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2.4.3 - "Riabilitare il campanile: c'è bisogno di indigeni che facciano i custodi della terra"

Nei primi anni Novanta, Langer riflette anche sulla "gestione" amministrativa, politica e culturale di una svolta ecologica. La sua è un'impostazione che, privilegiando l'individuo e le piccole comunità, (58) porta con sé evidenti implicazioni democratiche e partecipative "dal basso".
Langer parte dal presupposto - ci sembra per lui stesso spiacevole - che le forme della democrazia rappresentativa così come sono venute sviluppandosi possono rappresentare dei limiti all'assunzione di decisioni ecologicamente appropriate. Cause di questa tendenza "antiecologica" delle democrazie moderne sono, tra le altre, la disinformazione dei soggetti coinvolti, i processi di agenda setting monopolizzati dai mass media, l'irresponsabilità dei decisions makers, la brevità dei tempi della politica rispetto a quelli dell'ecosistema, il peso ricattatorio del sistema economico industriale e, soprattutto, il coinvolgimento di massa nei processi socio-economici e nei comportamenti consumistici ecologicamente dannosi. Ciò, però, non deve rappresentare una giustificazione per scorciatoie politiche di tipo autoritario o "ecodittatoriale", che pure alcuni vaneggiano, (59) ma la base per un ripensamento critico della stessa organizzazione democratica. (60) Per Langer è necessario conciliare ecologia e democrazia perchè, risulta evidente da quanto già detto fino ad ora rispetto alle responsabilità individuali, è "l'unica garanzia seria di rispetto diffuso e convinto di scelte ecologiche". (61) Lo stesso, sacrosanto programma di generalizzare la valutazione di impatto ambientale (e per Langer culturale, sociale, etico), per esempio, non deve trasformarsi in gestione tecnocratica e burocratica delle risorse.
La scissione tra i costi e i benefici del progresso, prodotto della società industriale, (62) impone tuttavia di cercare un nuovo equilibrio ed una "sede" adatta alla sua gestione:

La dimensione locale, da un lato, ed il diritto di intervento (democratico, pacifico) di chi è colpito dalle conseguenze delle decisioni e comportamenti altrui si devono combinare tra loro, ed andrebbero riconosciuti e valorizzati anche istituzionalmente.
La continuità tra passato, presente e futuro; un quadro di solidarietà e di interconnessione inter-specifica (tra diverse specie di viventi); il senso della misura; una realistica e più equilibrata relazione costi e benefici; una dimensione verificabile e meno effimera della responsabilità e della solidarietà (anche tra generazioni presenti e future); una dimensione attuabile e verificabile della democrazia: ecco quanto si potrebbe affermare e sviluppare in una dimensione locale, alla quale non deve mancare, tuttavia, il temperamento dell'interventismo di chi fosse negativamente colpito da conseguenze di comportamenti isolazionisti ed egoismi ingiustificabili.
Riabilitare i "campanili" e sviluppare la rete di inter-azione tra essi mi sembra, in conclusione, una via tutt'altro che pre-moderna per individuare un luogo di almeno parziale e tendenziale ricomposizione tra vantaggi e svantaggi, per far valere un ragionevole invito all'autolimitazione ed, in definitiva, per pensare davvero globalmente, agendo localmente. (63)

