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2.5 - Ambiente e nuovo terzomondismo: un incontro inevitabile

Dopo la Conferenza mondiale sull'ambiente di Rio de Janeiro, nell'estate del 1992, Langer non adotta ancora quei toni delusi e pessimistici che caratterizzeranno i riferimenti al vertice presenti invece nei suoi scritti degli ultimi anni. In un articolo del luglio 1992 (70) esprime relativa soddisfazione per il fatto che il vertice abbia in qualche modo indicato una generica necessità di cambiamento, ma inizia a criticare il concetto di sviluppo sostenibile. Se l'american way of life (un americano pesa sulla biosfera ottanta volte più di un indiano) non è messa in discussione, (71) nessun trattato internazionale potrà coniugare sviluppo e ambiente. Langer, nella maggior parte dei suoi interventi, sembra non credere al concetto di sviluppo sostenibile, però condivide, come strumento di intervento e di lotta, le affermazioni contenute nella "Dichiarazione di Rio" degli Organismi non governativi:

Coloro che beneficiano della crescita economica sono riluttanti ad abbandonare i comportamenti consumistici; quelli che aspirano a raggiungere un giorno questi comportamenti, sostengono l'idea dello sviluppo ad ogni costo; tutto questo, mentre molte persone non possono soddisfare i propri desideri perché al di sotto delle condizioni minime di vita. Abbiamo capito che la "società sostenibile" si costruisce a partire dall'iniziativa e dalla partecipazione dei gruppi, delle comunità locali e dei popoli. Valorizzare le piccole esperienze e soluzioni, promuoverle su scala regionale, nazionale e mondiale fa parte integrante del nostro lavoro. Ai propositi di integrazione tout-court del Sud del mondo nel mercato internazionale, noi proponiamo come alternativa l'integrazione dei popoli nella lotta per un futuro giusto e democratico. (72)

Langer (ri-)inizia ad occuparsi del Terzo Mondo verso la metà degli anni Ottanta. Abbandonate le suggestioni terzomondiste di stampo marcusiano che avevano contraddistinto parte della sinistra nei due decenni precedenti, le riflessioni sulla tutela della biosfera e sullo sviluppo industriale conducono necessariamente ad interrogarsi sul ruolo dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, sulle nuove forme di sfruttamento delle popolazioni di quei continenti e sullo stato dell'ambiente in zone che custodiscono i più importanti "tesori" dell'ecosistema mondiale. I popoli del Terzo Mondo - nella nuova impostazione eco-terzomondista - smettono di essere il nuovo soggetto che, accanto agli studenti e ai disoccupati, sostituisce il proletariato industriale nella lotta e nella costruzione rivoluzionaria del socialismo, per diventare invece il termine di paragone stesso per il confronto con l'altro nella società globalizzata, il "luogo" di conservazione di stili di vita alternativi a quelli frenetici tipici delle società industrializzate del Nord, l'esempio per una possibile emancipazione fondata sugli individui e sulle comunità conviviali. (73)
Alla fine di un convegno tenutosi a Bolzano nel gennaio del 1985, uno degli organizzatori riassunse così il risultato del confronto: "Nessuno patisce la fame perché noi mangiamo troppo, bensì perché non pensiamo abbastanza; il nostro problema non è tanto quello di dare di più, quanto di rubare di meno; se vogliamo che nel Terzo Mondo cambi qualcosa, bisogna che innanzitutto le cose cambino qui da noi." (74) Si fa quindi strada nella coscienza verde, e tramite la coscienza verde, una nuova impostazione dei rapporti di cooperazione che oggi è diventa patrimonio comune di tutta l'area sociale ed economica che si occupa di Terzo Mondo: e cioè che un rallentamento dello sviluppo industriale e consumistico del Nord rappresenta il modo migliore di aiutare il Sud. Un cambiamento "verde" dell'economia, quindi, ed una redistribuzione solidaristica del lavoro nel mondo industriale come contributo strutturale ad uno sviluppo diverso, e non solo sostenibile, del sud del mondo. Ancora una volta è l'individuo il primo responsabile di questa svolta:

Chi riesce a mettere sabbia negli ingranaggi violenti ed espansivi, veloci e smisurati del mondo industrializzato e del suo sviluppo basato sulla crescita, con ciò stesso contribuisce in modo sensibile al principale obbiettivo del sud del mondo, che consiste nella diminuzione di una forbice che si allarga invece di chiudersi, nella crescita endogena, autogestita, contenuta a misura d'uomo e controllabile con le proprie forze.
Oggi si incontrano persone il cui contributo alla liberazione del sud del mondo sta nell'uso di borse di juta invece che di plastica, o di caffè del Nicaragua invece che delle multinazionali - ma anche nella rinuncia all'automobile o nella riconversione delle proprie abitudini alimentari, o nel boicottaggio sistematico della frutta proveniente dal Sudafrica. (75)

Nel corso dell'estate del 1987, Langer si attiva per dare il via ad una Campagna Nord - Sud: biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito, che vede ben presto una grossa partecipazione di ambientalisti, sindacalisti, organizzazioni e gruppi di cooperazione e solidarietà con i popoli del Terzo Mondo, ecc. Primi risultati di questo lavoro furono un Appello - presentato il 16 gennaio 1988 - e due incontri di approfondimenti, uno internazionale, tenutisi nella primavera dello stesso anno.
Fulcro di tutta l'iniziativa, che avrà un seguito anche negli anni successivi, è l'idea che si debba cominciare a ragionare in termini sinergici tra ecologia, economia e rapporti Nord - Sud. Il debito dei paesi del Sud è in realtà, secondo Langer e gli estensori dell'appello, un credito ambientale, ma anche economico.

