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3.1 - La storia sudtirolese (4)

Per Langer - come per ogni Sudtirolese - l'annessione del Sudtirolo all'Italia nel 1918 ha rappresentato un'ingiustizia. Questo sembra essere anche per lui un punto fermo dal quale non poter prescindere per fondare un discorso equilibrato su tutto ciò che avvenne successivamente, anche se naturalmente la situazione odierna deve essere vista e valorizzata per gli elementi positivi e gli indubbi vantaggi - anche individuali - che essa propone.
Particolarmente incisiva è la sintesi che Langer offre della storia sudtirolese in uno scritto del febbraio 1985:

E' una storia di rapporti di forza, in cui lo Stato ha dovuto scendere a patti, e lo ha fatto solo quando vi è stato costretto all'esplodere della violenza; e in cui dimostra contemporaneamente come lo Stato sia debole con i forti e forte con i deboli, e come sia risultato (costituzionalmente?) incapace di immaginare ed attuare soluzioni basate su elementi meno influenzati dai rapporti di forza e più aperte alla dialettica democratica: salvo attendere, a sua volta, occasioni di "revanche". E così è stato costruito un pericoloso e destabilizzante "pendolo" delle reciproche rivalse. (5)

Bisogna dire che Langer - al di là di affermazioni forti come quella appena riportata - tende in genere a "trattare" in maniera piuttosto indulgente entrambe le parti, italiana e tirolese, rispetto ai problemi sorti negli ultimi settant'anni - quanto meno per quanto riguarda le componenti popolari. Nelle sue analisi, infatti, all'origine dei "malintesi" che hanno condizionato la storia dei rapporti tra i principali gruppi etnici della regione sembrano esserci alcuni fattori oggettivi, nonché la cattiva ed interessata cura di questi da parte dei "gestori" politici delle continue trattative. Tali gestori, responsabili dell'istituzionalizzazione di una sorta di conflitto etnico ben temperato, (6) sono naturalmente lo Stato - almeno fino all'approvazione del secondo Statuto di autonomia nel 1971 e in modo più defilato fino alla chiusura del "Pacchetto" (7) (1992) - e la Svp - prima alfiere della lotta per l'autonomia e della tutela delle minoranze tirolesi (tedesca e ladina) contro lo Stato, poi rappresentante degli interessi etno-corporativi di queste stesse minoranze nella gestione della nuova autonomia del post-Pacchetto. (8)
Nel ricostruire la storia della sua terra, Langer non scorda di richiamare le ingiustizie patite dai Sudtirolesi sotto il regime fascista. Ricordiamo che pochi anni dopo l'annessione all'Italia del Sudtirolo - in una provincia unica con il Trentino - un Mussolini ben conscio della specificità di questa regione e chiaramente determinato ad una sua omologazione nazionale, la trasformò in provincia a sé stante, iniziando le politiche di industrializzazione, di immigrazione e di educazione finalizzate alla trasformazione dei sudtirolesi in "buoni italiani". Il processo di italianizzazione del Sudtirolo - come ci ricorda Claus Gatterer nella sua opera colossale sulle minoranze e sulle autonomie in Italia (9) - non raggiunse probabilmente mai, forse grazie alla relativa compattezza territoriale del gruppo linguistico tedesco ed ai suoi legami con una cultura "forte", (10) le dimensioni di brutalità e di violenza toccate ad altre minoranze in altre zone del Paese, come per esempio ai Friulani ed agli Slavi del Friuli (sottoposti del resto già da mezzo secolo ad un processo di snazionalizzazione da parte dello Stato liberale, di impostazione centralistico-giacobina) o agli altri "neo-arrivati" della Venezia Giulia e dell'Istria. Tuttavia anche in Sudtirolo si vietò l'uso della lingua locale nell'istruzione e nell'amministrazione pubblica, si italianizzarono i nomi personali e di famiglia, oltre che naturalmente i toponimi, e si procedette ad una ristrutturazione economica fondata sull'industrializzazione forzata e sullo sviluppo capillare dell'amministrazione statale. Naturale conseguenza di ciò fu l'afflusso massiccio di Italiani che, sradicati dalle loro terre e privati delle loro specifiche identità, venivano mandati a colonizzare una regione di cui non capivano - e non potevano capire - la diversità. (11)
Langer condivide questa impostazione di Gatterer e ce ne dà un esempio in uno scritto per Alp dell'inverno 1987 / 1988. (12) Ormai apparentemente disilluso, (13) ma sempre desideroso di battersi per una nuova convivenza, Langer offre un'interpretazione della storica conflittualità sudtirolese tutta incentrata sul concetto di identità - e in qualche modo sull'idea che la gente sia stata quasi vittima degli eventi.
Dopo aver premesso che il "bene" che ci si disputa in Sudtirolo è per l'appunto l'identità, cioè il senso di sé stessi e la capacità di "riconoscersi in una storia, in una lingua e cultura, su un territorio", Langer prosegue spiegando brevemente il consolidarsi nel corso dei secoli dell'identità tirolese e le speculari difficoltà della comunità di lingua italiana, anche a causa della sua eterogeneità, nel costruirsi un'identità propria (una propria Heimat, (14) in un certo senso) al di fuori del rapporto privilegiato con lo Stato. La storia del Tirolo italiano - in fondo - è la storia di una "espropriazione di identità" ai danni di entrambi i gruppi linguistici:

