebbe poi avuto nei confronti di ogni esperienza successiva. L'analisi avrebbe poi dovuto vedere come le esperienze successive - il cattolicesimo del dissenso, il '68, l'estremismo degli anni Settanta - si siano mescolati all'impostazione iniziale per condurre Langer al particolare impegno istituzionale degli anni Ottanta e Novanta.
Langer proveniva da una famiglia borghese e benestante, di impostazione culturale aperta e mitteleuropea (il padre era un ebreo di origine viennese) e fin da piccolo fu educato alla tolleranza ed al bilinguismo. E proprio l'elemento del bilinguismo, in un primo momento, abbiamo individuato come caratterizzante un'identità multipla, un'appartenenza pluriculturale e multilinguistica che si proponeva come tensione e al tempo stesso strumento di superamento delle barriere e, quindi, come stimolo al confronto con il diverso e all'impegno per la convivenza: in Sudtirolo come in qualsiasi dimensione di conflitto.
L'intuizione del plurilinguismo si è poi rivelata fondata - una delle attività preferite di Langer era quella di traduttore - ed abbiamo quindi voluto generalizzarla con la metafora del ponte, che è stata molto utile come prospettiva di analisi anche per quanto riguarda ogni altro aspetto dell'impegno politico e dell'elaborazione teorica e culturale di Langer: dai rapporti con la natura a quelli tra i popoli, dalla dimensione interpersonale a quella pubblica, dall'organizzazione politica all'impegno istituzionale.
La seconda parte del lavoro avrebbe dovuto vertere sul tema in un primo momento individuato come qualificante dell'analisi teorica, ma anche della pratica politica concreta di Langer: la convivenza etnica. Per quanto riguarda questo specifico punto, l'idea di partenza era che si potesse individuare ed enucleare una sorta di "teoria langeriana della convivenza" che, a partire dallo specifico sudtirolese, potesse rappresentare una chiave di lettura utile alla comprensione generale delle situazioni di conflitto etnico. Si pensava che l'impegno di Langer per la convivenza avesse della basi in qualche modo "oggettive", ed è questa una delle prime modifiche che nel proseguo della ricerca, ma anche nel corso della stessa stesura definitiva, abbiamo dovuto in parte apportare alle nostre impressioni iniziali. Non vogliamo naturalmente negare l'importanza che Langer ha avuto - probabilmente più di chiunque altro in Sudtirolo - nella riflessione e nella prassi della convivenza etnica, compresa la generalizzazione della sua impostazione ed il conseguente impegno al di fuori della sua regione (per es. nella ex-Jugoslavia), ma a posteriori ci sembra che l'originalità teorica di Langer - che non necessariamente coincide con quella politica - si sia espressa più in altri ambiti, se possiamo operare una divisione forzata nel suo lavoro, che non nello specifico della teoria della convivenza.1

Le fonti.2 Il proseguo del lavoro e l'approfondimento qualitativo dell'analisi delle fonti, che nel frattempo si rilevavano potenzialmente illimitate, hanno parzialmente modificato l'impostazione della ricerca sia dal punto di vista metodologico che delle ipotesi.
Le fonti primarie, per tutto il lavoro, sono stati gli articoli ed i saggi di Langer che sempre più venivano alla luce. Nel corso degli oltre due anni passati dalla morte di Langer, l'associazione Pro Europa di Bolzano, coordinata da Edi Rabini, si è occupata di raccogliere ed ordinare gli scritti di Langer provenienti dalle più diverse realtà e da questa lavoro sono già scaturite alcune pubblicazioni, sia generali che monotematiche (il Sudtirolo, la convivenza, le minoranze). Molte riviste dell'area ecopacifista e dell'impegno sociale laico e cattolico (Azione nonviolenta, Mosaico di pace, Una Città, per esempio) hanno prodotto inserti o pubblicazioni monografiche con articoli e interventi - spesso inediti - di Langer, scovati anche casualmente nei loro archivi. La Casa per la pace di Verona, con la quale Langer aveva costanti rapporti, sta cercando di raccogliere materiale cartaceo, video e audio per produrre un cd-rom.
Noi abbiamo potuto partecipare di questa continua ricerca, un po' "anarchica" a dire la verità, fondata più sulla buona volontà dei singoli che non su un'organizzazione rigorosa del lavoro. Le pubblicazioni, naturalmente, sono state molto utili, ma anche la possibilità di accedere liberamente agli archivi dei Verdi di Bolzano, oltre alla disponibilità personale di Edi Rabini nel segnalarci "ritrovamenti" particolari o pubblicazioni su questa o quella rivista. Rimangono, al momento, delle enormi quantità di materiale per i più diversi motivi non ancora disponibile, il che ha chiaramente rappresentato un limite, almeno psicologico, alla completezza del nostro lavoro. Abbiamo tuttavia valutato sufficiente, in conclusione, quanto a nostra disposizione, avendo ad un certo punto cominciato a riscontare una certa ridondanza e ripetitività sia nei temi trattati da Langer, sia nelle analisi proposte.