Quando diciamo che il sud è nostro creditore, non lo diciamo solo in termini morali (firmando così una modesta cambiale pagabile con qualche aggiustamento culturale verbale), ma anche in termini economici, monetari, finanziari, e diciamo da tempo che è nell'interesse anche delle popolazioni del Nord del mondo che il nostro debito venga pagato, per non spingere il Sud sulla via del massimo sfruttamento rapace delle sue risorse ed il Nord sulla via dell'ulteriore corsa al riarmo economico, tecnologico e finanziario. Non è solo questione umanitaria o ecologica o di giustizia, ma anche di salute e di benessere nostro. Aumentare i prezzi dei prodotti agricoli, soprattutto del Sud, pagare più care le risorse energetiche e le materie prime, interdire rigorosamente l'esportazione di rifiuti tossici e di prodotti chimici pericolosi, bloccare il traffico di armi, limitare la predazione dei mari, dei suoli e delle foreste del Sud da parte delle nostre industrie, far pagare caro l'inquinamento dell'atmosfera che viene dalle nostre industrie, dai nostri veicoli a motore e dai nostri riscaldamenti non significa regalare qualcosa al Sud, ma obbligare noi stessi a cercare vie più sostenibili per continuare a produrre, a scambiare, a trasportare, ad alimentarci, ad avere il necessario approvvigionamento energetico. [Corsivo nostro, n.d.a.] (76)

Su questa idea-forza si costruisce negli anni successivi tutta l'attività in favore del Terzo Mondo di Langer, che per esprimere con una metafora la nuova natura dei rapporti di sfruttamento nei confronti del Sud, e paragonando il meccanismo del debito estero alla tossicodipendenza, scrive: "Noi siamo gli spacciatori, e poi ci lamentiamo di essere derubati dell'autoradio". (77)
Per la prima volta nella storia del pianeta, i nuovi livelli di vita ed i consumi del Nord e il tentativo da parte del Sud di imitarli, ci costringono a depredare la natura - che finora aveva sempre prodotto più di quanto non fosse necessario per coprire i bisogni dell'umanità - in maniera insanabile, utilizzandone non più solo gli interessi (ciò che essa produce), ma intaccando anche il capitale (l'ecosistema stesso). (78) Come già detto, la tendenza è di intestare ad altri i costi di questo utilizzo suicida della natura: ai paesi del Sud del mondo o alle generazioni future. Il meccanismo è una sorta di circolo vizioso, che parte dal paradosso per cui i paesi maggiormente "debitori" nei confronti della Terra figurano come "creditori" economici dei paesi cosiddetti "in via di sviluppo". Il nostro debito con la natura viene in un certo senso scaricato su quei paesi attraverso prestiti ed investimenti finanziari. Il debito estero diventa quindi il meccanismo che costringe i paesi finanziariamente "debitori" (quelli del Sud del mondo) alla distruzione delle risorse ambientali per pagare gli interessi di tale debito. L'alternativa proposta dalle nuove tecnocrazie "ambientaliste" del Nord è quella di porre le economie e le politiche ambientali e demografiche del Sud sotto la tutela dei "paesi avanzati" - che avrebbero raggiunto la consapevolezza, le conoscenze e gli strumenti tecnici necessari ad uno sviluppo sostenibile - magari sotto forma di organismi internazionali. Il risultato è comunque uno sviluppo economico di tipo industriale e occidentale che distrugge ogni forma di società conviviale tramite l'omologazione culturale ed economica, quando non con lo sterminio fisico. (79) Il circolo vizioso di cui si parlava, progressivamente accelerato, imposto ai paesi "da sviluppare" passa per uno sviluppo forzato, i relativi crediti internazionali, l'indebitamento, la devastazione sociale e ambientale necessaria al pagamento del debito, il servizio di tale debito, per tornare all'imposizione del modello di sviluppo, che unico permette l'accumulazione di ricchezze necessarie al pagamento del debito. (80)
Se la prospettiva diventa invece quella di una crescita dell'autonomia materiale e culturale delle popolazioni (e specialmente delle donne) e una modificazione globale degli stili di vita e degli squilibri che li fondano, (81) l'alternativa di lotta che viene proposta è quella di una alleanza tra le parti maggiormente sensibilizzate delle popolazioni del Nord - i pentiti, i convertiti, gli "obbiettori di coscienza e disertori nelle file dei conquistatori" (82) - e chi nel Sud si batte per l'ambiente, per i popoli a rischio di estinzione, per uno sviluppo alternativo:

L'idea della reciprocità. Noi, e lo sanno bene quelli impegnati nei movimenti internazionalisti, come lo sanno i sindacalisti, i pacifisti, quante volte ci siamo imbattuti nella contraddizione che gli interessi dei popoli del sud del mondo sono male rappresentati dai governi, dalle classi dominanti, dalle istituzioni che a loro nome contraggono il debito, a loro nome si armano, a loro nome cercano mega-progetti e così via. Probabilmente loro penseranno altrettanto di noi, e giustamente. Penseranno "quelli sono matti a finanziare o far finanziare una distruzione che alla fine colpisce anche loro". L'idea forza che noi vorremmo opporre a questa situazione è quella di costruire dei vincoli, dei rapporti diretti di interscambio, di cooperazione, solidarietà tra i popoli del sud del mondo e i popoli del nord del mondo. Perché ciò diventi un po' meno astratto, un po' meno generico, noi pensiamo che questi vincoli di solidarietà, di reale reciprocità e interdipendenza oggi possano avere occhi, orecchie, bocche, mani, piedi soprattutto usando come costruttori di ponti e solidarietà, quelli che tutto questo lo hanno capito e già lo attuano. I movimenti Verdi, ambientalisti, ecologisti del nord del mondo, le organizzazioni sindacali, le organizzazioni di rappresentanza indigena, i meccanismi della cooperazione, ma anche fisicamente, singolarmente, i cooperanti che conoscono direttamente la situazione di quei paesi e sanno quali e in quale modo possono essere gli interventi necessari, compatibili e quelli che sono, invece, dannosi e incompatibili. (83)

Con la caduta del Muro di Berlino e l'affacciarsi dei paesi ex-comunisti sulla scena internazionale degli "aiuti" allo sviluppo - in particolare con il loro problemi di riconversione economica, incompatibilità ambientale e ammodernamento industriale delle loro obsolete strutture - rischia di profilarsi una guerra tra poveri combattuta dall'Est europeo e dal Sud del mondo per ingraziarsi il Nord occidentale e i suoi aiuti. Generalizzare a tutti gli stessi livelli di vita, di consumi e di sprechi non è proponibile, sia per ragioni ambientali che socioeconomiche. Langer pone ancora una volta, e con estrema chiarezza e crudezza, le due alternative:

Così ci troviamo di fronte ad una realtà nuova, ad un bivio molto chiaro:
a) o lo "sviluppo ineguale e blindato" del Nord, con marginali concessioni - magari differenziate - all'Est ed al Sud;
b) o un radicale "cambio di rotta" verso scelte di condivisione e di equità.
Oggi appare senz'altro più probabile il primo dei due scenari: il Nord continuerà a voler crescere e svilupparsi, facendo debiti sempre maggiori a carico del Sud, della natura, e delle future generazioni, rimandando più in là possibile il pareggio dei conti o, meglio, la bancarotta. (Più in là si rimanda il pagamento dei conti, più disastrosamente impagabili risulteranno.) (84)

Il concetto di cooperazione e di interscambio viene quindi a ricollocarsi in un nuovo e più ampio contesto. La proposta di Langer, anche per evitare una sorta di "lottizzazione della solidarietà" tra la destra che guarda a Est e la sinistra che guarda a Sud, assume le caratteristiche della triangolazione:

Ci vorrà del tempo perché l'ecologismo dell'ovest e dell'est convergano in un comune progetto di autolimitazione e contrazione dell'espansione (soprattutto in occidente) e ricerca di uno sviluppo più lento, più moderato e meno nocivo per l'ambiente, senza ripetere gli errori occidentali (soprattutto ad est). Forse occorre una immediata "triangolazione" dell'ovest e dell'est europeo con il sud povero e "arretrato" per trovare strade eque e compatibili con la biosfera e con la giustizia tra i popoli. (85)

La necessaria autolimitazione ecologica riesce più convincente se si fa esperienza diretta di interdipendenza e partnership: nella nostra attuale condizione, forse potrebbero essere alleanze o patti "triangolari" (Nord/Sud/Est) quelle che meglio riflettono il nesso tra i cambiamenti necessari in parti diverse, ma interconnesse del mondo. L' "Alleanza per il clima" ne può fornire una interessante, per quanto ancora parzialissima, esemplificazione. (86)

A posteriori, l'intuizione di Langer si è dimostrata impraticabile. Gli ambientalisti e gli ecologisti dell'Est, che avevano conosciuto la "solidarietà" internazionalista di regime, non volevano sviluppare alcun progetto che richiamasse in alcun modo quell'esperienza; senza considerare che la presenza ecologista in quei paesi è risultata assolutamente marginale dopo l'esplosione delle crisi economiche ed etniche.
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