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1.4 - L'università: "come farò a non diventare maestro anch'io?"

Senza mai smettere di occuparsi del suo Sudtirolo, ed anzi come abbiamo visto con una costante presenza, dal 1964 Alex si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Firenze. E' un periodo importante per la sua formazione politica, utile per uscire dal ristretto orizzonte politico sudtirolese tutto incentrato sui rapporti etnici e per approdare al vivace mondo dei movimenti del dissenso cattolico e, più in generale, della sinistra italiana pre-sessantotto.

Senza molta convinzione mi iscrivo a giurisprudenza. Con molta convinzione vado a studiare a Firenze. Ci resto intensamente dal 1964 al 1967. Meno intensamente ci starò anche nel 1968. Non me ne pentirò mai.
Sono gli anni del dialogo tra cattolici e marxisti. Vengo a conoscere la variegata sinistra italiana. Scopro in particolare la sua componente popolare.
Incontro Giorgio La Pira, mio professore; Ernesto Balducci, che ogni settimana tiene una lezione sul Concilio, al cenacolo. Entro in contatto con "Il ponte" di Enriques Agnoletti (pubblicherà nel 1967 un mio lungo articolo sul Sudtirolo), con "Testimonianze" (che anche mi invita a scrivere), con "Politica" (idem). Conosco Giorgio Spini, Paolo Frezza, Enzo Mazzi, Paolo Barile (con cui mi laureo), tanti altri. Imparo ad apprezzare i pregi della democrazia italiana. Vedo i comunisti da vicino, seguo le vicende del dissenso cattolico, vado ai dibattiti, faccio amicizie. L'incontro più profondo è con Don Milani e la sua scuola di Barbiana, per la quale insieme ad una vecchia ebrea austro-boema, Marianne Andre, tradurrò in tedesco Lettera ad una professoressa (pubblicata nel 1970). Come farò a non diventare "maestro" anch'io? (24)

Le amicizie e le conoscenze che Alex stringe a Firenze dureranno, in molti casi, per tutta la vita. Vi incontra tra gli altri Valeria Malcontenti, la sua compagna, che sposerà nel 1984.
Particolarmente importante è l'incontro con la comunità di Barbiana. Don Milani è un po' diffidente in principio. Provocatoriamente vorrebbe che tutti gli studenti universitari, in qualche modo privilegiati, abbandonassero lo studio. L'esperienza segnerà comunque profondamente Alex, che per tutta la vita avrà ben presente l'esempio di dedizione ed intransigenza morale di don Milani. Langer ricorda nel 1987:

[…] La sua presa di posizione sull'obbedienza che non era più una virtù mi colpivano profondamente ed esprimevano una posizione morale ed esistenziale in cui anch'io mi riconoscevo. […] Avevo capito una cosa determinante: che don Lorenzo Milani aveva deciso di voler parlare "ai poveri" e che per poterlo fare doveva prima "dare loro la parola": così aveva deciso di fare scuola, come presupposto essenziale di evangelizzazione. Caduto in odore di filo-comunismo, era stato tolto dalla circolazione, come il suo libro: mandarlo a Barbiana, significava renderlo muto ed isolato.
[…] Due tra le cose da lui dette mi sono rimaste particolarmente impresse.
"Dovete abbandonare l'Università. Voi non fate altro che aumentare la distanza che c'è tra voi e la grande massa della gente non istruita. Fate piuttosto qualcosa per colmare quella distanza. Portate gli altri al livello in cui voi vi trovate oggi, e poi tutti insieme si farà un passo in avanti, e poi un altro ancora e così via. [Altrimenti] sarete al servizio solo del vostro privilegio - per curare le nostre malattie e per decidere le cause nei tribunali ci bastano i mercenari pagati, non c'è bisogno di voi." (Non lasciammo l'Università. Ma demmo inizio ad un doposcuola a Vingone, presso Scandicci, basato sul volontariato di parecchi universitari, e frequentato prevalentemente da figli di immigrati meridionali). (25)

Alexander non può accettare, soprattutto, l'altro ordine di don Milani, secondo il quale non si può amare tutta l'umanità, ma non più di 3-400 persone. (26)
Langer, infatti, continuò in seguito e per tutta la vita a credere ed a lottare per l'umanità intera, in qualunque parte del mondo essa si trovasse. L'universalismo dell'azione di Langer, che trovava in ogni caso affermazione non nell'enunciazione o nella lotta per principi generici, ma nel particolare e nel quotidiano delle battaglie concrete, voleva trascendere i confini del contingente per affermare la democrazia e la giustizia come valori validi in qualsiasi parte del mondo. Per lui l'impegno reale per 3-400 persone non poteva rappresentare solo la specificità del caso, ma lo strumento per una superiore liberazione umana.
Ad un certo punto don Milani proibisce l'accesso a Barbiana a tutti quelli che hanno un titolo di studio superiore alla terza media, a meno che non siano chiamati esplicitamente da lui per una funzione precisa, cosa che a Langer capita un paio di volte. Una delle rare eccezioni è rappresentata da un'anziana ebrea boema laureata in matematica, che viene accettata solo perché, perseguitata durante la guerra, aveva perso tutti i privilegi legati alla sua istruzione e condizione sociale. Con lei, Alexander traduce in tedesco, dopo la morte di don Milani, Lettera a una professoressa.
Langer confessa che, in tutta l'ammirazione per don Milani, furono due le cose che in particolare lo incuriosirono e che non ebbe mai il coraggio di chiedere.