Da segnalare che un problema di completezza potrebbe derivare dalla nostra impossibilità - non conoscendo la lingua - di leggere i testi in tedesco: solo alcuni di questi, infatti, sono stati tradotti per essere inseriti nelle pubblicazioni postume non bilingui. Ai dubbi da noi avanzati all'inizio del lavoro sull'opportunità di condurre una ricerca viziata da tale mancanza, fu risposto da più parti che nulla di nuovo o di più - rispetto agli scritti in italiano - poteva venire dalle fonti tedesche. Con la dovuta cautela, non abbiamo modo di dubitare dell'attendibilità di chi ci ha dato queste rassicurazioni.
Posta questa mancanza e vista la ancora grande disponibilità di materiale che gradualmente si verrà a mettere a disposizione, è possibile, naturalmente, il ritrovamento di qualcosa di particolarmente importante a noi sfuggito, ma crediamo di poter ritenere che eventuali nuove prospettive sull'opera di Langer potranno e dovranno venire da una diversa interpretazione e da una diversa chiave di lettura rispetto a quella da noi proposta, più che da nuove clamorose fonti documentarie.
Il problema del punto di vista - cioè del taglio particolare che in definitiva assume la stesura della tesi - introduce il discorso, tutt'altro che superfluo, delle fonti secondarie. L'oggetto del lavoro, naturalmente, è Alexander Langer e quindi ogni altra lettura o approfondimento (convegni, seminari, ecc.) dovevano essere finalizzate solo alla definizione storica e culturale dei contesti in cui Langer si è mosso. Tuttavia, in alcuni casi particolari, sia la lettura dei suoi scritti, sia, per taluni aspetti, l'opera di sistematizzazione e di ricomposizione dei vari tasselli nella stesura di alcune parti della tesi, hanno suscitato interessi specifici che il seguire anche al di là delle mere necessità di studio ha permesso la comprensione più approfondita, e a tratti empatica, dei meccanismi psicologici e culturali sottostanti il pensiero e la pratica di Langer. Ci siamo cioè resi conto che una semplice comprensione intellettuale dei meccanismi più o meno logici dei ragionamenti di Langer non permetteva di coglierne l'essenza reale, impedendo così il disvelarsi di quella dimensione sistemica e coerente - un vero e proprio paradigma analitico-interpretativo della realtà - che la sintesi operata dal secondo capitolo (Utopie concrete) ha, a nostro parere, proposto come l'eventuale vero contributo positivo di questo lavoro all'approfondimento del pensiero di Langer. Come vedremo più avanti, quindi, è il secondo capitolo - neppure concepito nella strutturazione originale del lavoro - che diventa il fulcro dell'intera ricerca.
Le direttrici di ricerca di queste "divagazioni" sono andate in molteplici direzioni. In particolare voglio segnalare tutta l'area che generalmente chiamiamo ecopacifista: un segmento a sé stante del panorama culturale contemporaneo. Riferimenti particolari di quest'area, pur rifiutando l'assimilazione ad essa, sono Ivan Illich e Johan Galtung. Illich è probabilmente, se non il primo, il più importante teorizzatore della convivialità: sistema di rapporti interpersonali e sociali libertari fondato sulla centralità dell'individuo e su un accesso diffuso al mezzo tecnologico Tale utilizzo conviviale del mezzo tecnologico dovrebbe contribuire a liberare l'uomo contemporaneamente dal bisogno e dalla nuova schiavitù fisica e spirituale indotta dall'industrialismo e dall'esasperazione tecnologica, rifondando (o conservando, la dove possibile) sistemi sociali basati sulle piccole comunità e su rapporti non mercificati tra le persone. Risulta impossibile addentrarsi di più nel contributo intellettuale di Illich senza rubare uno spazio eccessivo all'oggetto stesso del nostro lavoro, e del resto egli è ampiamente citato e spiegato la dove la sua influenza su Langer risulti evidente. Ciò che ci preme sottolineare qui è il contributo "metodologico" che l'approccio individualista ed antiautoritario di Illich ha dato a Langer: per Illich è fondamentale dubitare di tutto, perché mettendo in discussione ogni più semplice "verità" si riesce ad avvicinarsi all'essenza stessa della realtà. L'atteggiamento dissacratore, iconoclasta ed a-ideologico di Illich porta sempre ad affermare l'individuo e la sua soggettività come essenza stessa della realtà, in una sorta di identità tra soggetto e oggetto che la società industriale vorrebbe invece scindere. L'individuo, che trova la propria collocazione naturale all'interno della dimensione conviviale, diventa per Illich lo strumento stesso della propria liberazione e con essa, anziché viceversa, della liberazione della stessa umanità.