L'identità o il carattere della terra sudtirolese sarebbe assai meno conteso e conflittuale, e l'identità delle persone che ci vivono assai meno esposta a tensioni e contrapposizioni, se quel prezioso bene non fosse stato via via rubato o trasformato in surrogati e patacche.
Ha cominciato, quasi subito dopo l'annessione violenta, il regime fascista, con il suo grottesco sforzo di "restituire" una presunta romanità sommersa ai nomi dei luoghi e delle persone, alle città, ai monumenti, all'insieme della vita sociale e culturale. Un'imposizione forzosa di un'identità estranea ed ostile ai tirolesi, nel tentativo di snaturare e snazionalizzare la gente e la regione, ma un'invenzione da laboratorio anche per gli italiani che via via giungevano in Alto Adige, o perchè attratti da prospettive di casa e lavoro per chi non ne aveva, o perchè spediti dal regime a svolgere opera di pionieri dell'italianizzazione. Ai tirolesi si voleva rubare la loro identità e sostituirla con una farsesca creazione bugiarda; ma anche agli italiani - meglio: rodigini, friulani, campani... - si offriva solo una patacca: quella di "italianissimi" antesignani di una (ri)conquista che li costituiva necessariamente in "corpi estranei" (ed ostili) alla terra ed alla gente che doveva accoglierli.
La seduzione nazista, a sua volta, ha contribuito a rubare non poco dell'identità tirolese alla gente di lingua tedesca, tentando di trasformarla in estrema propaggine meridionale di un germanismo nazionalista ed espansionista anch'esso del tutto estraneo alla tradizone rurale, cattolica ed alpina dei tirolesi.
Anche nel secondo dopoguerra le cose non si sono aggiustate bene. Nei confronti dei suoi cittadini di madrelingua italiana, trapiantati in Alto Adige, lo Stato per lunghi decenni ha continuato in una politica che ne perpetuava e talvolta accentuava l'estraneità rispetto alla realtà circostante: gente che traeva, come gli immigrati all'estero, la sua identità essenzialmente dai luoghi di provenienza, ma che lì veniva spinta ad essere avanguardia della presenza statuale italiana, immedesimandosi spesso in quel ruolo e "statalizzandosi" di conseguenza, senza fare grandi progressi nella conoscenza della lingua, della cultura, dei luoghi e della mentalità indigena. Una nuova patacca, al posto di una possibile identità integrabile nel contesto locale, non necessariamente respingente e xenofobo.
La comunità sudtirolese di lingua tedesca, a sua volta, si è vista modificare dal lungo conflitto con lo Stato italiano al quale doveva faticosamente strappare il rispetto dei propri diritti e del proprio modo di essere. La lotta per la propria affermazione, e contro un processo di assimilazione (meno brutale e più strisciante, ma nettamente riconoscibile anche dopo il fascismo), l'ha resa assai più etnocentrica, più artificiosamente compatta e soprattutto più esposta all'assunzione quasi inavvertita di una nuova identità che ideologicamente si professa pur sempre "tirolese" ed enfatizza gli elementi di continuità storica e culturale, ma che in realtà ha nel frattempo assorbito e digerito una "grande modernizzazione", soprattutto dall'inizio degli anni '70. (15)