Avrei voluto capire quale eredità don Milani aveva ricevuto e conservato dell'ebraismo, che lui aveva abbandonato per convertirsi ad un rigoroso cattolicesimo.
Ed avrei voluto domandargli la ragione della sua (eccessiva, secondo me) fiducia nelle grandi aggregazioni (la chiesa, la Dc, i comunisti, il sindacato), e della sua diffidenza e forse disprezzo per le minoranze (i "filo-cinesi", il Psiup di allora, gli "estremisti", le minoranze laico-radicali). Avevo capito che lui credeva molto nelle grandi culture popolari e nella necessità che le idee forti si facessero strada in modo non elitario tra le grandi masse. Ma ho sempre avuto il sospetto che questa impostazione facesse in qualche modo violenza alla sua stessa storia, tutta quanta: dalla sua origine, al suo cammino nella chiesa fiorentina, fino all'esilio di Barbiana ed a quell'ultima sua disperata attesa di un cenno di riconoscimento e di apprezzamento da parte del suo vescovo e persecutore, il cardinale Florit. (27)

Alexander passa il quarto ed ultimo anno di Università, il 1967-68, prevalentemente a Bolzano, dove è tornato per seguire più da vicino l'evoluzione dei rapporti etnici e partecipare più attivamente alle prime battaglie per la convivenza, in particolare con la redazione di die Brücke. Gli capita così di vivere il movimento studentesco in periferia: una periferia particolare come quella sudtirolese. Alex ed il suo gruppo lanciano una campagna contro il monopolio del Dolomiten, e più in generale dell'editore Ebner, nel mondo tedesco. Nonostante gli scarsi rapporti con l'Università di Trento e con la facoltà di sociologia, die Brücke, che nel frattempo comincia ad ospitare interventi in lingua italiana, pubblica articoli sul movimento studentesco. Nel febbraio del 1968 Langer ottiene la sua prima supplenza al liceo scientifico italiano di Bolzano e solidarizza con l'occupazione organizzata dagli studenti. (28) Tra le principali rivendicazioni dei ragazzi c'è quella di imparare il tedesco bene quanto i giovani tedeschi imparano l'italiano: mentre gli stati discutono del futuro dell'autonomia sudtirolese, il movimento vuole finalmente superare le barriere etniche. ( In occasione della visita del ministro dell'istruzione Gui, per la campagna elettorale dell'aprile 1968, gli studenti assediano il municipio.
Il 18 luglio, perfettamente in corso, si laurea in giurisprudenza con una tesi sul Sudtirolo intitolata L'autonomia della provincia di Bolzano nel quadro dell'autonomia regionale. Sue prospettive di riforma. Durante l'estate, con alcuni amici, fa un viaggio in alcune città della Germania e a Praga, dove assiste all'invasione sovietica e ai primi giorni di repressione.
Nell'autunno ottiene una borsa di studio del Cnr (Consiglio nazionale per la ricerca) per una ricerca di diritto costituzionale comparato a Bonn. E' la prima occasione per cominciare a soddisfare il bisogno di conoscenza "dal di dentro" del mondo germanico:

La mia formazione "letteraria" (dalle fiabe ai libri di avventura, dai classici ai contemporanei) è avvenuta praticamente tutta in lingua tedesca. I miei studi, i miei incontri, le mie frequentazioni invece hanno un segno più italiano. Così mi resta una forte domanda di conoscenza del mondo tedesco dall'interno. Dopo la conclusione del mio corso di studi a Firenze, cerco e trovo occasione per fare questa conoscenza ravvicinata, che mi accompagnerà poi per sempre.
Un anno a Bonn, con il mio posto di lavoro alla biblioteca del Bundestag e l'iscrizione come Gasthörer all'Università; viaggi in numerose città tedesche, austriache, svizzere; articoli pubblicati - dal 1967 - su giornali e riviste di questi paesi; amicizie o scambi epistolari; un secondo soggiorno prolungato in Germania (autunno 1973 - estate 1975) con la costruzione di un vero e proprio osservatorio politico e sociale (per conto di "Lotta Continua") sui paesi dell'Europa centrale e nordica, e con numerosi contatti con operai e sindacalisti tedeschi, austriaci, immigrati, gruppettari, militanti, studiosi.
Non mi viene mai alcun senso di inferiorità rispetto ai Tedeschi delle madrepatrie; a volte mi sembra, anzi, che da sudtirolese certe cose della cultura tedesca si apprezzino di più. (30)

Nel frattempo si iscrive a Sociologia a Trento, dove conseguirà una seconda laurea, senza però frequentare, il 5 luglio 1972. Come la prima, anche la tesi in sociologia, preparata insieme a Bruno Lovera e subito pubblicata da Lotta Continua di Bolzano, si occupa del Sudtirolo: Analisi delle classi e delle contraddizioni sociali nel Sudtirolo.
Dopo l'anno passato in Germania, tra il 1969 e il 1972 continua ad insegnare storia e filosofia in scuole tedesche tra Bolzano e Merano.
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