Galtung, in un opuscolo intitolato I Blu e i Rossi - I Verdi e i Bruni, delinea nel 1984 cultura e prospettive verdi, situando il movimento ecopacifista decisamente al di fuori della tradizione della sinistra classica. La cultura di questa è fondata, come quella della destra, su quello che Galtung chiama il complesso BCI (burocratico-corporativo-intellettuale), mentre egli ritiene che quella verde abbia "una ricca tradizione anarchica a cui attingere". Questa può essere integrata, tra gli altri contributi, da elementi tipici del gandhismo, ma deve sviluppare ex novo un proprio approccio alla realtà. Caratteristiche di questa cultura devono essere: un maggiore olismo, inteso come una visone della realtà composta da tante piccole cose sulle quali agire contemporaneamente; una rivalutazione dell'individuo e delle sue libertà soggettive; un rapporto equilibrato con la natura; localismo e nonviolenza. Una visione non molto diversa dalla convivialità illichiana, in definitiva, anche se forse politicamente più concreta e praticabile.
Galtung, come Illich, è un individualista e il suo contributo è stato fondamentale anche per quanto riguarda il tema dei rapporti tra minoranze. Parlando di diritti umani, infatti, egli ritiene che questi, specularmente ai doveri cui sono collegati, abbiano i propri destinatari ultimi solo negli individui, ma che in certi settori determinanti per la formazione dell'identità del soggetto (per. es.: la tutela linguistica) siano accettabili anche diritti "di gruppo". Si introduce quindi la dialettica tra diritti individuali e diritti di gruppo tipica del Sudtirolo.
Abbiamo voluto segnalare, tra i molti, due pensatori a nostro giudizio fondamentali, facendo probabilmente loro torto nel tentativo di sintetizzare in poche righe il contributo a quella cultura che, nel corso del lavoro, abbiamo definito ecologismo. L'intero ambiente ecopacifista, in realtà, con le sue riviste, le sue pubblicazioni, i convegni e seminari è stato in sé fonte secondaria. In particolare vogliamo ricordare la Fiera delle utopie concrete, che si svolge annualmente a Città di Castello (Pg).
Altro settore in cui abbiamo molto "divagato" è stato quello delle minoranze etniche e dei rapporti tra gruppi insediati nello stesso territorio. L'interesse per questa tematica era coerente con l'impostazione originariamente pensata per la tesi, che come detto voleva essere imperniata su questo tema. Nonostante poi l'importanza dell'argomento si sia in parte ridimensionata a favore di un interpretazione più sintetica e sinergica di tutta l'opera di Langer, la frequentazione di seminari e convegni sul Sudtirolo, sulle prospettive di convivenza in quella regione e più in generale la presenza in alcuni "luoghi" del dibattito sulla tutela delle minoranze, ha accompagnato costantemente l'analisi dei contributi specifici di Langer ed emerge di tanto in tanto in alcune riflessioni proposte nel testo e, specialmente, nelle note. A questi vanno aggiunte le necessarie letture storiche, sia sulla storia italiana che sudtirolese, alcuni contributi sui movimenti sociali degli anni Settanta, oltre ad alcune considerazioni giuridiche riguardanti lo Statuto di autonomia del Trentino - Alto Adige, la cosiddetta proporzionale etnica e le modalità del censimento sudtirolese. Per quanto riguarda questi ultimi punto - gli aspetti giuridici - ci è stata particolarmente utile, anche come fonte di rimando ad altri testi, una tesi sull'argomento discussa di recente alla Facoltà di Scienze Diplomatiche di Gorizia.

Il metodo: "Everything goes".3 La metodologia un po' "anarchica" che la contingenza ha imposto alla ricerca delle fonti ha inevitabilmente influenzato anche la loro analisi e, in definitiva, la stesura stessa del lavoro. In questo modo si sono progressivamente modificate sia la struttura della tesi, sia, in parte, le ipotesi iniziali.
Il metodo ha dovuto rispondere sostanzialmente a due esigenze principali: da un lato l'enucleazione - tramite un'analisi rigorosa dei testi più simile ad una loro "sezionatura" che non ad una lettura organica - dei temi più importanti nel quadro del pensiero e dell'impegno di Langer; dall'altro la ricomposizione di questi "frammenti" in un insieme coerente sia al proprio interno, se tali insieme e coerenza fossero eventualmente riscontrabili, sia nel contesto storico, politico e culturale più generale.
