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3.2 - Sul divenire della situazione sudtirolese

Nel Sudtirolo, come un po' in tutte le situazioni con schieramenti fortemente contrapposti e polarizzati, la gente è abituata alla guerra psicologica. Nel caso specifico si tratta di guerra etnica. Fredda, per il momento. L'informazione in ognuno nei due blocchi ostili (quello "tedesco", tirolese, e quello "italiano") assomiglia più alla propaganda di guerra che non all'analisi critica. I tirolesi sanno tutto sulle ferite loro inferte dal fascismo mussoliniano o sulle inadempienze dei governi italiani da De Gasperi in poi. E quasi niente sulla compromissione sudtirolese col nazismo, o della vita quotidiana nei bar o nelle fabbriche "italiane" di Bolzano. Gli altoatesini di lingua italiana si cibano quotidianamente di notizie relative ai soprusi dei "tedeschi" e vedono il mondo dei tirolesi tutto popolato di padroncini di garnì e di frutteti (esentasse): della vita reale dei loro concittadini di madrelingua tedesca solo poco penetra nell'emisfero italiano. (38)

A volte gli articoli più brevi sono anche i più chiari ed espliciti. La citazione che abbiamo riportato, per esempio, è la parte centrale di un cortissimo articolo del 1985, quasi un trafiletto, intitolato "Oltre il muro". Sintetizza benissimo la situazione che per Langer caratterizza il Sudtirolo degli anni ottanta, quello in cui si trova più che mai a lavorare ed a battersi per la convivenza. Il muro di cui si parla è, ovviamente, quello tra Italiani e Tedeschi nel Sudtirolo diviso dalla storia e, specialmente, dall'applicazione micragnosa e puntuale dello Statuto culminata, nel censimento etnico del 1981. (39) Langer si compiace che finalmente l'opinione pubblica democratica in Austria e in Italia si sia accorta dell'esistenza di quel muro, ma teme che ormai sia troppo tardi, cementificato come esso è dall'informazione etnocentrica e dalla quasi totale assenza di "scrittori, giornalisti, testimoni che saltino oltre quel muro etnico, o che scavino sotto" (40) per completare quelle mezze verità che popolano l'immaginario dei cittadini dell'Alto Adige e che continuano ad alimentare pregiudizi e risentimenti.
Dovendo stabilire una forzosa divisione temporale tra l'analisi storica e quella più prettamente politica, abbiamo deciso di adottare il duplice criterio della svolta rappresentata dal censimento etnico - che secondo Langer rappresenta la fine di quella "primavera sudtirolese" fiorita nel corso degli anni settanta - e dell'impegno diretto di Langer come Consigliere regionale che, con la parentesi che va dalla fine del 1981 al novembre 1983, inizia nel 1978 e si conclude nel 1989. (41) Langer, naturalmente, si è occupato della sua terra per tutta la vita, ma il periodo degli anni ottanta coincide non solo con una crisi storica degli equilibri etnici e delle possibilità di convivenza, ma anche con la presenza diretta e continuata di Langer in regione, nonché con il massimo del suo impegno politico e di analisi critica.
La situazione dell'autonomia nella quale Langer si trova a lottare, determinata dalle vicende storiche così come da lui ricostruite, ricorda, almeno in teoria, un sistema di scatole cinesi che "appariva concepito più per obbligare tutte le parti in causa a cercare il reciproco accordo e consenso, che non come quel meccanismo di ritorsioni e ricatti vicendevoli, che poi almeno in parte è diventato." (42) La predominanza di uno o dell'altro gruppo linguistico, di una o dell'altra "scatola" istituzionale (Provincia, Regione, Stato) è di volta in volta determinata da una sorta di pendolo. Nel già citato articolo per Antigone, intitolato per l'appunto "Il pendolo sudtirolese", Langer conclude amaramente la sua analisi storica scrivendo:

Il risultato ha comportato un consistente spostamento di poteri da Roma (e da Trento, capoluogo di una regione inventata per mettere in minoranza i tirolesi) a Bolzano, e dal gruppo italiano a quello tedesco e ladino - se, infatti, gli italiani hanno beneficiato dell'esito della prima e della seconda guerra mondiale, i sudtirolesi di quello della "guerra dei tralicci" e il nuovo compromesso ha dovuto tener conto dei mutati rapporti di forza - ma, ancora una volta, si è conclusa una pace tra potenze, non tra la gente. E affinché quest'ultima venisse integrata meglio nel nuovo sistema "concordatario", sono stati accentuati ed istituzionalizzati i criteri di appartenenza alle diverse corporazioni etniche riconosciute.
E così si è lentamente profilata, con caratteristiche sempre più nette, una dinamica a "pendolo" (come l'ha definita una volta il ministro degli esteri austriaco): benefici e vantaggi toccano ora a me, domani a te - con l'inevitabile e ulteriore compattamento di blocchi contrapposti.
Chi non rientra o non vuole rientrare in uno dei blocchi precostituiti - e si rifiuta di stare "con i tedeschi, contro gli italiani" o viceversa, e "con lo Stato contro l'autonomia" o viceversa - in questo sistema non è previsto e viene conseguentemente e radicalmente escluso: come la sorte dei "non dichiarati" nel censimento etnico del 1981 dimostra in maniera inequivocabile. [corsivo nostro, n.d.a.] (43)