Langer, naturalmente, non si nasconde i rischi di localismo e di chiusura di una simile impostazione, ma ne esalta quella che chiama "autodeterminazione ecologica democratica" (64) e le conseguenti assunzioni di responsabilità rispetto alle scelte individuali.
Si innesta su questa riflessione - emerge già nell'ultimo passaggio del brano citato - un ragionamento sulle periferie (65) e su una loro possibile rinascita. Questa si prospettata come reazione all'umiliazione stessa di essere relegate, dai moderni processi di globalizzazione e di centralizzazione dei meccanismi decisionali, a "periferia" nel senso più deleterio del termine. La progressiva ed apparentemente contraddittoria parcellizzazione/centralizzazione del potere - che si fatica ad individuare e del quale non si percepisce la fonte di legittimazione e di consenso, ma che è comunque "altrove" - può produrre un recupero di dignità, anche storica, e una fierezza del proprio essere periferia in contrapposizione ad un centro che implode e che si presenta con le credenziali di un degrado qualitativo della vita sempre più evidente (traffico, aria inquinata, crisi degli alloggi, rifiuti, ecc.). Le periferie devono quindi sottrarsi al meccanismo che le vede destinatarie di cicli e decisioni che non possono influenzare, sottraendosi al desiderio di imitare il centro ed imparando a fare da sé, cioè uscendo dall'assistenzialismo.
Questa opportunità investe tanto la dimensione ecologica quanto quella economica, che nella dimensione locale possono saldarsi in modo coerente e costruttivo. Economie di sussidiarietà (66) - che tendano a produrre e consumare in loco i beni di prima necessità ed a ripristinare il valore d'uso delle cose sottraendole alla progressiva mercificazione di ogni bene, servizio e rapporto sociale - sono il presupposto per una "chiusura del cerchio" che anche in ecologia porti a smaltire in proprio l'incidenza individuale e comunitaria sulla realtà ambientale, con la conseguente relativa presa di coscienza.
In questo modo si facilità una partecipazione democratica reale, favorita dalla ridotta dimensione dei numeri; e favorendo gli scambi direttamente tra periferie si esce dal passaggio obbligato per il centro e quindi dalla relativa subordinazione, evitando anche i rischi di una chiusura provincialistica. Per Langer, federalismo significa innanzitutto creare queste nuove direttrici di scambio, fondando la collaborazione su un'interpretazione ed un'applicazione reale del principio di sussidiarietà e tramite un progressivo svuotamento degli stati nazionali nelle due direzioni verso l'alto (per esempio l'Europa) e verso il basso.
Nonostante questi presupposti, molti osservatori di quegli anni paventavano rischi di derive autoritarie nella cultura verde ed ecologista, in ragione soprattutto di alcune tendenze integraliste indubbiamente presenti in certi settori del movimento ambientalista. Già l'allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, nel 1984, aveva cercato di sgonfiare politicamente il potenziale impatto elettorale delle nascenti Liste verdi denunciando nei movimenti ecologisti e pacifisti un terreno di coltura, magari involontario, o comunque un rifugio per provocatori e terroristi di ogni provenienza. (67) Langer, come detto, non si nasconde la tentazione integralista di alcune aree dell'ambientalismo, ma risponde che non esiste nobile causa che non possa essere convertita nel suo contrario e che è quindi certamente necessario analizzare con estrema diffidenza ogni germe di totalitarismo che possa nascondersi in qualsiasi nuova pratica politica, compresa quella "verde". Certamente, l'ambientalismo può fornire nuova linfa ad ogni corrente politica che necessiti di rigenerarsi, poiché tutti possono essere "Verdi". I veri rischi dell'ambientalismo, però, non stanno in un qualche irrazionalismo vitalistico che può caratterizzarlo, ma nello scientismo tecnocratico, cioè nell'idea che scienza e tecnologia possano essere fonti di legittimazione politica, e nella biocrazia, che elevando l'idea di vita a nucleo centrale di un ordinamento "secondo natura" potrebbe presentare tentazioni di tipo ecodittatoriale e totalitario. (68)

Qualcuno è tentato da risposte dittatoriali: l'austerità forzata, la compressione delle generazioni presenti pur di assicurare un possibile futuro ai posteri, l'autoritarismo ecologico dirigista e pianificatore (in materia demografica, dei consumi, delle libertà ammissibili, ecc.).
Ma l'esperienza storica finora ha dimostrato che nessuna risposta autoritaria e dittatoriale è mai riuscita a incarnare davvero interessi "superiori" o di lungo periodo: anche a prescindere da ogni ragione di attaccamento alla democrazia, si può semplicemente osservare che il sacrificio di libertà e di democrazia che esse comportano, non viene ripagato in termini di benefici sociali o ecologici, ma anzi aumenta i rischi di appropriazione e uso incontrollato di poteri, risorse e sovranità sul futuro di tutti.
Ecco perché riguadagna una forte attualità l'insegnamento del "perdersi per trovarsi": solo una linea di consapevole autolimitazione del proprio "impatto generazionale" potrà segnare dei confini democratici e convincenti alla nostra usurpazione del futuro e della sovranità di chi verrà dopo di noi. Ma una linea di siffatta autolimitazione non potrà affermarsi né senza una forte spiritualità che sviluppi le motivazioni in quella direzione, né attraverso un'ideologia e una pratica di negazione del presente in nome di un futuro (nostro e dei posteri). Distruggere il presente per salvare il futuro non può essere una proposta né convincente, né vincente. [Corsivo nostro, n.d.a.] (69)

Per Langer il pericolo maggiore viene invece dal potere di chi gestisce le grandi strutture economiche, tecniche, scientifiche e amministrative, oltre che l'informazione; strutture che possono tra l'altro legittimarsi quale nuovo strumento di dominio "illuminato" del Nord sul Sud del mondo nel nome della tutela ambientale. La parte industrializzata del mondo - e maggiormente responsabile dell'inquinamento della biosfera - potrebbe infatti sentirsi legittimata, in virtù della propria esperienza e della propria tecnologia, ad assumersi il ruolo di "garante" mondiale" di uno sviluppo sostenibile, imponendo un modello di crescita simile al proprio, ma subalterno, controllato e vincolato, ai paesi che chiama con arroganza "in via di sviluppo". I sintomi di simili tendenze sono già tutti presenti.
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