Dopo una prima lettura complessiva di tutto il materiale a nostra disposizione, per poter avere una visione globale dell'argomento, è intervenuta la prima modifica alla struttura generale del lavoro. Ferma restando la centralità del tema della convivenza etnica - rispetto alla quale era già stata fatta una prima scrematura e selezione tra gli scritti di Langer - si è sviluppata la convinzione che questo avesse un'autonomia propria minore rispetto a quanto inizialmente valutato. La questione della convivenza, cioè, appariva sì il frutto del particolare contesto del Sudtirolo e quindi comprensibile anche solo in relazione ad esso, ma assumeva maggiore completezza se vista nel quadro di un rapporto dialettico con gli altri settori di interesse di Langer. Ritenendo di non dover sciupare il lavoro di ricerca nel frattempo avviato sulla storia sudtirolese e sulle particolarità sociali e politiche, ma anche giuridiche, di quella terra, si è ritenuto di costruire una sorta di "capitolo contenitore", in un certo senso marginale, nel quale prendere in analisi quello che in un primo momento avevamo definito "tutto il resto".
Questo capitolo contenitore si è sviluppato quasi da solo: dopo aver individuato il materiale utile all'insieme del capitolo - senza cioè dividerlo ulteriormente tra i singoli argomenti che dovevano essere trattati - e dopo averlo analizzato e schedato, si è proceduto ad una prima generica strutturazione del capitolo e quindi alla sua stesura. Fin dalle prima righe, però, emergeva una costante necessita di relazionarsi agli altri argomenti trattati nel capitolo, con un fastidio crescente rispetto alla forzatura che, per ovvie ragioni analitiche, si doveva fare isolando tra loro i diversi temi. Cercando quindi di recuperare una visione globale di quanto si andava scrivendo, il capitolo ha gradualmente assunto una fisionomia propria, con quasi ogni paragrafo che - in un certo senso - "esigeva" quello successivo e lo introduceva naturalmente. Sia la struttura logica del capitolo che il suo contenuto si modificavano profondamente nel momento stesso in cui nascevano. Senza timore di apparire troppo enfatici o retorici, riteniamo di poter dire di aver provato una sorta di "piacere creativo" di tipo artistico che Feyerabend, nella sua proposta antimetodologica, avrebbe probabilmente approvato.
Il terzo capitolo - La convivenza possibile - ha avuto uno gestazione più tradizionale. Dopo aver strutturato l'ordine degli argomenti secondo una logica che potesse andare dal particolare del Sudtirolo al generale di una teorizzazione sulla convivenza, abbiamo suddiviso tutto il materiale in maniera funzionale ai diversi paragrafi e, spesso, anche alle diverse parti interne ai singoli paragrafi. Analizzando il materiale e cercando di ricomporne il senso rispetto al micro-sistema dei paragrafi individualmente presi, si è proceduto alla stesura. Questo procedimento si è rivelato utile all'analisi, alla sistematizzazione ed alla comprensione di un argomento che - stante la vastità dello stesso e la quantità di possibili divagazioni - avrebbe potuto essere all'origine di più di una ricerca, tuttavia è nostra impressione che esso abbia comportato una parziale perdita di unitarietà e di sintesi del insieme del capitolo, che in questo modo è risultato talvolta schematico, compilativo e frammentario. Tale vizio, di origine metodologica, è in parte accentuato dall'aver voluto isolare, dal punto di vista analitico ed espositivo, il tema della convivenza dall'insieme del pensiero di Langer, ma è stato parzialmente superato nei paragrafi finali quando, dovendo astrarre e codificare il ragionamento nei termini di una cultura della convivenza, si è potuto recuperare il legame intrinseco al paradigma culturale e politico di Langer.
E' nostra opinione che il cercare di delimitare in modo ancora più marcato gli oggetti del lavoro politico e teorico di Langer - individuando e separando per una migliore funzionalità analitica i suoi diversi ambiti di interesse - avrebbe rappresentato una forzatura eccessiva dell'organicità del suo pensiero, già espresso in modo così frammentario.
Può essere interessante sottolineare che spesso, nell'analisi dei testi, si sono dimostrati più utili brevi articoli e trafiletti apparentemente di minore importanza, che non alcuni dei saggi più lunghi ed organici.

La struttura della tesi. Quanto detto fino ad ora ha già chiaramente delineato la struttura e la fisionomia definitive della tesi. Basti quindi qui riassumere in maniera più ordinata quanto contenuto nei tre capitoli che la compongono.
Bisogna innanzitutto segnalare la particolarità della scelta dei titoli dei capitoli e di molti di quelli dei paragrafi: abbiamo infatti ritenuto di utilizzare delle metafore o delle frasi e slogan che esprimessero in maniera simbolica quanto contenuto nei testi. Si tratta di un'opzione narrativa precisa che sacrifica forse la chiarezza scientifica, ma rende bene, a nostro giudizio, lo spirito con cui Langer si approcciava alle cose.
