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3.4.2 - I nomadi
Che dire, allora, degli zingari, popolo mite e nomade, che non rivendica sovranità, territorio, zecca, divise, timbri, bolli e confini, ma semplicemente il diritto di continuare ad essere quel popolo sottilmente "altro" e "trascendente", rispetto a tutti quelli che si contendono territori, bandiere e palazzi? Un popolo che, come gli Ebrei, fa parte delle storia e dell'identità europea proprio perchè a differenza di tutti gli altri hanno imparato ad essere leggeri, compresenti, capaci di passare sopra e sotto i confini, di vivere in mezzo a tutti gli altri, senza perdere se stessi, e di conservare la propria identità anche senza costruirci uno stato intorno! (117)
A fronte di questa dichiarazione un po' romantica, Langer riconosce che si sta sviluppando una tendenza, tra gli stessi Zingari, a non attribuire un valore in sé alla loro forma di vita, che non potrebbero comunque praticare, e a farsi risucchiare dal sogno consumistico del benessere offerto dalla civiltà industriale. (118) Il discorso sugli Zingari ci interessa in modo particolare perchè può essere ricondotto alla distruzione inesorabile di quel mondo conviviale di cui abbiamo tanto parlato e nel quale era possibile comunicare, scambiare, lavorare, visitare e migrare senza far riferimento a schemi precostituiti e compatibili con le esigenze dell'industria e della produzione: "non si può togliere l'acqua ai pesci e poi stupirsi se i pesci non riescono più ad essere agili, gentili ed autosufficienti come una volta." (119) Langer afferma, tuttavia, che, sebbene "di condizioni che consentano una vita zingara oggi ce ne siano sempre meno", (120) questa non sia una colpa di per sé imputabile ai paesi capitalistici industriali, ma all'oggettiva incompatibilità tra lo stile di vita occidentale e stili di vita, viceversa, instabili e non produttivi. Paradossalmente, in società che apparentemente erano meno tolleranti verso stili di vita diversi, ma anche meno strutturate sulle esigenze dell'industrializzazione, vi erano maggiori e più larghi interstizi per la sopravvivenza di rapporti sociali "devianti". A problemi di questo tipo Langer riconosce di non avere risposte, ma dubita che una soluzione possa venire sia da prospettive di concentrazione in qualche paese ricco, (121) che da ipotesi di creazione di un qualche Stato nel quale permettere loro di mantenere e coltivare la loro identità. Alcune delle risposte che si cominciano ad intravedere si fondano su una difficilissima ricerca tra ipotesi integrazioniste e ghettizzazione, ma comunque devono venire da parte zingara.
Se guardiamo, per esempio, ad uno stile di vita per alcuni aspetti simile a quello degli zingari, cioè quello dei Luna Park o dei Circhi, possiamo vedere come, pur conservando la stessa attività, quel mondo si è radicalmente modificato: sono riusciti a monetizzare le loro scelte di vita, e anche bene, ma riescono a svolgerle ancora in modo simile ad un tempo, pur se in modo più meccanizzato, molto più attrezzato. Io credo allora che l'unica linea di fondo che si può seguire, come rispetto a tutte le cose, sia da un lato una ragionevole diluizione, affinché non si concentri in nessuna parte un ghetto, perchè questo può solo portare al conflitto, e dall'altro una ragionevole proposta di integrazione, tipo la scuola e i servizi sanitari, che vada di pari passo con una ragionevole possibilità di non integrazione, che non si arrivi cioè a come funzioniamo noi, che siamo integrati o non integrati, e se sei non integrato ne paghi tutte le spese. (122)