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3.4.1 - "Minoranze oltre lo Stato"

In Italia esistono circa undici gruppi etno-linguistici minoritari: complessivamente oltre tre milioni di individui. (103) Una stima del Parlamento europeo del 1982, prima che, con la ex Ddr, i paesi scandinavi e l'Austria, entrassero a far parte della Comunità Sorbi, wendi, Lapponi, Sloveni ed altri gruppi, valutava in più di trenta milioni i cittadini comunitari con una lingua materna regionale o poco diffusa. (104) A questa cifra vanno poi aggiunti tutti coloro che parlano una lingua di per sé non minoritaria, ma in condizione insulare o peninsulare rispetto al ceppo di origine.
La prima considerazione che viene da fare, di fronte a cifre come queste, riguarda la mistificazione storica del concetto di Stato-nazione che la storia contemporanea europea porta con sé sin dal secolo scorso. Di fatto, nessuno stato europeo può considerarsi "nazionale" nel senso di una comunità etnica, linguistica ed identitaria uniforme.
La maggior parte degli articoli e degli interventi di Langer sul tema delle minoranze europee, quasi tutti dei primissimi anni novanta, sono di conseguenza impostati sulla necessità di "affrontare senza reticenze il dibattito sul disagio che ormai non poche strutture falsamente nazionali o insufficientemente sovranazionali ingenerano." (105)
Langer oscilla tra una chiara preoccupazione per il riemergere di rivendicazioni etno-nazionali, sia nell'Europa orientale che, in parte, all'interno della Comunità, ed una visione ottimista del ruolo delle minoranze nella costruzione dell' "Europa delle regioni". Alle sempre più frequenti rivendicazioni politiche e sociali di molti gruppi etnici, che raramente esprimono semplici processi di liberazione positivi o (ri)affermazioni di identità precedentemente negate, ma assumono spesso carattere di autoaffermazione collettiva violenta e razzista, di esclusivismo etnico o religioso che passa per la negazione delle identità altrui, (106) Langer contrappone l'esperienza positiva della maggior parte delle minoranze dell'Europa comunitaria, che, pur non lesinando le critiche all'eurocrazia accentratrice ed omologatrice del mercato unico, sono tra le più convinte sostenitrici del federalismo europeo e della diluizione dei confini statuali per restituire dignità alle regioni. (107) Queste minoranze hanno di fronte a loro due teoriche possibilità: lottare per l'acquisizione di una propria statualità e soggettività, comparabile a quella di altri che già la possiedono, oppure impegnarsi per la diluizione delle statualità stesse in favore di ordinamenti capaci di comprendere e dare piena dignità ad una pluralità di identità etniche, religiose, linguistiche e quant'altro.

Forse ciò che le comunità etniche più avvedute, nella loro ricerca di affermazione e di riconoscimento vanno cercando nel loro inserimento visibile nell'integrazione europea è qualcosa di molto innovativo e raffinato: potrebbe essere l'abbandono dell'ossessione di volersi realizzare a tutti i costi sotto forma di Stato e di sovranità statalizzata, per privilegiare altre forme di soggettività, di proiezione di sé. Ma perchè delle identità etniche per così dire infra-statuali possano avere piena dignità e non rischino di essere sopraffatte da altre e più forti identità che "si sono fatte Stato", occorre un processo generale di disarmo della statualità. Diversa è la condizione di una piccola etnia, privata di uno Stato ed al massimo riconosciuta come minoranza con certi diritti, se la condizione generale per esistere e valere sulla scena dei soggetti collettivi storici è quella della statualità, o se invece un tetto ed un ordinamento comune comprende, protegge e valorizza allo stesso modo comunità maggiori e minori, senza istituzionalizzare e differenziare la condizione di chi dispone di una statualità in proprio, e grazie ad essa può farsi valere, e chi invece - per le più varie ragioni - non l'ha raggiunta né la raggiungerà senza grossi e spesso insolubili conflitti. (108)

Condizione essenziale perchè tale opportunità di sviluppo positivo del riemergere delle identità e delle etnie minoritarie europee si esplichi pienamente, è che l'Europa si mostri all'altezza delle aspettative che in lei vengono riposte, e a questo proposito Langer ripete praticamente in ogni articolo ed in ogni intervento pubblico che questo deve significare: riconoscimento delle culture minoritarie e loro valorizzazione proprio in quanto caratterizzanti l'identità stessa del continente europeo, pluri-culturale e multi-identitaria; diluizione dei confini intra-statali, con cessione di poteri contemporaneamente verso l'alto (la federazione europea) e verso le autonomie locali; Europa delle regioni contrapposta all'Europa degli stati.