Il primo capitolo - Costruendo ponti... - rispecchia in modo abbastanza fedele quanto inizialmente pensato rispetto alla parte biografica. La modalità narrativa è sostanzialmente cronologica e - mentre la parte più propriamente analitica della tesi si concentra in modo particolare sugli scritti del Langer maturo - in questa parte viene messo in risalto soprattutto il periodo della sua formazione e, più in generale, il rapporto con il Sudtirolo. Non vengono naturalmente trascurati gli altri periodi importanti della vita di Langer, in particolare il periodo dell'università a Firenze, con il fecondo incontro di don Milani e l'impegno nel cattolicesimo del dissenso, o il soggiorno in Germania, che avvicina Langer alla nascente cultura ecopacifista di cui sarà, negli anni Ottanta, il principale traduttore in Italia. Gli anni Settanta, con l'estremismo prima e poi con l'inizio di quel processo di pentimento e conversione così fondamentale per capire quello che nel secondo capitolo abbiamo definito il suo paradigma ecologico di pensiero, viene affrontato in maniera forse un po' veloce, ma spesso, nei capitolo successivi, vengono messi in risalto tutti quegli aspetti che ci sembravano poter essere ricondotti alla peculiare cultura politica di Lotta Continua o alle esperienze sociali di quel decennio. Il rapporto con il Sudtirolo viene enfatizzato perché ritenuto fondamentale alla comprensione di quella tendenza a fare da ponte tra culture e tra "opposti", tessere reti, adoperarsi per mettere in relazione le persone che abbiamo individuato come caratterizzante la vita di Langer ed ogni suo impegno. La sensibilità ambientalista, in questo capitolo, viene messa in relazione a questo desiderio di "fare pace tra gli uomini", ma è difficile non rimarcare come le due cose assumano un ruolo dialettico e complementare.
Del capitolo intitolato Utopie concrete, il secondo, abbiamo già parlato fin troppo. Vi si delineano un'insieme di temi di cui la sensibilità di Langer ha voluto occuparsi in modo qualificante. A discapito dell'apparente frammentarietà degli argomenti, in realtà essi rappresentato per Langer un unico insieme coerente, legato da una costante tensione etica e culturale unitaria. Ne scaturisce un nuovo paradigma interpretativo che abbraccia ogni aspetto della realtà e che abbiamo voluto definire ecologismo, non nel senso comune del termine, assimilabile ad ambientalismo, ma come nuova Weltanschauung con determinate caratteristiche proprie. Di questo parleremo ancora più avanti, trattandosi di una delle ipotesi che con questo lavoro abbiamo voluto proporre alla riflessione di chi fosse interessato ad approfondire Langer. Diremo solo, seguendo la linea espositiva proposta nel capitolo, che il presupposto fondamentale dell'elaborazione ecologista, la svolta di Langer, sta nel concetto di conversione, che reimpostando globalmente l'approccio analitico alla realtà colloca l'esperienza ecologista sostanzialmente al di fuori del sistema ("Fondamentalismo e radicalità", è il titolo di un paragrafo). Una visone completamente nuova del mondo permette di superare la contrapposizione tra conservazione e progresso e tra centro e periferia, di reimpostare i rapporti con i cosiddetti paesi in via di sviluppo e di invertire l'approccio alla pace: non più la tutela dell'ambiente come logica conseguenza del pacifismo, ma l'ecologismo come sua nuova frontiera. Fulcro di una cultura ecologista è il concetto di autolimitazione, che esprime tutta la dimensione volontaristica e quindi la centralità del singolo individuo e della sua autoresponsabilizzazione come oggetto e soggetto al tempo stesso dell'opzione ecologista.
Il titolo del terzo capitolo - La convivenza possibile - non vuole esprimere alcuna certezza di tipo oggettivo (la convivenza è possibile) e neppure una domanda o un semplice auspicio, ma piuttosto la dimensione volontaristica - cioè l'aspetto fortemente etico - di un scelta valoriale ed individuale per un impegno politico e sociale a favore di una convivenza che non ha nulla di scontato, ma che bisogna costruire quotidianamente intervenendo contemporaneamente su molteplici variabili: sociali, culturali, ambientali, politiche e giuridiche.