Il rischio di una situazione di questo tipo, che ha visto sprecare le opportunità che venivano offerte dalla nuova autonomia e consegnare all'Msi il monopolio del disagio e del malcontento del gruppo italiano, (44) è che la contrapposizione voluta e cercata sfoci nello "scontro - forse anche violento - tra due comunità, non più tra minoranza e Stato come negli anni '60." (45) Del resto la polarizzazione anche politica dei gruppi etnici è funzionale al progetto di dominio che la Svp continua a perseguire (e con successo) sulla società sudtirolese, contribuendo al mantenimento della tensione e quindi giustificando la continuità stessa dell'esistenza di un partito etnico di raccolta con le caratteristiche di onnicomprensività che l'Svp presenta. Unico problema: la necessità di mera sopravvivenza di qualche partito italiano moderato, per soddisfare i requisiti statutari di "collaborazione" al vertice. (46) Del resto lo stesso Langer, tra il serio e il faceto, manifesta in più occasioni rischio che si vada verso un sistema politico bipolare su base etnica, nel quale due partiti di raccolta, Svp ed Msi, si alleino al governo di una Provincia divisa. Una sorta di consociativismo etnico con unico risultato la morte definitiva della democrazia sudtirolese e delle politiche di convivenza.
Risulta dunque evidente come Langer non critichi il "Pacchetto" o lo Statuto in quanto tale. Anzi, ritiene che esso, "pur tra molti limiti e contraddizioni, era tra le risposte più avanzate che in Europa si erano date ai problemi della tutela di minoranze etno-linguistiche." (47) Il suo sostanziale fallimento e la sua paralisi, i conseguenti rischi di involuzione antidemocratica e di degenerazione violenta della società sudtirolese trovano i loro responsabili proprio nei contraenti principali di quello stesso accordo autonomistico, (48) oltreché nella "arroganza del potere Svp ed Övp ed alla loro convinzione che la politica altoatesina debba svolgersi essenzialmente indisturbata nelle segrete stanze della commissione dei 6, tra i corridoi dei ministeri degli esteri a Roma ed a Vienna ed attraverso le pastette della coalizione che governa a Bolzano." (49) Svp e Stato italiano, nel loro continuo gioco di rivalse reciproche e piccoli espedienti, hanno finito per snaturare le potenzialità positive di quello stesso accordo che tanto avevano voluto:

Da parte tedesca sotto la guida della Svp si procede con metodo a spingere avanti, seppur cautamente, un disegno di rigermanizzazione che ridimensioni l'indesiderata presenza italiana, e da parte italiana, col sostegno sempre più evidente di certe autorità centrali e locali dello Stato (che in provincia fa capo al commissario del governo, Mario Urzi), si lavora per ricordare (e rosicchiare) ai tirolesi i limiti della loro autonomia: "non dimenticatevi di essere in Italia".
ciò che più preoccupa è l'uso delle istituzioni a scopo di lotta etnica. Dalla "proporzionale etnica" come supposto strumento di giustizia per distribuire equamente impieghi pubblici ed alloggi tra i gruppi linguistici (con grotteschi ed interminabili conteggi sui torti del passato, le riparazione dovute ed i conguagli futuri...) all'ormai sistematico intervento del governo contro la legislazione autonoma della Provincia di Bolzano e della Regione Trentino - Alto Adige, in difesa di asserite prerogative dello Stato centrale: . (50)