Un'Europa unita e federalista, ovviamente ben più larga dell'odierna C.E., dovrà saper essere fantasiosa nel ridisegnare la mappa dei tessuti regionali, anche al di là degli odierni confini di stato. Esistono in Europa soluzioni di questo genere, e non di rado potrebbero offrire una soluzione pacifica e non troppo traumatica a domande da lungo tempo insoddisfatte di diversa aggregazione politico-statuale o di diverso assetto autonomistico-istituzionale facilitando la ripresa di antichi rapporti di comunanza storica, culturale, linguistica ed economica, amputati spesso dalla logica di potenza degli stati nazionali. E naturalmente le future regioni europee dovranno saper sviluppare tutta la loro vocazione pluri-lingue e pluri-culturale, per far crescere la convivenza e le inter-relazioni tra popolazioni che insieme abitano e curano territori contigui. (109)

Abbiamo già abbondantemente trattato del federalismo pan-europeo e del "localismo" di Langer approcciandolo dal punto di vista dell'ambiente, dell'economia, della partecipazione democratica e del pacifismo. (110) Arrivando alla medesime conclusioni a partire da un ragionamento parzialmente diverso, quello sulla tutela delle minoranze etniche, in un certo senso si chiude il cerchio aperto dal discorso sull'autogoverno territoriale, sullo sviluppo della partecipazione democratica, sulle economie regionali integrate (di "sussidiarietà"), sui mercati locali differenziati, sui "cerchi ecologici", sull'identità individuale e di gruppo, andando così al naturale incontro tra cultura della convivenza e quello che nel capitolo precedente abbiamo chiamato ecologismo. "Far pace tra gli uomini e con la natura", dunque: due facce della stessa medaglia.
Le minoranze, oltre che essere "destinatarie" privilegiate di una svolta politica e culturale verso un'Europa democratica non dominata dalla logica degli Stati nazionali più o meno confederati, ne sono anche naturale elemento di promozione determinante. Ma più ancora, in una fase dominata dalle logiche istituzionali, può essere importante il ruolo giocato dal Parlamento europeo e dalle comunità locali (regioni, Länder, altre autonomie territoriali sovracomunali), che non tollererebbero un trasferimento di sovranità dalle attuali assemblee rappresentative nazionali verso organi sovranazionali privi di legittimità e di controllo democratico, allontanando sempre più la gestione del potere dai cittadini. (111) Le autonomie locali, in questo senso, possono rappresentare un freno ad eventuali derive centraliste ed autoritarie, interessate come sono ad un'Europa policentrica "unita [e] più convinta, più reale e larga, ma anche più articolata e più democratica, più capace di accogliere e valorizzare le diversità e le peculiarità". (112)
L'altro "attore" privilegiato in questa trasformazione dell'Europa può essere il Parlamento europeo, parzialmente slegato com'è da logiche di partito finalizzate al potere. L'assemblea rappresentativa dei popoli europei, infatti, non delude Langer, che già altre volte aveva apprezzato l'indipendenza e la trasversalità che gli europarlamentari riescono ad esprimere: (113)

Il Parlamento europeo raccomanda di inserire nel nuovo trattato dell'Unione le seguenti norme:
L'unione ed i suoi membri, consapevoli che la ricchezza del patrimonio culturale europeo è costituita essenzialmente dalla sua multiformità, riconoscono l'esistenza sul loro territorio di gruppi etnici e/o linguistici minoritari. Prendono le misure necessarie alla preservazione ed al libero sviluppo della loro identità linguistica e culturale.
L'Unione ed i suoi Stati membri riconoscono a tali gruppi il diritto all'autorganizzazione democratica. Per favorire l'espressione dell'identità delle comunità etno-linguistiche minoritarie storicamente presenti sul territorio degli Stati membri e la buona convivenza nelle regioni interessate, la Comunità ed i suoi Stati membri assicurano garanzie speciali per realizzare la sostanziale uguaglianza dei cittadini ed adottano particolari forme di tutela e promozione delle lingue minoritarie, di autogoverno locale, territoriale o di gruppo, di cooperazione interregionale e anche transfrontaliera. (114)
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