La struttura del capitolo si presenta estremamente lineare. Si parte da un excursus storico delle vicende sudtirolesi, con particolare attenzione all'immediato dopoguerra (accordo DeGasperi-Gruber) e alla lunga battaglia per l'autonomia che ha attraversato gli anni Sessanta fino ad approdare al secondo Statuto regionale. L'ottica che abbiamo cercato di tenere è quella di Langer, o comunque degli storici sudtirolesi non di regime, come Langer definiva il potere Svp in provincia, in modo da poter evidenziare i processi politici e sociali che hanno portato alla progressiva separazione forzata dei gruppi linguistici ed all'esasperazione del conflitto etnico latente nella società sudtirolese. Il periodo di maggior tensione tra i gruppi - nonostante le apparenze facciano pensare agli anni delle bombe - è stato probabilmente quello degli anni Ottanta, periodo in cui Langer si trovava ad operare come Consigliere provinciale. Una delle battaglie fondamentali della vita di Langer è stata quella contro il cosiddetto censimento etnico, del quale si racconta l'evoluzione storica, le principali caratteristiche e quelli che ne sono le più importanti conseguenze sulla comunità sudtirolese. La dichiarazione etnica nominativa, secondo Langer, rappresenta già di per sé una violazione dei diritti individuali, ma gli effetti socialmente dirompenti derivano dal collegamento tra questa, la "proporzionale" - lo strumento di lottizzazione etnica in uso in molti settori della vita pubblica, economica e sociale del Sudtirolo - e la maggior parte dei diritti di cittadinanza. Questo meccanismo è per Langer funzionale al progetto di segregazione perseguito dall'élite politica e culturale ufficiale del Sudtirolo ("Meglio ci separeremo, meglio ci conosceremo")4 e rappresenta una sorta di pietra tombale posta su ogni prospettiva di reale convivenza nella regione. Il capitolo prosegue poi prendendo in considerazione l'interesse di Langer - quasi automatico - per le minoranze e la loro tutela, in particolare rispetto all'Europa in formazione ed alle enormi opportunità che questa offre. Si conclude poi analizzando il tentativo di teorizzazione che Langer fa della sua scelta per la convivenza.

Le ipotesi. Le ipotesi che in conclusione del lavoro ci sentiamo di proporre alla riflessione di chi volesse approfondire il pensiero di Langer sono sostanzialmente tre.
La più importante riguarda quello che abbiamo chiamato ecologismo. E' nostra convinzione che Langer non si sia occupato di tutta una serie di cose in maniera frammentaria o per sensibilità particolari, ma settoriali, rispetto a questa o quell'altra tematica. Non possiamo cioè isolare l'ambientalismo dal ripensamento del terzomondismo classico, il pacifismo dalla riflessione sul decentramento e sulla riorganizzazione democratica della società e della politica, l'integrazione tra economie dei sussidiarietà e la cultura del "fai da te", la rivalutazione dei valori della conservazione dai processi di liberazione umana. Si delinea in questo modo un paradigma che prende in considerazione ogni aspetto della vita individuale ed associata e che si risolve nella centralità dell'individuo nel suo rapporto con la natura e con il prossimo. Ecologismo, quindi, non inteso come semplice politica ambientale, ma come vero e proprio -ismo da associare nelle analisi agli altri grandi paradigmi - agli altri grandi -ismi - che hanno segnato la storia politico-culturale degli ultimi due secoli. Langer non e sicuramente l'unico né il primo esponente di questo paradigma; ne è tuttavia uno dei più importanti e coerenti teorizzatori. Nella accezione di Langer - e in questo forse vi è un maggiore originalità rispetto a molti altri verdi - l'ecologismo non può essere considerato una filiazione, magari eretica, o un semplice programma di rinnovamento della sinistra. Nonostante in quasi tutta Europa - dalla nuova versione francese dell'Union des gauches alla probabile alleanza post-elettorale tra Verdi ed Spd in una Germania che dovesse decidere di cambiare amministrazione, fino all'esperienza italiana de l'Ulivo - l'esperienza verde si stia culturalmente riducendo ad un semplice "sviluppo sostenibile" e ad una parziale ri-omologazione alla sinistra tradizionale, riteniamo che l'ecologismo di Langer, con il suo dirompente e rivoluzionario presupposto di pentimento e di conversione individuale, dovrebbe essere individuato come una vera e propria nuova famiglia politica da affiancare alle cinque tradizionali già individuate de Duverger5 negli anni Cinquanta e, diversamente dalle altre, non così facilmente collocabile sullo spettro destra/sinistra. Non sono sufficienti, per considerare l'ecologismo una filiazione eretica e libertaria della sinistra, l'anticapitalismo di fondo (che è piuttosto anti-industrialismo) o il progetto di liberazione umana che entrambi condividono. Su quest'ultimo punto, per esempio, basti solo considerare il rovesciamento di ruolo che le due tradizioni - entrambe umaniste - assegnano all'individuo. Per l'ecologismo non esiste un soggetto rivoluzionario privilegiato, ma semmai l'impegno volontaristico e conviviale dell'individuo che, attraverso la propria liberazione culturale e tramite l'affermazione di rapporti interpersonali solidali e non mercificati, è fonte di una conseguente liberazione umana. Per la sinistra tradizionale invece - sia rivoluzionaria che riformista, senza l'eccezione della tradizione più libertaria (per esempio proprio Lotta Continua) - l'individuo si risolve nella massa, sia essa la classe, l'insieme della cittadinanza o la generalità degli sfruttati, ed eventualmente afferma la propria liberazione tramite la liberazione stessa della massa. E neppure l'ecologismo può essere assimilato all'anarchia, pur potendosi in parte collocare nel solco di quella tradizione, sostanzialmente per una diversità nelle modalità dell'azione politica. L'idea che poi sembra diffondersi in queste ultime settimane del 1997, tra gli stessi verdi italiani, di risolvere il superamento della dicotomia destra/sinistra proponendosi come nuovo soggetto del centro politico, non merita probabilmente neppure considerazione. Forse Langer era un verde estremamente anomalo...