Un atteggiamento, quello di chi avrebbe dovuto promuovere la convivenza e lo sviluppo pacifico di una comunità sudtirolese unita nelle differenze linguistiche e culturali, che ha portato ad un consolidamento e ad un'interiorizzazione della spaccatura etnica che a Langer, alla fine degli anni ottanta, sembra ormai quasi irreversibile. Langer semplifica i rapporti tra gruppi etnici con la metafora del "tiro alla fune", in cui ogni palmo di spazio vitale in favore dell'uno deve essere sottratto all'altro", (51) riducendo così al facile schema tedeschi / italiani l'origine di ogni problema e conflitto. E di fatto la dimensione etnica supera e si impone su ogni altro tipo di dialettica, sia essa sociale, politica o istituzionale, in una spirale suicida che ormai vede coinvolte anche le popolazioni e che paradossalmente giustifica ogni nuovo irrigidimento dei meccanismi di separazione etnica. (52) E' la pochezza analitica del "più ci separeremo meglio ci conosceremo" dell'assessore all'istruzione Zelger, in realtà lucidissima nella sua impostazione ideologica, che induce anche l'opinione pubblica democratica italiana a sostenere proposte come quella di Sabino Acquaviva, che nel 1979 propone di dividere il territorio tra Italiani e Tedeschi, anche sopportando eventuali spostamenti di massa, in modo da recidere definitivamente ogni contatto tra le due comunità ed eliminare alla radice i motivi di conflitto. (53) Non ci si rende ormai più conto, è il grido d'allarme di Langer, che ogni nuovo irrigidimento rafforza il conflitto stesso e che semmai bisogna andare nella direzione opposta.
Questa opposta direzione di marcia, negli scritti di Langer degli ultimi anni ottanta, prende la forma di una coraggiosa chiusura unilaterale del "Pacchetto" da parte dello Stato italiano. Langer denuncia una sostanziale messa in mora dello Statuto proprio da parte di quelle due realtà, Stato ed Svp, che lo avevano "costruito" ed "imposto" alle rispettive comunità. Le reciproche diffidenze, il tentativo del gruppo dirigente sudtirolese di "spremere dal nuovo ordinamento autonomistico tutto quello che si può ricavarvi e poi non dichiararsene soddisfatti per riaprire la vertenza da più consolidate posizioni di forza", (54) l'allungare i tempi di attuazione per potersi lamentare della lentezza e della malafede della controparte e poter così continuare a giustificare il proprio ruolo di partito di raccolta etnica in funzione anti-statale, i tentativi reali di Roma di ridurre al minimo le concessioni, abbandonando però a se stessa la comunità italiana dell'Alto Adige, il suo continuare a riconoscere solo la Svp quale interlocutore del Sudtirolo, sancendo quindi la linea politica della separazione e rinunciando ad una prospettiva di coinvolgimento democratico degli Italiani nella costruzione di un progetto che avrebbe dovuto riguardare tutta la popolazione insediata sul territorio, non hanno fatto altro che compattare i Tirolesi da un lato ed esasperare l'insofferenza italiana all'autonomia dall'altro. E Intanto:

Se negli anni Sessanta si trattava fondamentalmente di uno scontro tra una minoranza etnica e lo Stato, oggi tende a diventare sempre più marcatamente un conflitto inter-comunitario, con una valenza incredibilmente più pericolosa in quanto può coinvolgere nel profondo i sentimenti dei due gruppi contendenti e generare ostilità ed incompatibilità, anche senza arrivare necessariamente ala violenza. (55)

L'impasse in cui si trova l'autonomia sudtirolese alla fine degli anni ottanta, comincia quindi ad assumere per Langer caratteristiche preoccupanti. Già in un articolo apparso su Uomo città territorio alla fine del 1985, (56) Langer chiedeva che si facesse da parte dello Stato "qualche passo significativo" che smettesse di premiare la logica della compattezza etnica, che spinge i gruppi ad aggregarsi su tale discriminante perchè "l'unione fa la forza", e che quindi, operativamente, ponesse alla Svp dei limiti democratici al suo potere di ricatto, in particolare "revocandole" il monopolio della rappresentanza sudtirolese nelle trattative. Ancora: chiedeva provvedimenti che incoraggiassero gli Altoatesini di lingua italiana a riconoscersi in un'autonomia che potrebbe diventare, in questo modo, democratica e favorevole alla convivenza; che permettessero all'area interetnica favorevole al plurilinguismo di uscire dalla semiclandestinità cui è stata sostanzialmente relegata dai gruppi dirigenti politici del Sudtirolo e, soprattutto, si chiedeva che il governo uscisse "dalle secche della 'Commissione dei 12' e 'Commissione dei 6' e prendesse in mano direttamente la questione, ovviamente senza scavalcare i rappresentanti delle popolazioni locali o disattendere impegni internazionali."
Nonostante le proposte concrete, la fine degli anni Ottanta sembrano un crescendo di sconforto e disillusione rispetto a possibili prospettive reali di cambiamento. Langer continua però la sua battaglia e andrà a precisare meglio le sue rivendicazioni, anche se:

Ormai le posizioni sono così irrigidite che né la Svp, (e l'Austria) né il governo italiano appaiono capaci di tagliare i nodi della reciproca diffidenza e di un sistema di regolamentazioni etniche sempre più bizantine. Solo un drastico e coraggioso tentativo di fare un inventario complessivo del contenzioso e di proporre una soluzione globale delle questioni ancora aperte, potrebbe - forse - portare ad un risultato, ma nell'atmosfera etnico-politica che si è creata in questi anni appare del tutto improbabile che qualcosa del genere si verifichi. Le proposte di quelle forze (verdi-alternativi in misura crescente anche sindacati e parte della sinistra locale) che vorrebbero ripulire l'autonomia sudtirolese delle sue escrescenze eccessivamente etnocentriche e privilegiare una linea di autonomia, bilinguismo e decentramento contrapposta a quella della separazione etnica, delle "proporzionali" e dell'interventismo statale, sono state disattese a lungo, e forse ormai si trovano anch'esse impantanate nell'onda montante dei risentimenti e bloccate dalla lunga paralisi congiunta, imposta dal governo italiano, dalla Svp e dal governo austriaco in un gioco di scatole cinesi.
il laboratorio sudtirolese avrebbe potuto rendere qualcosa di molto diverso e di molto più promettente: una piccola Europa, plurilingue e pluriculturale, esempio di convivenza pacifica tra diversi e di sperimentazione autonomistica avanzata. [corsivi nostri, n.d.a.] (57)

Langer esplicita nel modo più chiaro i suoi timori, e quella che per lui è ormai l'ultima possibilità di soluzione del problema, in un saggio scritto per Micromega nel gennaio 1987 e significativo già nel titolo: "Terapia d'urto per il Sudtirolo". In questo scritto si chiede se sia possibile, nella condizione di esasperazione cui si è arrivati, avviare un processo di democratizzazione e di rilancio dell'autonomia sudtirolese innestandola sull'iter di completamento dell'attuazione del "Pacchetto", il che permetterebbe anche la chiusura della vertenza internazionale con l'Austria pendente davanti all'Onu. Ci vorrebbe quell'atto di coraggio cui abbiamo già accennato e che permetterebbe di togliere alla Svp tutte le argomentazioni a sostegno della propria rigidità.

Non varrebbe allora forse la pena che il governo italiano si assumesse - con il conforto del parlamento e dell'opinione pubblica democratica - le sue responsabilità e procedesse ad emanare unilateralmente le norme mancanti per l'attuazione autonomistica, iniziando contemporaneamente l'opera di ripulitura democratica degli ingranaggi sin qui costruiti?
Pertanto si potrebbe procedere all'elaborazione di norme che procedano in tale direzione: piena parità delle lingue, ma anche piena libertà nel loro uso (e non, invece, un vincolo di obbligatorietà a seconda del gruppo linguistico di appartenenza); riconduzione della rilevazione dei gruppi linguistici nel censimento alla normalità statistica (non registrazione nominativa di chi è "italiano" o "tedesco" o "ladino", ma quanti esistono complessivamente dell'una o dell'altra lingua); smantellamento delle troppe "gabbie etniche" che disciplinano l'accesso all'impiego, alla casa, e ad altri benefici sociali per linee etniche; valorizzazione di una cultura del bilinguismo diffusa che riformi e progressivamente renda superfluo il "patentino di bilinguismo" con relativo esame; pieno riconoscimento dell'autonomia locale, senza il costante mercanteggiamento su ogni singolo atto di autogoverno condizionato e taglieggiato dallo Stato centrale; responsabilità locale nel reperire un gettito tributario sufficiente a coprirne le spese, e così via.
Di fronte ad una buona qualità democratica di tali norme (nella linea "meno separazione / più autonomia, meno proporzionali / più bilinguismo, meno corporativismo etnico / più diritti civili") per la Svp sarebbe piuttosto difficile sostenere che l'autonomia sudtirolese ed i diritti della minoranza sono in pericolo. Finalmente potrebbe avviarsi una dialettica più libera in seno alla comunità tirolese, minando la compattezza artificiale della Svp.
Visto insomma che il meccanismo concordatario ha portato al logoramento ed alla paralisi, non sarebbe forse giunta l'ora di costringere ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità con atti e scelte unilaterali e coerenti? Così nessuno potrebbe più nascondersi dietro richiami sempre più forzati al "Pacchetto". I presupposti giuridici per questa correzione di rotta esistono nello stesso Statuto speciale. Esistono anche i presupposti sociale culturali per avviare un'opera di riforma - seppure con un consenso ancora minoritario (ma era così anche all'origine della linea del "Pacchetto"). Ora bisogna che si creino, finalmente, e prima che sia troppo tardi, anche le condizioni politiche. (58)