Questo articolo ed altri quattro o cinque saggi, interventi ed interviste (16) presentano una panoramica completa della storia sudtirolese vista da Langer, insieme ad una miriade di brevi articoli, spesso su temi di attualità e quindi non esaustivi sull'argomento storico, ma utili per la comprensione grazie ad aneddoti, storie personali o semplici "suggerimenti". (17)
Rispetto alle "opzioni" - cioè all'accordo del 1939 tra Mussolini e Hitler che prevedeva di dare alle popolazioni di lingua tedesca e ladina del Nord-est italiano la possibilità di "optare" o per l'Italia, cioè di mantenere i propri insediamenti territoriali storici accettando però l'italianizzazione forzata, o per la cittadinanza del Reich germanico, con il conseguente obbligo di emigrazione - (18) Langer spiega che si trattò di una sorta di "transazione" operata alle spese dei Sudtirolesi a sostanziale riconoscimento del fallimento delle politiche fasciste di assimilazione. Una grande tragedia umana, come solo un esodo forzato di centinaia di miglia di persone può essere, aggravato dal fatto che in realtà lo scopo dell'accordo era ben diverso da una sorta di democratica autodeterminazione, infatti:

al nazismo veniva data la gente come carne da cannone, per l'Italia fascista diventava possibile liberare questa zona dagli 'elementi indesiderabili' e rimpiazzarli con nuovi abitanti. Ciò nel reciproco interesse delle due dittature. (19)

Questa impostazione non è in contraddizione con la difesa che Langer fa di Messner nel 1982, quando questo viene attaccato da tutta la gerarchia politica e culturale di lingua tedesca per aver espresso il proprio fastidio nei confronti dell'uso propagandistico che l'ufficialità sudtirolese fa del termine Heimat, essendo a suo avviso i Sudtirolesi un popolo che massimamente tradì la propria patria proprio in occasione delle opzioni. (20) Langer ne approfitta anzi per ricordare che:

Quella "Vergangenheitsbewältigung", la rielaborazione autocritica del passato nazista e fascista, che in Italia si era realizzata in qualche modo con la resistenza antifascista ed in Germania rappresentava il più grande sforzo intellettuale collettivo dopo la seconda guerra, nel Sudtirolo non era mai stata compiuta. Ora che un personaggio famoso come Messner, finora stimato per le sue imprese e capacità eccezionali, pretende dai suoi concittadini di rendersi conto di un passato assai pesante che non può essere letto soltanto in chiave vittimistica (i sudtirolesi oppressi e venduti da Mussolini a Hitler), la reazione di molti e soprattutto dell'apparato ufficiale è di dichiararlo nemico, metterlo al bando, sottoporlo quasi a perizia psichiatrica. [Essi] difendono a spada tratta la scelta dolorosa e suicida di 40 anni fa, pur di non mettere in dubbio il sistema di valori di allora e di oggi, e la continuità che per certi versi unisce questi sistemi di valore. (21)

Sulla critica a tale continuità di valori, alla chiusura e al conservatorismo sociale della comunità sudtirolese si costruisce tutta l'analisi storica che Langer propone delle vicende autonomistica dal dopoguerra in poi.
Dopo la seconda guerra mondiale, contro il parere della maggioranza della sua popolazione, (22) il Sudtirolo fu riconfermato territorio italiano - sorta di risarcimento per la perdita dell'Istria, che passava alla Jugoslavia titina, e di Trieste, che per il momento veniva istituita in zona libera sotto tutela internazionale. "Gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento", secondo quanto recita il c.d. accordo Degasperi - Gruber firmato a Parigi il 5 settembre 1946 "godranno di completa uguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca" (art. 1). Tale tutela doveva essere garantita, oltre che da una internazionalizzazione dei meccanismi di controllo e di rispetto degli accordi, anche da "l'esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo, nell'ambito delle zone stesse. Il quadro nel quale detta autonomia sarà applicata, sarà determinato consultando anche elementi locali rappresentanti la popolazione di lingua tedesca." (23) [corsivo nostro, N.d.a.]
L'attuazione dell'accordo fu gestita in modo alquanto equivoco da parte dello Stato italiano e di De Gasperi che, interpretando liberamente il riferimento al "quadro" (24) della tutela dei Tirolesi, decisero di collocare le minoranze di lingua tedesca e ladina in una regione autonoma insieme al Trentino. Langer, e con lui ormai anche la maggior parte degli storici democratici, considera tale regione "coatta", (25) inventata allo scopo di porre gli italiani in maggioranza e costruita in modo da avere il proprio centro amministrativo a Trento, dove veniva di fatto gestita l'autonomia. (26) Lo Statuto di autonomia della Regione Trentino - Alto Adige del 1948 fu vissuto con crescente fastidio da parte dei Sudtirolesi dei due gruppi linguistici minoritari, che sempre più evocavano il loss von Trient. (27) Nel 1959, dopo una serie di atti unilaterali del governo italiano chiaramente provocatori e la costante inattuazione, con la complicità della Corte costituzionale, dell'art. 14 dello Statuto, (28) la Svp, nella quale si era verificato uno spostamento dell'asse politico dall'area più liberale degli oppositori alle opzioni e al nazismo ai più giovani optanti della Wermacht, (29) decise di uscire dalla maggioranza regionale e spinse l'Austria a far valere presso le Nazioni Unite il proprio ruolo di tutela. L'Onu, dopo varie controversie, emanò una condanna dell'Italia e un invito esplicito a risolvere la questione pacificamente. La nuova battaglia per il cambiamento dell'assetto autonomistico assunse dimensioni talvolta drammatiche e a tratti violente, anche con numerosi attentati, (30) ma le trattative tra i due contraenti (Stato ed Svp) furono condotte in modo tutto sommato pacifico, pur nelle inevitabili strumentalizzazioni delle tensioni sociali.