Possiamo solo, in questa introduzione, segnalare in modo didascalico le peculiarità che ci sembra aver individuato come fondanti e caratterizzanti il paradigma ecologista, rimandano poi al testo il loro approfondimento e la loro discussione: antiautoritarismo ed individualismo, solidarietà, a-idologismo ed a-dogmatismo nelle analisi e nell'azione, affermazione di compatibilità diverse da quelle del mercato e dell'industrialismo, riformulazione dei rapporti con l'altro e con la natura, localismo ed universalismo ("Pensare globalmente, agire localmente"), policentrismo, valorizzazione delle diversità e delle differenze, austerità e riaffermazione del valore d'uso dei beni ("Meglio con meno"), rallentamento negli stili di vita ("Lentius, profundius, soavius"), convivialità, radicalità. A questi Langer aggiunge il proprio personale ruolo di ponte e traduttore come strumento di conoscenza, di dialogo, di formulazione ed affermazione valoriale.
Una seconda ipotesi riguarda la questione della convivenza, convivenza etnica in particolare, ed è una sorta di corollario al discorso sull'ecologismo. Abbiamo già detto che il tema della convivenza può essere isolato rispetto agli altri trattati, come noi abbiamo fatto, poiché rappresenta un settore di analisi e di intervento particolare di Langer, legato al territorio ed alla situazione in cui è nato e cresciuto. Esso può essere tuttavia considerato uno degli elementi di quell'ecologismo che abbiamo brevemente cercato di introdurre nelle righe precedenti, anche se ne è un elemento particolare, con una parziale autonomia che si pone in rapporto dialettico con tutto gli altri. E' difficile infatti dire se Langer sarebbe giunto all'esperienza ed alla formulazione dell'ecologismo - almeno come da lui vissute - anche a prescindere dal suo particolare percorso formativo all'interno delle divisioni del Sudtirolo e come esponete lui stesso di una minoranza. Ed è altresì difficile misurare quanto la conversione ecologica e la ricollocazione individuale nel rapporto con la natura abbiano modificato l'approccio al tema della convivenza, quale sia cioè il rapporto reale tra i due termini: "Far pace con la natura e tra gli uomini".
Solo una diversità vogliamo segnalare, ed è questa l'ipotesi di fondo che scaturisce dall'analisi dell'argomento: mentre l'elaborazione teorica sull'ecologismo scaturisce da un'analisi in qualche modo "oggettiva" della realtà e ne discende come necessità, pur assumendo una fortissima caratterizzazione morale e culturale all'azione, la riflessione sulla convivenza assume le caratteristiche opposte. Essa non è cioè la causa, ma la conseguenza di un'opzione politica e culturale per la convivenza, che in una situazione come quella del Sudtirolo non ha nessuna valenza di necessità; anzi: l'impostazione segregazionista della Svp sembra avere maggiore rispondenza oggettiva - naturalmente per il fatto di essere fondata su una situazione che lo stesso gruppo dirigente sudtirolese di lingua tedesca è venuto a costruire nel corso degli anni. La scelta per la convivenza, cioè, non nasce da un processo di conversione e di reimpostazione dei meccanismi analitici, ma da un desiderio e da un'aspirazione individuali (e da una formazione personale multiculturale e plurilinguistica) che portano Langer ad impegnarsi di prima persona. Si tratta di riflessioni più propriamente legate all'azione che non alla teorizzazione e in questo senso non aggiungono niente di particolarmente nuovo alla tradizione di pensiero sull'argomento, a meno ché non vengano ricollocate nel più ampio discorso sull'ecologismo. Sicuramente Langer ne è stato uno dei più importanti ed originali esponenti in Sudtirolo, se non addirittura il più importante, ma il suo contributo di originalità e di innovazione, anche in merito alla questione della convivenza, è piuttosto legato all'elaborazione ecologista.
L'ultima ipotesi è un'ipotesi minore, della quale abbiamo già ripetutamente parlato. Riguarda il modo in cui la formazione di Langer abbia determinato la sua tensione al superamento delle divisioni e delle barriere e come questa sia maturata e sia stata esaltata proprio dalla condizione di divisione del Sudtirolo. Questa vocazione si è concretizzata nell'attività di traduttore, che Langer svolgeva anche nel senso letterale del termine, e di "pontiere", volto come sempre era a cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. In questo senso Langer rivaluta la figura del traditore, inteso come colui che tradisce la compattezza del prorio fronte per cercare di capire le ragioni dell'altro e costruire così la pace. Una tensione verso la composizione dei conflitti piuttosto che verso la loro esasperazione che - in parziale contraddizione con l'esperienza dell'estremismo degli anni Settanta - è alla base della stessa conversione e quindi di tutta l'impostazione ecologista conseguente.