A mitigare il tono generalmente pessimista degli articoli e dei saggi della fine degli anni ottanta, (59) ci sono alcuni brevi ma interessanti articoli del 1991 che lasciano trasparire un certo ottimismo nelle possibilità di rilancio del dialogo e di un'autonomia della convivenza per il Sudtirolo. Langer ed i Verdi erano stati invitati, probabilmente in maniera provocatoria, a far parte del comitato organizzatore del raduno pantirolese che si tenne al Brennero, sui prati di Griesber, il 15 settembre 1991. Langer rifiutò l'invito, come i Verdi dei due versanti del Brennero, ma decise di partecipare comunque all'evento in qualità di relatore ad uno dei dibattiti previsti. Si trattò di un evento importante, nonostante la scarsa partecipazione popolare, perchè rappresentava - secondo Langer - un possibile punto di svolta nelle riflessioni sul Sudtirolo, sul Tirolo e più in generale sull'area Alpina a cavallo tra Italia, Austria e Svizzera. In un'intervista per Questotrentino, Langer constata che la stragrande maggioranza dei Sudtirolesi non desidera essere interpellata sulla questione dell'autodecisione e che prima di agitare una simile parola d'ordine "bisogna rendersi conto che non si può imporre un'alternativa a chi oggi non ne sente il bisogno", (60) pena il rimettere in discussione una situazione di coabitazione, se non altro, che è ormai consolidata, con tutti i rischi che l'intensificazione della tensione e la ri-polarizzazione delle comunità etniche possono comportare.
Langer trova invece che dopo questo evento, e nel particolare contesto storico in cui si sta muovendo l'Europa, non si possa più evitare di parlare di regionalizzazione dell'Europa, di autonomie non più solo legate alle necessità di tutela delle minoranze etniche, (61) di diluizione dei confini piuttosto che di loro messa in discussione, (62) di Regioni europee multilinguistiche. Per quanto riguarda l'Area delle Alpi centro-orientali, in particolare, Langer ritiene positiva l'idea di unire Trento al progetto di Euroregione, anche se questo non può essere una scusa per dimenticare gli Italiani del Sudtirolo, perchè "non si può fare l'unità tra Innsbruck e Trento dimenticando, o trattando da intrusi gli italiani del Sudtirolo". (63) Che cosa ha voluto andare a dire al Brennero, Langer, da farci sembrare ottimiste le righe scritte per l'occasione?

Innanzitutto che il Sudtirolo è di tutti quelli che oggi lo abitano, e che quindi ogni discorso sul suo futuro deve essere fatto in primo luogo da tutti gli abitanti di questa Terra, insieme, senza distinzione tra gruppi linguistici o "anzianità di residenza", e senza delegare i propri destini né a Roma, né a Trento, né a Innsbruck. mi sembra che oggi molta più gente che in passato accetti e condivida convintamente l'idea che il Sudtirolo sia terra pluri-lingue e pluri-culturale, e che su questa strada bisogna andare avanti. Tali caratteristiche devono impregnare tutta la vita pubblica e sociale della provincia, che deve godere di un suo particolarissimo autogoverno autonomistico, che può ancora essere sviluppato molto. Ovviamente la coesione tra abitanti di diversa lingua ed il riconoscersi in un "noi" comune ed inter-etnico di tutti gli altoatesini / sudtirolesi (accanto ai "noi" dei singoli gruppi linguistici) sono fondamentali, e lavorare e consolidare questo "noi" continua ad essere il primo compito di chi vive qui. Solo una comunità locale unita e solidale, oltre le differenze etno-linguistiche, e garante della piena partecipazione di tutti i suoi componenti, senza discriminazioni, può davvero autogestirsi, autogovernarsi, autodeterminarsi.
è evidente che, se tutti gli abitanti del Sudtirolo ormai possono sempre di più sentirsi "altoatesini" o "sudtirolesi" senza grande difficoltà ed a pieno titolo, sarà assai più improbabile che tutti possano e vogliano sentirsi tirolesi, o italiani, o austriaci, o trentini...La storia non passa invano, e dell'identità sudtirolese o altoatesina di oggi fa parte proprio la composizione stabilmente plurilingue di questa regione. E solo se i suoi abitanti se ne sentono "condomini a pari titolo" si potrà irrobustire l'autonomia, estenderne i rapporti esterni, migliorarne l'autogoverno. (64)
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