Negli anni '60 si svolse la lotta per la nuova autonomia - anche con azioni violente. Dal punto di vista economico e sociale il Sudtirolo continuava ad essere una zona marginale dello sviluppo capitalistico, soprattutto se ci si riferisce alla popolazione di lingua tedesca, occupata prevalentemente nell'agricoltura e in altri settori sostanzialmente precapitalistici. Solo gradualmente è stata realizzata una certa modernizzazione e l'integrazione dello sviluppo economico sudtirolese in quello italiano e del Mercato Comune, tanto da consentire anche alla popolazione di lingua tedesca un qualche recupero economico e sociale. (31)

Ciò che mancò chiaramente fu invece il coinvolgimento democratico delle popolazioni interessate e, più in generale, dell'opinione pubblica italiana ed austriaca. Il risultato, pur con questa pecca d'origine che secondo Langer ne condizionò l'applicazione reale, aveva tuttavia potenzialità positive: vedeva infatti un'ampia riforma dell'autonomia, territorialmente circoscritta al Sudtirolo e con caratteristiche in parte diverse dal Trentino, e la trasformazione della Regione in un ente di raccordo cui venivano conservate competenze ordinamentali importanti, ma limitate. Fondamentale, secondo Langer, era l'accettazione da parte dello Stato "che nella Repubblica Italiana venisse riconosciuto il diritto alla diversità." (32) Le nuove competenze delle provincie autonome risultavano notevolmente amplificate, e in particolare per il Sudtirolo si prevedevano meccanismi per la riparazione dei torti effettivamente subiti dalla minoranza tirolese, per creare un "armistizio" tra i gruppi etnici, dotandoli di garanzie che evitassero reciproche prevaricazioni ed un obbligo di collaborazione formalizzato. (33)
Per un certo periodo, all'inizio degli anni Settanta, si verifica una certa apertura e disponibilità al dialogo, sia da parte italiana che tirolese. Da parte degli italiani c'è la consapevolezza che alcune delle norme più penalizzanti per il proprio gruppo sono una sorta di risarcimento per le discriminazioni inflitte precedentemente all'altro, e si sviluppa un certo desiderio di apprendere il tedesco, di entrare in relazione con il territorio e con l'altro gruppo. Da parte tedesca, nella convinzione di aver raggiunto una tutela sufficiente della propria specificità, si tenta di superare il blocco psicologico che vedeva negli Italiani degli occupanti e di instaurare quindi un rapporto costruttivo. Si verifica per un paio di legislature persino un certo pluralismo politico, con l'entrata in consiglio provinciale di due partiti socialdemocratici tedeschi. Quella che Langer aveva chiamato la "primavera sudtirolese" finirà alla fine degli anni settanta: colpo di grazia, il censimento etnico.
Nella progressiva messa in atto delle norme statutarie si prevedevano delle "Commissioni paritetiche italo-sudtirolesi", che:

[...] Al riparo di ogni controllo parlamentare, elaborano i decreti con i quali si attuano le misure speciali concernenti l'autonomia sudtirolese. Tali "norme di attuazione dello statuto di autonomia", emanate dal governo italiano con forza di legge, ai fini della vita quotidiana nel Sudtirolo rivestono spesso una maggiore rilevanza che non le stesse norme statutarie, di rango costituzionale; esse comportano una quantità di regolamentazioni etniche (scuola, uso delle lingue, riserva etnica dei posti del pubblico impiego, rappresentanza di interessi etnici in giudizio, ecc.). (34)