Ringraziamenti. Per i ringraziamenti mi riapproprio anch'io della mia individualità, smettendo quel fastidioso "noi" che, a torto o a ragione, mi sono imposto per tutta la scrittura. I ringraziamenti d'obbligo vanno ad Edi Rabini, per la prontezza nel segnalarmi ritrovamenti di articoli o pubblicazioni, per la disponibilità a farmi accedere agli archivi e per i suoi personali suggerimenti e informazioni su Alex. Ringrazio poi la dott.ssa Marta Losito e il dott. Vincenzo Calì, per aver corretto le bozze dei primi capitoli e avermi fornito importanti spunti di riflessione e di approfondimento. Franca e Carla, per i fondamentali pareri da "non addetti ai lavori" e i suggerimenti stilistici da "letterate". Infine Stefano, per la lunga notte di impaginazione.
Meno seri, forse più goliardici, i ringraziamenti agli studenti dell'Università di Trento, specialmente i "sociologi" e i "letterati", e ancor più, in particolare, "quelli dell'Asut" (Associazioni studenti universitari trentini) per aver contribuito a movimentare la mia vita universitaria con l'impegno e la politica studentesca. Il Partito, che ha molto contribuito ad allungare i miei tempi e dal quale ora mi disimpegno anche per le nuove consapevolezze maturate con questa tesi. Non voglio dimenticare i miei compagni di Erasmus, gli amici in generale e Franca, che mi è stata vicina per la maggior parte di questi anni.
Ultimi, ma non meno importanti, i miei genitori, che con alterna pazienza hanno atteso questo momento.

Note

1- E' il motivo per cui, nel dare un titolo a questo lavoro, abbiamo optato per la dizione cultura della convivenza, anziché teoria. Quella di cultura esprime infatti meglio, a nostro parere, la dimensione volontaristica e politica, oltreché l'opzione valoriale - culturale appunto - della scelta per la convivenza.

2- Evitiamo in questa sede di dare i riferimenti bibliografici precisi, presenti invece nel testo e, naturalmente, nella bibliografia.

3- Famosa e provocatoria frase di Paul K Feyerabend, con la quale intendeva rendere l'essenza della sua "metodologia anarchica". In italiano è stata tradotta, badando più a conservarne l'aspetto provocatorio che non a rispettarne la forma, con: "Tutto fa brodo".

4- Celebre frase di Anton Zelger, famoso assessore provinciale alla cultura, che riassume le posizioni della Svp in materia di convivenza. Non entriamo nello specifico, poiché spesso se ne parlerà nel corso del lavoro.

5- Ci riferiamo al celebre libro degli anni Cinquanta I partiti politici. Duverger individuava cinque famiglie politiche nella tradizione europea: radicalismo di destra, conservatori, liberalismo (di destra e di sinistra), socialismo e comunismo. Se Duverger considerava di due diverse famiglie socialisti e comunisti, a maggior ragione l'ecologismo dovrebbe poter godere di una propria dignità autonoma.

1 E' il motivo per cui, nel dare un titolo a questo lavoro, abbiamo optato per la dizione cultura della convivenza, anziché teoria. Quella di cultura esprime infatti meglio, a nostro parere, la dimensione volontaristica e politica, oltreché l'opzione valoriale - culturale appunto - della scelta per la convivenza.
2 Evitiamo in questa sede di dare i riferimenti bibliografici precisi, presenti invece nel testo e, naturalmente, nella bibliografia.
3 Famosa e provocatoria frase di Paul K Feyerabend, con la quale intendeva rendere l'essenza della sua "metodologia anarchica". In italiano è stata tradotta, badando più a conservarne l'aspetto provocatorio che non a rispettarne la forma, con: "Tutto fa brodo".
4 Celebre frase di Anton Zelger, famoso assessore provinciale alla cultura, che riassume le posizioni della Svp in materia di convivenza. Non entriamo nello specifico, poiché spesso se ne parlerà nel corso del lavoro.
5 Ci riferiamo al celebre libro degli anni Cinquanta I partiti politici. Duverger individuava cinque famiglie politiche nella tradizione europea: radicalismo di destra, conservatori, liberalismo (di destra e di sinistra), socialismo e comunismo. Se Duverger considerava di due diverse famiglie socialisti e comunisti, a maggior ragione l'ecologismo dovrebbe poter godere di una propria dignità autonoma.
pro dialog