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2.4 - L'ecologia della politica: la cultura dei Verdi
Scrive Langer in un già citato articolo del 1986 per Micromega:
Se i "Verdi" quindi si qualificano come un movimento non solo "ambientalista", ma ecologista in senso più lato e più profondo, essi dovranno anche accettare in pieno di essere il movimento della qualità contro la quantità, dell'autolimitazione contro l'espansionismo, della possibilità di sganciarsi dallo "sviluppo" contro l'obbligatorietà delle conquiste beatifiche dell'industrialismo moderno, non importa molto da chi sia gestito.
Una simile posizione può significare - ed in ciò può essere implicito un sostanzioso conflitto con la "sinistra" - una rivalutazione profonda e reale della "conservazione", contrapposta all'enfatizzazione del "cambiamento", della "transizione", della "trasformazione" comunque denominata e definita. Ma implica sicuramente anche - contrapponendosi con naturalezza ed irriducibilità alla "destra" - un rifiuto convinto della violenza, dei processi autoritari e coatti, delle società gerarchizzate e tendenti all'omologazione obbligatoria, della competizione e della "prestazione" eretta a misuratore universale.
Nell'immediato futuro è prevedibile che i "Verdi" debbano ancora maturare più compiutamente le numerose, profonde e non sempre lineari implicazioni di molte loro critiche o intuizioni appena affiorate. Non è un caso che forse la forma di azione attualmente più confacente a questo movimento sia una sorta di obiezione di coscienza, un "no, grazie!" opposto alle seduzioni e coercizioni del falso progresso. (32)