E' contro alcune di tali norme, in particolare, che si volge la critica teorica e l'attività politica di Langer, come la analizzeremo nei prossimi paragrafi.
Continuiamo però con la storia. A partire dagli anni '70 cominciò ad invertirsi la dinamica dei rapporti tra i gruppi linguistici, e non solo per effetto del nuovo Statuto. Fino ad allora il gruppo etnico tirolese si era trovato in una sorta di "angolo morto", senza ricambio con l'esterno e marginalizzato in un'attività economica premoderna, mentre la comunità italiana era stata caratterizzata da una forte mobilità, che compensava la mancanza di radici con un vasto retroterra che garantiva il continuo afflusso di forza lavoro e quindi nuovi insediamenti italiani. Le cose cominciarono a cambiare quando si passò alla creazione di una ramificata amministrazione pubblica fondata sul principio della proporzionale e quando si verificò, peraltro a livello europeo, un vero e proprio boom dell' "industria" del turismo, che divenne il settore trainante dell'economia sudtirolese. Diminuivano, di contro, le possibilità di impiego nel settore pubblico per gli italiani, mentre un'industria che era stata costruita in modo forzoso e completamente slegata dal contesto locale (le materie prime dovevano venire da fuori e i prodotti finiti ripartivano per altre regioni) entrava in crisi.

Negli anni '50 e '60 il Bauer invidiava l'operaio della Lancia, perchè non doveva alzarsi alle 4 a mungere, vedeva dei soldi, stava in città, i suoi figli avevano concrete possibilità di avanzamento sociale. Ora accade più facilmente il contrario: il Bauer, assieme al maso, da dove mai nessuno lo sfratterà, ha anche il garnì, non teme l'inflazione, non deve vivere a Bolzano, poniamo in via Resia, dove abitare non è precisamente uno spasso.
Un altro elemento è stato il forte ridimensionamento dell'occupazione nell'industria: il licenziamenti nella zona industriale di Bolzano, non dovuti assolutamente a una volontà di emarginazione del gruppo italiano, ma a motivi di convenienza economica. (35)

Questo rovesciamento di ruoli all'interno del sistema socio-economico della provincia, che tendeva a ridimensionare gli Italiani a favore dei membri del gruppo tedesco, nonché una gestione dell'autonomia fatta di cavilli e puntigliosità, che come dice Langer "ha sempre valorizzato la lettera della legge rispetto allo spirito", (36) ha prodotto un crescente fastidio degli Italiani nei confronti della stessa autonomia, sempre più vista come responsabile di quella "sindrome da binario morto" che oggi prendeva gli Italiani e nei decenni precedenti aveva invece colpito il gruppo tedesco. Riprenderemo più avanti la metafora del binario morto, che consiste sostanzialmente nella sensazione che la possibilità di riproduzione del proprio gruppo sia limitata alla regione di stanziamento, nel nostro caso il Sudtirolo, e cioè che si possa contare in questo senso solo sulla gente che già è sul luogo. Essendo solo 100.000 gli Italiani in Alto Adige (e non 300.000 come i tirolesi), questa situazione viene vissuta come asfissiante, sommandosi alla mancanza di identificazione con il territorio e le sue tradizioni, la Heimat, che il gruppo tedesco aveva invece sempre avuto anche nei momenti peggiori della propria storia. Le potenzialità positive del "Pacchetto" e l'iniziale disponibilità al confronto che avevano in effetti caratterizzato la prima metà degli anni settanta, furono quindi inficiate dalla radicalità dei cambiamenti sociali e dalle politiche di separazione perseguite dai partiti al potere.
Una menzione a parte meritano i Ladini che, a conferma dell'emarginazione cui sono costretti schiacciati come sono nel confronto tra Italiani e Tedeschi, tra due culture "peninsulari" e sostanzialmente "equivalenti", non abbiamo mai menzionato. Ma non è detto che tale emarginazione sia necessariamente elemento di debolezza:

Intanto i Ladini hanno una cultura e una storia molto più precaria. Il ladino è una lingua minoritaria, una lingua senza Stato, senza esercito. Si dice che le lingue diventano tali quando hanno un esercito. Se non riescono ad averlo, rimangono dialetti. Il ladino è appunto una "lingua non statalizzata".
La comunità ladina è quel che rimane di una comunità molto più vasta, che è soggetta da quasi mille anni a processi di assimilazione. Essi perciò rischiano molto di più la loro identità culturale e linguistica.
I ladini possono rappresentare (e in questi ultimi anni hanno effettivamente qualche volta rappresentato) un terzo polo, sia pur debole, in un sistema sostanzialmente bipolare: italiani e tedeschi, Trento e Bolzano.
Talvolta i ladini giocano (anche con una certa abilità), la carta del terzo polo, che non si fa assorbire dall'uno o dall'altro dei poli maggioritari, speculando sulle loro rivalità. (37)
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